Home Blog Page 11

Food marketing: il significato dei colori nel packaging

0

Ti sei mai chiesto perché i brand utilizzano colori specifici per il loro packaging?  Perché ogni colore ha un significato e ha un’influenza sul nostro cervello: il giallo dà energia, il verde rilassa, il rosso attrae. Quindi, in base al messaggio, all’emozione e al significato che un brand vuole trasmettere, gli esperti del food marketing scelgono il colore più adatto per le confezioni alimentari. Ma quale significato hanno i colori nel packaging del food? In particolare nel food sono utilizzati principalmente sei colori:

Il significato dei colori nel packaging: giallo, il colore dell’energia

Il giallo è il colore della modernità, dell’energia e del movimento. Simboleggia l’allegria, l’ottimismo e il desiderio di scoperta d’avventura. Non è un caso, infatti, che è il tipico colore utilizzato per i prodotti di prima colazione che dovrebbero suggerire un buon inizio e una sferzata di energia. Esempio lampante di brand che utilizza questo colore per le sue confezioni è “Mulino Bianco”.

Il significato dei colori nel packaging: blu, il colore della certezza

Colore della certezza e solidità, il blu comunica stabilità, classicismo e istituzionalità. Brand per eccellenza che usa questo colore per il packaging è “Barilla”.

Il significato dei colori nel packaging: grigio, il colore della freschezza

Minimale e neutrale, il grigio viene utilizzato spesso come terzo colore ma nel campo del food viene impiegato per i prodotti surgelati per richiamare valori di freschezza e igiene.

Il significato dei colori nel packaging: viola, il colore del dolce

Il viola è un colore ambiguo perché nella tradizione cattolica questo colore evoca la morte e, pertanto, non viene associato a sensazioni positive ma nello stesso tempo viene usato nei dolci per evocare un misto di desiderio e senso di colpa. Esempio di brand che ha non ha avuto paura di utilizzare il colore viola, nonostante sia poco utilizzato in Italia, è ‘Milka’.

Il significato dei colori nel packaging: rosso, il colore dell’energia

Altamente caratterizzante, il rosso è il colore dell’energia e della passione, della volontà e dell’eccitazione. Richiama i concetti di energia, calore e fantasia. Esempio di brand che ha sfruttato queste caratteristiche è ‘Aiello’, una marca di caffè: il rosso  della confezione rappresenta il colore della miscela e la passione nella lavorazione.

Verde, il colore della natura

Dal latino ‘viridis’, rigoglioso, il verde è il colore della natura e della freschezza, soprattutto se in associazione con il blu e il marrone. Rilassa il sistema nervoso, dilata i capillari, attenua la pressione sanguigna. Oggi viene utilizzato anche per richiamare il concetto di sostenibilità. Esempio di brand che sfrutta il verde per richiamare la naturalezza è “Yoga”, marchio di succhi di frutta.

Tu, invece, quale colore sceglieresti per il tuo packaging?

Il latte di avena: come sceglierlo

0

Scegliere il latte di avena è un’ottima opzione per le persone che sono alla ricerca di una bevanda nutriente, vegan-friendly e senza glutine se non contaminata da altri cereali. Ma perchè scegliere proprio l’avena fra le tante opzioni vegetali?

Salute

Il latte di avena fornisce molti carboidrati a digestione lenta ed un’alta percentuale di fibre solubili. È fonte di vitamine B1, B2, B3, B5 e B6, ma anche K e J. Contiene minerali come ferro, magnesio e fosforo. E’ ricostituente ed energizzante perché contiene l’acido linoleico. Inoltre l’avena ha un alto valore nutrizionale, ricco di proprietà perché dopo la lavorazione le sostanze nutrienti restano inalterate.

Il latte di avena ha un sapore neutro specialmente se abbinato al caffè, al macha oppure a frullati di frutta.

Sostenibilità 

Ormai è un dato di fatto ed è dimostrato ufficialmente che il latte vegetale è una bevanda con un impatto ambientale inferiore rispetto al latte vaccino. Ma quale scegliere fra i tanti? 

“Sono entusiasta dell’aumento della popolarità del latte di avena, si comporta molto bene su tutti i parametri di sostenibilità” afferma Elizabeth Anne Specht, ricercatrice americana e vicepresidentessa per la scienza e la tecnologia presso il Good Food Institute.

Nel grafico, realizzato dagli studi di Poore & Nemecek del 2018, possiamo notare le differenze attraverso una serie di parametri come l’uso del suolo, le emissioni di gas serra e l’uso dell’acqua.

Per la produzione di latte di avena è necessaria molta meno acqua rispetto alle altre alternative. Inoltre l’avena viene utilizzata principalmente per l’alimentazione animale, quindi spostare la produzione in un diverso settore sarebbe decisamente più sostenibile. 

Inoltre l’avena va coltivata in aree umide con abbondanti precipitazioni, per questo motivo i principali esportatori sono Russia e Canada. Questo non implica la deforestazione in paesi in via di sviluppo come succede per la soia.

Il Carnevale di Ivrea: la battaglia delle arance

1

Il Carnevale di Ivrea: durante gli ultimi tre pomeriggi (da domenica a martedì grasso) a Ivrea, in provincia di Torino, si svolge la storica battaglia delle arance. Si tratta di arance “speciali” non adatte al consumo alimentare, quindi non si tratta di spreco. Queste arance arrivano direttamente dalla Calabria.

È una antica tradizione che risale al Medioevo. Si pensa che sia nata quando i feudatari regalavano una volta all’anno una cesta di fagioli al popolo. Nel tempo, le famiglie si ribellarono e iniziarono a lanciare con disprezzo i fagioli fuori dalle finestre.
Quindi, questa battaglia rappresenta la rivolta del popolo (gli aranceri a piedi), contro le armate del tiranno (gli aranceri sui carri). Le squadre a piedi combattono senza alcun tipo di protezione, mentre gli aranceri sui carri hanno dei caschi protettivi di cuoio (“maschere”).

Tra i protagonisti del Carnevale di Ivrea ci sono anche i cavalli, da sempre oggetto di grande cura e rispetto, infatti, proprio a Ivrea, il 7 luglio, si svolge la Fiera di San Savino, la seconda rassegna equestre italiana. È un concentrato di divertimento e di lealtà, infatti, si vede spesso durante la battaglia che i protagonisti si scambiano la mano come segno di rispetto.

Le squadre che partecipano sono nove ed ognuna ha una zona fissa. I carri da getto sono divisi in pariglie (2 cavalli)  e quadriglie (4 cavalli), alternandosi all’interno delle piazze per pochi minuti. Ciò che definisce l’arrivo in classifica finale sono: l’ardore in battaglia, la correttezza nel tiro, la qualità degli allestimenti e i finimenti dei cavalli. Il tutto viene analizzato da un apposito Osservatore Creativo.

Tra gli altri carnevali italiani da menzionare, c’è sicuramente il Carnevale di Putignano.

Enogastronomia: il lavoro si innova, dando forma a nuove figure professionali, spendibili perchè sempre più richieste.

0

Ti sei mai chiesto quanto è importante l’Enogastronomia oggi?

Erroneamente si pensa all’enogastronomia, solo come l’arte del saper gustare un buon piatto, di saper apprezzare i sapori che la nostra terra ci offre. In realtà questo mondo racchiude al suo interno molto di più. Lo studio del fenomeno enogastronomico diviene sempre più importante e necessario al giorno d’oggi. Oltre che essere una vera e propria arte diviene anche un investimento interessante da intraprendere.

Il settore enogastronomico al giorno d’oggi è in costante crescita, negli ultimi anni si può sostenere che sia divenuto un elemento determinante per il turismo culturale, la percentuale di coloro che intraprendono un viaggio per interessi dettati dal palato è aumentato del 30%. il 53% dei viaggiatori nel mondo si dichiara turista enogastronomico, e l’italia occupa una posizione Leader in questo settore. L’importanza del Made in Italy e dalla sua valorizzazione è la chiave per le professioni future.

Inoltre, il nostro Paese risulta avere, dal 2016, il maggior numero di iscrizioni alle liste UNESCO dei beni materiali e immateriali legati all’enogastronomia e delle Città Creative per la Gastronomia.

Il nostro master a chi si rivolge?

Oltre ad essere un percorso innovativo che coniuga l’importanza del made in Italy e la comunicazione e promozione attraverso la conoscenza di nuovi canali, per chi in prima persona è parte di un business o chi lavora per esso, è anche un’opportunità per chi si occupa di promozione del settore food, come ad esempio chi tratta di giornalismo enogastronomico.

Quali sono gli sbocchi professionali che offre?

La figura professionale in uscita è quella del comunicatore esperto nel settore del food, nel turismo enogastronomico e nella promozione del Made In Italy. Il master si propone di formare esperti capaci di valorizzare al meglio le materie prime del nostro territorio e di promuovere le tipicità enogastronomiche locali. Le figure in uscita assumono tutte le competenze per poter gestire le pubbliche relazioni e il marketing di un’azienda, come redigere contenuti multimediali e organizzare anche eventi enogastronomici.

Come puoi mettere in pratica tutto ciò?

Uno dei valori aggiunti di questo master è l’esperienza formativa che ti permette di collaborare con aziende rinomate, che spesso consolidano il rapporto intrapreso nell’attività di stage con i nostri studenti.

Phygital Edition: La chiave di volta della Comunicazione Agroalimentare

0

Via alla XIII edizione del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia – phygital edition

Si rinnova ancora una volta l’offerta formativa rivolta ai futuri professionisti della comunicazione enogastronomica da parte dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, con l’innovativo Master in “Comunicazione Multimediale Dell’enogastronomia” giunto alla XIII edizione, che sarà focalizzato sul tema Phygital. Questo progetto formativo è nato dalla collaborazione con il Network di cibo più autorevole presente sul mercato da oltre 30 anni: Gambero Rosso, con il quale l’ateneo collabora sin dalla prima edizione, grazie ad una intuizione del Rettore Lucio d’Alessandro e della coordinatrice scientifica del Master prof.ssa Natascia Villani.

La XIII edizione del master è un’opportunità unica per chi decide di approfondire le sue conoscenze circa il mondo della comunicazione enogastronomica, lavorando per formare una figura professionale nuova che possa valorizzare i prodotti locali e sottolineare l’unicità e l’importanza del Made in Italy.

Il coordinamento didattico del Master è affidato al sottoscritto, per i moduli organizzati dall’Università degli studi Suor Orsola Benincasa (antropologia della gastronomia, marketing, web marketing, comunicazione digitale, tecniche della comunicazione pubblicitaria, laboratorio radio) ed a Serena Maggiulli (eventi enogastronomici, editoria enogastronomica, restaurant marketing, laboratori sensoriali, wine marketing, laboratorio audiovisivo grazie alla collaborazione con i canali SKY di Gambero Rosso).

A chi è rivolto il Master?

Il Master è rivolto ad appassionati di enogastronomia, che desiderano apprendere le attuali tecniche del digital marketing e a tutte le figure professionali che operano nel settore enogastronomico fornendo loro gli strumenti e le conoscenze aggiornate e scientificamente fondate per poter affrontare e gestire l’articolato ambito della comunicazione digitale in cui le aziende del food and beverage operano. Uno scenario complesso, nel quale sono indispensabili competenze qualificate. Possono iscriversi anche diplomati, che potranno seguire lo stesso programma, in tale caso, a conclusione del corso, sarà rilasciato un attestato di Corso di Perfezionamento e Aggiornamento Professionale.

Cos’è il Phygital?

La parola chiave dell’innovazione è PHYGITAL. La costante e intensa interazione tra fisico e digitale che caratterizza il nostro tempo. Si tratta di un processo che integra questi due aspetti attraverso delle esperienze ibride, in cui ogni persona si trova immersa in un percorso nel quale la distinzione tra fisico e digitale è sempre meno evidente. Il phygital è volto a trovare un equilibrio perfetto tra questi due essenziali fattori: fisico e digitale, soprattutto attraverso figure professionali in grado di saper guidare le imprese grazie alle loro competenze. Questo binomio si concentra principalmente sul miglioramento dell’esperienza dell’utente nella sua interezza e sulla rilevanza che la fisicità può fornire. In un mondo contraddistinto da un continuo interscambio tra esperienze online e offline, l’on life, una moltitudine di proposte e soluzioni finiscono per essere etichettate come phygital. Il master in comunicazione multimediale dell’enogastronomia, giunto alla XIII edizione, ancora una volta si rinnova, offrendo un percorso didattico nel quale sia la teoria che le esperienze laboratoriali saranno organizzati tenendo conto di questi cambiamenti.

Quale lavoro potrai fare grazie alle conoscenze acquisite con il master?

Gli allievi, che negli ultimi dodici anni hanno frequentato il master, lavorano nell’ambito della comunicazione digitale di aziende enogastronomiche, di ristoranti, cantine, riviste enostronomiche e, alcuni di essi, sono parte integrante dell’organico di importanti network che si occupano di food and beverage. Grazie agli stage in azienda, ogni allievo può applicare le conoscenze acquisite durante le lezioni teoriche, i laboratori sensoriali e le esercitazioni pratiche. Ed il tasso di placement è a livelli altissimi, come testimonia la longevità del Corso, giunto alla XIII edizione.

COMPILA LA DOMANDA DI AMMISSIONE QUI

OPPURE scrivimi una email a quirino.picone@docenti.unisob.na.it

Lo Spreco Alimentare, combattiamolo

0

Lo Spreco Alimentare

Lo spreco alimentare ricorre in questi giorni la giornata, che si identifica col mancato utilizzo di cibo ancora commestibile. Cibo che potrebbe essere destinato a svariate preparazioni alimentari e che invece viene cestinato, causando danni non solo di carattere economico,, ma soprattutto, di carattere ambientale. Basti pensare allo smaltimento dei rifiuti.

Secondo un’indagine svolta da Coldiretti /Ixè per ogni italiano finiscono nella spazzatura circa 31 Kg di prodotti commestibili. Ogni anno nel mondo viene sprecato circa un miliardo di tonnellate di alimenti pari al 17% di tutti quelli prodotti.

Chi coinvolge la Lotta allo Spreco Alimentare?

Nasce una nuova figura: lo chef “Zero Vaste”. Si parla, quindi, di cucina responsabile e consapevole in cui non si butta nulla e si riutilizza quasi tutto. Il fenomeno, che ha coinvolto dapprima le identità professionali, come gli chef, si sta allargando a vista d’occhio. In tutte le case si comincia a parlare con naturalezza di “cucina circolare” e “zero sprechi”. Cominciano a comparire attrezzature come la pentola a pressione, l’estrattore e la friggitrice ad aria. Si da nuova vita a vecchie ricette familiari di zuppe, ribollite e conserve. Questo è il primo passo per a il traghettamento della cucina italiana verso un sistema più attento ad evitare gli sprechi. Con un’attenzione particolare al benessere fisico e la salvaguardia del territorio.

L’uso delle Biodiversita’

L’uso di prodotti territoriali e rispettosi della stagionalità unito alla scelta delle corrette biodiversità consente di preparare piatti dal sapore unico. È questa la via più semplice e soprattutto la più logica, per garantire la sostenibilità alle produzioni locali senza tralasciare gli interessi del consumatore finale. Nuovi sapori, nuove percezioni, nuove conoscenze, consentono a chi assaggia un’ esperienza gustativa unica e consapevole.

La Cucina Green contro lo Spreco

Ma l’idea di cucina green rappresenta in alcuni casi la moda del momento, legata ad un concetto di comunicazione. In realtà, scegliere ingredienti di prima qualità che possano essere utilizzati in tutte le loro parti ed adottare tecniche di trasformazione atte a preservare tutte le loro peculiarità, dovrebbe essere la regola di base di ogni cucina. Professionale e non. Green e non. Ovviamente, la mediaticità del fenomeno “green chef” non va demonizzata, perché porta con se uno strascico alimentare ma soprattutto umano, di rilevante importanza: la riscoperta dei piatti della tradizione, a cui abbinare il divertimento di una reinterpretazione in base alle proprie esigenze.

 

La Triade della Dieta Mediterranea, dono degli Dei

0

I tre elementi elementi/alimenti divini della Triade della Dieta Mediterranea.

Da anni ormai si è consapevoli del fatto che la Dieta Mediterranea sia uno stile di vita sostenibile e salutare, tanto da essere riconosciuta dall‘UNESCO nel 2010 patrimonio immateriale dell’umanità. Gli alimenti fondanti questo stile di vita sono il prodotto delle tre culture più diffuse nella Mezza Luna fertile: l’ulivo, il grano e la vite. Tutti e tre rappresentano quello che viene chiamato “triade della dieta mediterranea”. Ulivo, grano e vite però non sono solo delle semplici colture che portano sulla nostra tavola l’olio, i cereali e il vino, ma rappresentano la triade della dieta mediterranea che è un dono degli dei.

Il ramoscello d’ulivo della dea Atena

Atena, figlia di Zeus, è colei che dona forse l’elemento/alimento simbolo per eccellenza della triade della dieta mediterranea. Il mito racconta che la dea della sapienza si sfida con Poseidone, in una gara di doni di fronte al re dell’Olimpo e al re Cecrope per avere il possesso dell’Attica. Poseidone come dono colpendo il suolo con il suo tridente creò dal nulla il cavallo. L’intelligentissima Atena, invece, percuote la terra con la sua lancia e fa spuntare da esso un albero bellissimo, il primo albero di ulivo. Cecrope assegnò la vittoria alla dea Atena.

Il dono di Poseidone pur essendo una rivoluzione tecnologica per i campi e per la mobilità, poteva essere usato anche per altri scopi, come la guerra. Mentre il dono di Atena era una pianta che illuminava la notte, curava le malattie, medicava le ferite e soprattutto portava prezioso nutrimento. Quindi questo dono donava benessere e pace a tutti coloro che lo coltivavano.

La Dea Madre nella triade della dieta mediterranea

Triade della dieta mediterranea, il grano
Grano dono di Demetra

I cerali sono dono di Demetra, dea madre, che i Romani chiamavano Cerere. Infatti, da il nome Cerere deriva la nostra parola “cereale”. Questo elemento della triade della dieta mediterranea trova il suo simbolo nel figlio di Demetra, Adone un giovane di particolare bellezza. Adone secondo molti riti greci muore e risorge in primavere, proprio come le spighe.

Nell’Atene del IV-V secolo si celebravano i misteri adoniaci, delle vere e proprie feste in onore di Adone. Durante questi riti le donne facevano crescere il grano in piccoli vasi, che venivano chiamati i “giardini di Adone”, ed era un grano fatto crescere al buio nei templi. I misteri adoniaci erano una sorta di passione del grano e venivano celebrati tra Marzo e Aprile.

Dioniso e il fermento del vino

Il vino è il dono di Dioniso, Bacco per i Romani. Dioniso è il dio straniero mascherato che irrompe nella scena portando il fermento nella vita di coloro che l’accolgono. Egli in ogni luogo in cui si fermava insegnava l’arte della spremitura e della fermentazione della vite.

Ovviamente il fermento portato da Dioniso deve essere controllato per portare un disordine creativo e vitale. Tanto è vero che nei rituali dionisiaci, in cui avevano luogo le tragedie greche, mostravano spesso le conseguenze di quanto questo elemento della triade non era ben misurato. Per avere il controllo del dono dell’ebbrezza, nell’antica Grecia, ma anche a Roma, il vino veniva diluito con l’acqua e mai bevuto assoluto.

 

Il caffè espresso, una storia italiana

0

«Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli». É questo il titolo con cui l’Italia ha candidato il caffè per ottenere il riconoscimento di Patrimonio Immateriale dell’Umanità da parte dell’Unesco. Dopo l’arte del “pizzaiuolo” napoletano, anche la pratica dell’espresso potrebbe quindi diventare uno dei beni immateriali italiani tutelati nel mondo. Un obiettivo che ha unito l’antico rituale della “cuccumella” napoletana con la filiera produttiva del Veneto, in un unico dossier approvato dal Mipaaf. Ma perché il rito del caffè è così importante per gli italiani, tanto da meritare il riconoscimento Unesco?

La storia del caffè in Europa

La bevanda scura approda in Europa nel Seicento, sotto il nome turco qahve, e consce fin da subito una massiccia diffusione. Il caffè importato dall’Impero ottomano diventa in poco tempo il simbolo perfetto della nascente borghesia capitalista e l’emblema della modernità in Europa. É infatti una sostanza dal forte potere eccitante, che tiene attivi i nuovi business men aumentandone la produttività. Tant’è che viene concettualmente separato dal cioccolato, consumato invece dall’aristocrazia: lenti assaggi contro frenetici sorsi.

Nella società della rivoluzione industriale il tempo è prezioso e il caffè permette di salvaguardarlo cedendo stanchezza in cambio di lucidità. Ben presto, nascono infatti i primi “Caffè”, luoghi di incontro e aggregazione dove commercianti e industriali svolgono i propri affari con le tazzine poggiate sui tavoli. Si crea in questo modo l’indissolubile binomio tra caffè ed economia, ma inizia a prendere forma anche il rito del caffè come pratica da condividere. Con l’invenzione nel Settecento della “cuccumella”, la caffettiera napoletana a doppio filtro, a Napoli nasce il culto del caffè che accompagna, a partire dal risveglio, tutta la giornata e tutta la popolazione: dalla plebe ai Re.

Il caffè espresso: un simbolo d’Italia

Eppure il caffè espresso, quello che davvero contraddistingue l’Italia e per cui si attende il riconoscimento Unesco, nasce a Torino nel 1884. La preparazione della bevanda richiedeva infatti un tempo piuttosto lungo per i clienti che volevano gustarla subito, nelle brevi pause dal lavoro e dagli impegni quotidiani. Fu da questa esigenza che Angelo Moriondo brevettò la prima macchina per caffè “espresso”, un caffè veloce e dinamico, pronto in meno di subito, sotto forma di poche gocce concentrate da bere in un sorso. Dopo circa un secolo, la produzione divenne industriale, soprattutto nel Settentrione, e anche il resto del mondo conobbe l’Italia attraverso una tazza. Conciliando gusto, dinamicità e socialità, il caffè diventa il gesto imprescindibile degli italiani, che si beva a fine pasto come lento atto celebrativo oppure in piedi al bancone di un bar. Un preciso atto culturale che costituisce uno dei preziosi beni intangibili della tradizione italiana.

Dieta Mediterranea: 12 anni di Patrimonio dell’Umanità

0

Era il 16 novembre 2010 quando l’Unesco riconobbe la Dieta Mediterranea come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Ma come è nato e in cosa consiste questo celebre modello alimentare?

Le origini della Dieta Mediterranea

Contrariamente a quanto si possa pensare sono due coniugi americani, Ancel e Margaret Keys, i fondatori della Dieta Mediterranea.

Ancel cominciò ad investigare sull’alimentazione adottata dai popoli del Mediterraneo durante un suo viaggio in Italia, a Roma. L’occasione gli fu offerta con la partecipazione ad un convegno sulla riorganizzazione dell’alimentazione in Europa nel dopoguerra. Proprio in quel momento pose la sua attenzione su un dato in particolare: la maggiore longevità e la bassa incidenza di patologie cardiovascolari nelle regioni dell’Italia Meridionale rispetto alla popolazione americana.

I coniugi Keys si trasferirono, così, nel Salento a Pioppi, per poter continuare ad approfondire tali studi ed osservare meglio il regime alimentare delle popolazioni locali. Oggi, a 59 anni dalla prima teorizzazione, la Dieta Mediterranea è stata proclamata Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

Gli elementi principali della Dieta Mediterranea Patrimonio dell’Umanità

La Dieta Mediterranea si basa sull’assunzione di alcuni elementi principali:

  • un uso di olio extravergine d’oliva;
  • un consumo abbondante di cibi di origine vegetale;
  • un uso moderato di carni;
  • un consumo quotidiano di latte e derivati e di erbe aromatiche;
  • una riduzione considerevole nell’uso di sale;
  • un’assunzione moderata di vino durante i pasti;
  • una riduzione nel consumo di dolci.
© Canva

La Dieta Mediterranea Patrimonio dell’Umanità

Oggi la Dieta Mediterranea, a lungo bistrattata in favore di regimi alimentari più alla moda, anche grazie a importantissimi studi svolti negli anni e ai riconoscimenti ottenuti, sta riconquistando il podio internazionale della sana alimentazione grazie ai numerosi vantaggi e al benessere che questa è in grado di fornire.

L’Unesco, al momento del riconoscimento di status di “Patrimonio Immateriale” ha così definito il regime alimentare:

La Dieta Mediterranea costituisce un insieme di abilità, conoscenze, pratiche e tradizioni che spaziano dal paesaggio alla tavola, che comprendono le coltivazioni, il raccolto, la pesca, la conservazione, lavorazione, la preparazione e, in particolare, il consumo degli alimenti

Italianamerican: Martin Scorsese e la ricetta delle polpette

0

Un documentario a casa dei suoi

Quello di Martin Scorsese è un nome celebre in tutto il mondo. Forse meno lo sono le sue polpette. Regista di fama internazionale, ha regalato al grande pubblico numerosi capolavori cinematografici e anche ai meno esperti titoli come Taxi Driver e Toro Scatenato suonano famigliari. Sono però in pochi a sapere dell’esistenza di Italianamerican, un piccolo gioiello datato 1974, recentemente caricato sulla piattaforma Youtube. In questo breve documentario, girato principalmente all’interno della casa di famiglia, il regista ascolta ed interroga i propri genitori Chaterine e Charlies. Entrambi di origine italiana, fanno di questo vincolo identitario la sorgente di tutti i loro racconti.

A tavola con la famiglia Italianamerican

Gli spazi in cui queste narrazioni si sviluppano non sono affato scontati. Le stanze riprese, che accolgono le interviste dei genitori sono principalmente tre: il salone, con tanto di divano foderato in plastica (must have degli anni ’70), la cucina, regno di mamma Chaterine che orchestra l’ebollizione del sugo per le polpette e la tavola da pranzo, attorno alla quale si riunisce la famiglia Scorsese, regista compreso. La scelta di riprendere quest’ultimo spazio é particolarmente interessante soprattutto per i ricordi e racconti gastronomici che vi rimangono impressi. È testimonianza preziosa, ad esempio, il racconto di come un tempo veniva fatto il vino. Questa pratica domestica era, per gli italiani emigrati in America, un’ attività fondamentale da portare avanti. Si rimaneva così in contatto con le proprie origini e le si trasformava in nuove tradizioni che avevano però il profumo di vigne lontane.

tavola imbandita per pranzo di famiglia
Interno con tavola imbandita per il pranzo di famiglia

La scelta della tavola come luogo di narrazione allora non è affatto casuale. Scorsese, alla regia, aveva capito bene che raccontare, attraverso il cibo ed il vino, l’identità e la cultura di un’intera famiglia, specialmente se Italianamerican, era il modo migliore per rendere quella stessa cultura condivisibile e quindi fruibile.

Le polpette alla Scorsese

A conferma di quanto detto, nei titoli di coda, dopo il nome del regista, appare, a chiusura del film il testo di una ricetta. Una? No. Quella che appare é la ricetta simbolo per eccellenza degli Italianamerican, che il titolo la riassume con The Sauce (La salsa) e che qui riportiamo in traduzione:

Abbrustolisci in olio una cipolla con un pizzico di aglio. Aggiungi un pezzo di carne di vitello, un pezzo di manzo, delle salsicce di maiale e l’osso di collo d’agnello. Aggiungi del basilico. Quando la carne si è rosolata toglila e mettila da parte in un piatto. Metti una lattina di passata di pomodoro e dell’acqua. Aggiungi poi una lattina di pelati precedentemente frullati. Lascia bollire. Aggiungi sale, pepe e un pizzico di zucchero. Lascia cuocere. Aggiungi nuovamente la carne che avevi messo da parte. Cuoci per un’ora. Ora fai le polpette. Unisci in una ciotola con all’interno del macinato di vitello e manzo, una fetta di pane senza crosta, 2 uova e un pò di latte. Aggiungi poi sale, pepe, formaggio e qualche cucchiaio di sugo. Mischia il tutto con le mani. Fai le polpette e cuocile per un’ ora all’interno del sugo fatto in precedenza.

© https://master-enogastronomia.it

Se questa Sauce valga una prova non è dato sapere. Nel rifarle c’è solo il non trascurabile piacere di spiegare ai nostri commensali la storia dietro la ricetta. Martin Scorsese in persona ce l’ha passata e questo dovrebbe essere abbastanza.