L’Università Suor Orsola Benincasa in collaborazione con Gambero Rosso e Città del gusto Napoli danno il via all’XII edizione del Master di I livello in “Comunicazione multimediale dell’enogastronomia” per l’Anno Accademico 2021-2022. Il Master rappresenta un’opportunità unica per conoscere ed approfondire il mondo della comunicazione enogastronomica e per specializzarsi in una realtà professionale nuova e ricca di possibilità.
Perché chiamarla special edition? L’emergenza del Covid-19 ha messo in evidenza il ruolo cruciale del digitale, quale leva strategica sia per attività integrative rispetto al core business di aziende enogastronomiche, sia quale strumento in grado di limitare le perdite in caso di emergenza o di situazioni di crisi. Quest’edizione appunto sarà affiancata dal Digital Management, pertanto le figure professionali in uscita saranno in grado di fornire alle imprese in cerca di competenze qualificate, il valore aggiunto necessario per affrontare le sfide in atto: opportunità, ma anche minaccia per chi è impreparato al cambiamento.
Il Master ha la durata complessiva di 1.500 ore: 33 giornate di lezioni teoriche (pari a 264 ore), 24 giornate di laboratori sensoriali ed audio-video (pari a 200 ore), 3 visite guidate (pari a 24 ore), 3 mesi di stage (pari a 400 ore) project work, studio individuale, test intermedi on line, prova conclusiva).
Il calendario degli incontri si articolerà in 4 lezioni settimanali della durata di 8 ore ciascuna dalle 10.00 alle 18.00 Il calendario con il programma dettagliato sarà pubblicato sul sito web dell’Ateneo.
Qualora le condizioni permettessero di svolgere anche attività in presenza, il Coordinamento scientifico potrà collocare alcuni incontri in presenza e in tal caso saranno comunque fruibili anche a distanza.
L’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa mette a disposizione, per gli studenti residenti fuori Provincia, n. 1 alloggio gratuito presso la residenza universitaria sita a Napoli in Vico Paradiso, 49.
L’inizio dei corsi è previsto entro il mese di dicembre 2021.
Le iscrizioni sono aperte fino al 30 settembre, quindi bisogna affrettarsi!
È il 1805 quando nasce la prima guida gastronomica che recensisce i ristoranti in Francia.
In occasione dell’Esposizione Universale del 1900, Michelinlancia la guida rossa in omaggio con l’acquisto delle gomme, delle bici soprattutto. Inizialmente questa guida aveva la funzione di segnalare le locande nelle quali cambiare gli pneumatici. Solo nel 1920 furono menzionati i ristoranti segnalati da lettori ed ispettori anonimi. Nel 1926 nasce la stella iconica che segna la qualità particolare di un cibo. Notari, su sollecitazione della moglie, fonda “La cucina italiana” che ha come target l’aristocrazia. Il 1956 è l’anno in cui Veronelli da vita a “Il Faro“; c’è una svolta: cambia il linguaggio, il cibo ed il vino sono strumenti con i quali informare il pubblico. Ricordiamo il 1956 anche per la prima edizione italiana della Guida Michelin che arriva fino a Siena. È nel 1959 che le tre Stelle Michelin acquistano in ordine tale significato:
buona cucina, cucina eccellente, cucina che vale un apposito viaggio. Nasce a Milano nel 1982 una raffinata rivista “La Gola“. Da un’iniziativa di Gianni Sassi con l’intento di osservare la cucina dal punto di vista sociale, culturale ed artistico. Tuttavia, un progetto destinato ad una élite.
Gli albori:
L’anno in cui Gualtiero Marchesi si guadagna le tre Stelle Michelin nascono “Arcigola” e “Al Gambero Rosso“; inserto mensile in bianco e nero de il quotidiano comunista ” Il Manifesto“. Stefano Bonilli nel 1986 fonda “Al Gambero Rosso“, “storia di uomini, di donne e di passioni“, nasce dalla passione di alcuni uomini ed alcune donne nei confronti del buon cibo e del buon vino. Il nome Gambero Rosso deriva dal concetto alla base di questo inserto dedicato all’enogastronomia. Pinocchio, il consumatore tipico dell’epoca, inesperto, viene derubato all’interno dell’osteria “Il Gambero Rosso“. La funzione di questa nuova comunicazione gastronomica era informare il consumatore, renderlo più consapevole.
La prima copertina de “Al Gambero Rosso”
In breve tempo le vendite del “Manifesto” aumentano del 30%, 40% quando c’è l’inserto ” Al Gambero Rosso“. Dal 1988 nascono i quaderni del Gambero Rosso, con cadenza semestrale. Le illustrazioni e la grafica erano realizzate con il Macintosh Apple.
Le prime guide del Gambero Rosso:
Nel 1987 nasce “Vini d’Italia“, in concomitanza con lo scandalo del metanolo. L’obiettivo era quello di raccontare il vino e valutarlo con parametri internazionali. Dopo soli due anni questa guida viene tradotta in tedesco da Hallwag di Berna. Nel 1989 viene edito “l’Almanacco dei Golosi.” Nel 1990 nascono la Guida di Roma e la Guida Ristoranti d’Italia. L’obiettivo era quello di rompere le guide francesi dipendenti come la Michelin e la guida dell’Espresso nata nel 1958.
La copertina di Vini d’Italia del 1987
Le copertine innovative:
Quando nel 1992 finisce la collaborazione con il Manifesto, la nuova rivista autonoma esordisce con una copertina dedicata agli spaghetti.
La nuova copertina del Gambero Rosso
Nel 1998 il giovane Ferran Adrià finisce in copertina e l’anno successivo viene invitato a Roma. Questa copertina ha fatto la storia! Ferran Adrià con il sifone in mano rappresentava il credito e la forza di una cucina innovativa che dava scandalo.
L’iconica copertina di Ferran Adrià con il sifone
I primi grandi eventi del Gambero Rosso:
Con le guide Vini d’Italia e Ristoranti d’Italia nascono i primi eventi gastronomici in Italia. Gli eventi contribuivano alla costruzione del Marchio e ad alla valorizzazione dell’identità. Le cene con 500 persone coinvolgevano personaggi del calibro di Vissani, Pierangelini, Nadia Santini, Moreno Cedroni e molti altri. Le lezioni di enologia erano tenute da Giacomo Tachis, l’inventore del Sassicaia. La testimonianza di Ferran Adrià. Gambero Rosso ogni anno occupava l’area eventi dell’Hotel Cavalieri di Roma, coinvolgendo migliaia di appassionati. Attraverso questi eventi si valorizzavano la professione del ristoratore, le piccole aziende ed il Made in Italy. Erano veicolo per la comunicazione aziendale.
1993; Gambero Rosso sbarca in USA:
Nel 1993 Gambero Rosso dialogò con i maggiori importatori di vino negli Stati Uniti. Nel 1994 nasce Gambero Rosso Wine Travel Food. Una rivista internazionale in lingua inglese. Distribuita nelle migliori edicole, enoteche e librerie d’Europa, Usa, Canada ed Australia.
Gambero Rosso Wine-Travel-Food
Le attività del Gambero Rosso tra il 1994 ed il 1999:
Gambero Rosso è il content provider leader nel settore Food&Beverage italiano. La ricetta che mette in tavola dal 1986: raccontare il cibo ed il vino partendo dalle persone. Ad oggi Gambero Rosso rappresenta l’unico operatore multimediale di settore con un’offerta di periodici, libri, guide, web, mobile e canale televisivo. Nell’ultimo decennio è aumentata l’offerta editoriale, le nuove guide: Oli d’Italia, Pasticceri & Pasticcerie, Street Food, Pane & Panettieri, Gelaterie d’Italia e Guida Vini in Cinese, Giapponese e Tedesco. Il Settimanale Tre Bicchieri è il primo settimanale online dedicato alla Wine Economy. Espone inchieste, interviste ai professionisti del settore ed approfondimenti. Tre Bicchieri raggiunge oltre 70mila contatti tra traders: ristoratori, produttori, giornalisti ed appassionati. I portali gamberorosso.it e gamberorossointernational.com comprendono sezioni dedicate alle news del settore ed alla formazione, video-library di ricette, webserie e reportage, un canale e-commerce, corsi e biglietti per partecipare a degustazioni.
Come diceva Gianni Mura “Scrivere è come cucinare, ma conta molto di più fare la spesa. Quando hai le cose giuste sul tavolo, quando al mercato hai scelto bene, poi i piatti vengono buoni per forza“.
Le origini della pastiera di tagliolini dolce della nonna:
La pastiera di tagliolini dolce ha origini campane. È una variante della pastiera tradizionale, dolce tipico della tradizione pasquale. Non a caso è composto dalle uova, con le quali si realizza la pasta fresca. Le uova già prima del cristianesimo simboleggiavano la rinascita della natura, il passaggio dall’inverno all’estate. La fede cristiana ha concepito l’uovo come simbolo della rinascita dell’uomo, in questo caso di Gesù. L’Agro Aversano è fortemente religioso. Aversa, in particolare, è famosa per essere la città delle cento chiese. Era una consuetudine che le massaie portassero in dono per Pasqua, la pastiera di tagliolini dolce, alle suore all’interno dei conventi. È un dolce dalle antichissime origini. Si racconta che sia stato portato in dono per la prima volta nel 1538, in occasione della fondazione del monastero delle Suore Cappuccinelle. L’ordine delle Cappuccinelle fu fondato da Maria Lorenza Longo. Questa nobil donna catalana, guarita per intercessione della Vergine di Loreto, da un grave male si dedicò ad opere di pietà. In Italia, tutti i piatti, anche quelli dell’alta ristorazione hanno origini popolari.
La ricetta; in cucina con la nonna:
Con mano sapiente distribuisce a fontana sul tavolo un chilo e mezzo di farina. Al centro tre uova ed un cucchiaino di sale. In un’insalatiera vi sbatte quattro uova, aggiunge quasi cinquanta grammi di burro e due bustine di vanillina. Lavora questo impasto, fino a ripiegarlo su se stesso. Taglia la pasta all’uovo creando i tagliolini.
La ricetta della nonnaLa pastiera di tagliolini dolceLa ricetta della nonnaLa pastiera di tagliolini dolceLa ricetta della pastiera dolce di taglioliniLa pastiera di tagliolini dolce
Li cuoce come una classica pasta all’uovo (salandola). Una volta pronta la pasta, la cala lasciando un po’ di acqua di cottura; nella quale diluisce poco più di un chilo e mezzo di zucchero. Mischia il tutto. Aggiunge nella pentola parte di quei cinquanta grammi di burro iniziali. Lascia raffreddare il composto. Una volta raffreddato, versa il contenuto dell’insalatiera con mezza fiala di aroma alimentare naturale e la frutta candita. Amalgama il tutto. Stende un po’ di burro nella teglia nella quale ripone il tutto assieme a mezzo litro di latte.
La pastiera di tagliolini dolce
In forno a centottanta gradi per qualche ora, finché non raggiunge un aspetto dorato.
Che cos’è il cibo? Il valore aggiunto dell’amore:
Il cibo è tradizione. È territorio, appartenenza ed identità. Il cibo è memoria. È amore, condivisione e famiglia. Il cibo è vita! Al Sud la tavola è sacra, come il cibo e come l’atto del cucinare. Manca poco alla Pasqua. Come da tradizione sono a casa della nonna per preparare con lei i dolci. Non si tratta di mera condivisione. Significa trasmettere nel tempo, attraverso le generazioni, una memoria, un’usanza. Chiudo gli occhi. Sento il rumore della forchetta con la quale la nonna sbatte le uova. Mi incanto nell’osservare le sue mani pregnanti mentre impastano. Come se realizzasse una magia. Dal nulla crea qualcosa che verrà servito durante la grande abbuffata; durante la quale si parlerà di cibo. Del resto, una festa religiosa al Sud, non può che avere un risultato gastronomico. Gradualmente il profumo del composto che sotto al forno prende vita, invade la cucina e pervade il mio naso. Si dice che l’olfatto sia il senso più collegato alla memoria. Il timer suona. La pastiera di tagliolini dolce è pronta. La assaggio. È squisita! Ha il sapore della Pasqua. Di questa corrente, di quelle passate e di tutte quelle che verranno. Questa narrazione non è poesia?!
DUBL BRUT per accompagnare:
La pastiera di tagliolini dolce e DUBL BRUT
L’armonia al palato è l’obiettivo finale. Un obiettivo che ho deciso di raggiungere per contrasto. Scelta inusuale per un dolce. Alla mia pastiera di taglioni dolce ho abbinato DUBL BRUTFeudi di San Gregorio. DUBL BRUT, uve Falanghina 100%. È di un giallo paglierino brillante con perlage fine e persistente. Dal profumo intenso e delicato, con note che evocano zenzero e radici. DUBL nasce dall’intenzione di Feudi di San Gregorio di sperimentare il metodo classico sulle uve della tradizione campana: Greco, Aglianico e Falanghina. Il metodo classicoè un sistema di spumantizzazione che si basa sul principio della rifermentazione in bottiglia attraverso l’introduzione di zuccheri e lieviti selezionati. Questo processo nasce in Francia, nella regione nota come Champagne, famosa per il vino frizzante. Il metodo è infatti chiamato anche champenoise. La spumantizzazione secondo il metodo classico comprende diverse fasi che partono da uno o più vini base, per arrivare al prodotto finito pronto per la messa in commercio.
Parola d’ordine: territorio
Il territorio della Campania è eccellente per produrre grandi vini grazie alle escursioni termiche ed alla ventilazione. Sono 723 i vigneti sui quali si lavora per dar vita a DUBL.
Il progetto DUBL nasce nel 2004. Feudi di San Gregorio ha cercato un consulente che fosse in grado di trasferire al vino, attraverso la tecnica, tutte le qualità del vitigno e del territorio. Lo ha trovato in Anselme Selosse, piccolo produttore di Avize nella regione dello Champagne. Nell’aprile 2016 viene presentato DUBL ESSE, Dosaggio Zero in tiratura limitata. Esse come Selezione, poiché racchiude solo il meglio delle uve. Il packaging, ideato dal designer Fabio Novembre, rappresenta un’espressione di design contemporaneo.
La cucina pugliese è caratterizzata soprattutto dall’importanza che viene data alle materie prime, sia di terra che di mare; si trovano molte verdure di stagione, dalla cima di rapa al cavolo verde, alle melanzane, al cardo, ai carciofi, tutti i legumi, dai fagioli, alle cicerchie e alle fave e tutti i prodotti di mare, in particolare dell’Adriatico.
Sono tante le ricette che offre la cucina pugliese, che varia nelle diverse città e nelle province. In generale presenta una particolarità rispetto alle altre regioni: offrire piatti diversi in relazione alle diverse stagioni. In primavera e in estate, ovvero durante le stagioni più miti, prevalgono nelle preparazioni il pesce e la verdura, mentre nelle altre primeggiano la pasta fatta in casa condita con vari sughi e i legumi.
Piatti e prodotti tipici della cucina pugliese
Il piatto più tradizionale della cucina pugliese è quello delle orecchiette al ragù di carne di cavallo, ma sono altrettanto note le orecchiette con le cime di rapa, la cicoria con la purea di fave, e i piatti che si ricollegano al mare come il riso al forno alla barese: la famosa tiella barese.
Altra eccellenza di Puglia è il capocollo di Martina Franca, noto nel Regno di Napoli già a partire dal XVIII secolo.
Dopo la mondatura, il capocollo si mette sotto sale per quindici giorni e si effettua la marinatura con vincotto e spezie; successivamente si insacca in un budello naturale e si lega con dello spago. L’affumicatura può essere effettuata con rami d’alloro e timo oppure con bucce di mandorla, erbe mediterranee e corteccia di fragno, un albero di quercia diffuso nei Balcani e presente in Italia solo in Puglia e Basilicata.
La burrata e la sua storia
Un discorso più approfondito va fatto sulla regina della cucina pugliese, più specificatamente della sua tavola: la burrata.
La burrata è un formaggio di latte vaccino, a pasta filata e di forma rotondeggiante. Il suo aspetto esterno è simile alla mozzarella a forma di sacca con la caratteristica chiusura apicale. Al suo interno la consistenza è invece molto più morbida: è fatta di pasta filata stracciata a mano e panna fresca.
L’invenzione della burrata nasce dall’antica arte casearia pugliese, in particolare quella di Andria. Si tramanda oralmente che in un’antica masseria nei primi decenni dello scorso secolo Lorenzo Bianchino abbia inventato la burrata di Andria.
Si racconta che, in seguito a una forte nevicata, non potendo trasportare il latte dalla periferia in città, dovendo necessariamente trasformarlo e soprattutto utilizzare la panna che affiorava naturalmente, seguendo il concetto di produzione delle mantéche (involucri di pasta filata stagionata in cui è conservato il burro), il signor Bianchino ebbe l’idea di creare, con lo stesso principio, un sacchetto di pasta filata in cui racchiudere gli sfilacci di mozzarella immersi nella panna che affiorava dal latte per conservarla. Riempì di stracciatella il fiaschetto di pasta filata gonfiata a bocca e modellò con cura l’imboccatura dandole la caratteristica forma apicale.
Ma si tratta, infatti, di un goloso racconto che si tramanda.
Come scegliere al meglio il vino da abbinare ad un piatto: ecco alcuni consigli
Il vino è una bevanda di tipo alcolico che deriva dalla fermentazione dell’uva o del mosto, ed è considerata una delle bevande più antiche al mondo.
Oggi ogni piatto della cucina tipica italiana è sempre accompagnato da un buon vino.
“Il vino è la parte intellettuale di un pranzo, la carne e i legumi non sono che la parte materiale” diceva lo scrittore Alexandre Dumas.
Ma come possiamo scegliere al meglio il vino con il quale accompagnare un pasto?
Per decidere che tipologia di vino va abbinata al nostro piatto possiamo basarci su delle informazioni:
L’effervescenza dei vini spumantiè particolarmente utile nell’abbinamento enogastronomico. Per accompagnare pietanze dal gusto tendenzialmente dolce, come per esempio i cereali, ricchi di amido e quindi pasta e riso.
Le bollicine e l’acidità di questi vini lavoreranno in sinergia contrastando perfettamente le sensazioni tendenzialmente dolci dei cibi.
La carne va abbinata con del vino rosso corposo come un Barolo o un Lambrusco, questo perché un rosso di tipo corposo porterà nella nostra bocca un senso di secchezza che verrà compensato dalla grassezza e dall’ aromaticità della carne.
Nel caso del pesce che viene definito un cibo tendente al dolce possiamo abbinarci del vino bianco leggero come un Pinot. Nel caso si parlasse di un piatto di pesce di tipo untuoso come una frittura possiamo abbinarci un vino bianco strutturato ad esempio un gewurztraminer.
Per il dessert invece abbineremo un vino dolce come un Passito o un Moscato, o magari un vino dolce di tipo liquoroso come un Marsala o un Madeira.
Per gli amanti delle bollicine, gli spumanti dolci sono perfetti per concludere in piacevolezza un pasto.
Ad esempio come bianco un Asti Spumante e come rosso un Brachetto D’Acqui.
Durante l’emergenza da COVID-19, abbiamo assistito a un grosso cambiamento riguardo le abitudini dei consumatori, causato principalmente dai numerosi confinamenti tra le mura domestiche. La tipologia di servizi richiesti e le relazioni tra i clienti e le aziende sono di conseguenza mutate.
Alcune aziende italiane si sono riorganizzate per gestire questo momento critico e hanno deciso di riconvertire i propri prodotti e servizi ad uso della comunità. Everli: l’evoluzione di Supermercato24, marketplace leader della spesa online in Italia si è impegnato ad offrire il proprio contributo.
Aiutare chi è più a rischio
In questo contesto Everli ha messo a disposizione gratuitamente la sua piattaforma per volontari e associazioni, raccogliendo le richieste di consegna della spesa a casa per le persone più a rischio. Il Marketplace ha introdotto la consegna gratuita per i clienti over 65 attraverso il codice sconto UNAIUTOX65, da utilizzare al momento dell’acquisto.
Le consegne sono garantite nel totale rispetto delle misure igienico-sanitario. Gli shopper che si occupano di fare la spesa al posto vostro, attuano tutte le misure precauzionali. Consegnano la spesa lasciandola alla porta di casa evitando il più possibile il contatto diretto. Inoltre all’interno del sito e dell’app è stata aggiunta l’opzione “Consegnami la spesa sul pianerottolo”. L’azienda promuove e favorisce il pagamento con carte di credito. Si cerca di evitare il più possibile ogni tipo di rischio, mettendo la salute al primo posto.
Tutelare i propri dipendenti
Oltre alla tutela dei propri clienti, Everli si è impegnata per salvaguardare la salute dei propri lavoratori, esposti particolarmente al rischio contagio durante l’emergenza sanitaria. L’azienda ha offerto dei bonus ai dipendenti che hanno lavorato con maggiore assiduità; e ha dato loro la possibilità di poter usufruire di accessi agevolati ai servizi di Telemedicina forniti dalla piattaforma Paginemediche.
I dipendenti potranno richiedere alla propria azienda un rimborso pari al 50% per le consultazioni mediche effettuate sulla piattaforma. Queste iniziative ammirevoli e per nulla scontate dimostrano quanto l’azienda italiana si sia impegnata per sostenere i propri dipendenti e quanto tenga alla tutela e al benestare della popolazione.
La solidarietà in qualsiasi formato sia, digitale e non, accarezza sempre il cuore.
Un vitigno dalle origini regali: storia e curiosità sull’asprinio di Aversa
La Viticoltura Italiana è tra le più apprezzate al mondo per la sua vastissima biodiversità. Di regione in regione possiamo trovare un’enorme varietà di vitigni, dietro i quali si celano segreti nascosti e tante curiosità sul Bel Paese. Tra questi, il caso dell’Asprinio di Aversa, un vitigno storico del panorama ampelografico Campano.
Uno spumante da Re
Le sue origini sono legate a numerosi aneddoti, molti dei quali ci riportano alla famiglia degli Angioini. Si narra che fu Roberto d’Angiò in persona (re di Sicilia) a commissionare la ricerca di un vitigno adatto alla creazione di uno spumante che diventasse una valida alternativa alle rinomate bollicine francesi.
Fu così che il cantiniere di Corte, Louis Pierrefeu, identificò nei terreni vulcanici dell’aversano un vitigno dalla spiccata acidità, unico nel suo genere. Nasceva così l’Asprinio di Aversa, che ben presto sarebbe diventato lo spumante più amato dai reali d’Angiò.
L’Asprinio di Aversa conserva tuttora un fascino d’altri tempi. La sua fama, però, va oltre la semplice degustazione: il suo sistema di coltivazione ad alberateè noto per essere uno dei metodi più suggestivi al mondo.
In cosa consiste la coltivazione ad alberate ?
Il sistema di coltivazione ad alberate consiste nel far arrampicare i tralci delle viti intorno ad alti pioppi che fungono da tutori. In questo modo si creano delle barriere vegetali chiamate vigne maritate che possono arrivare fino a 20 metri di altezza .
Con la vendemmia si vede poi l’entrata in scena dei cosiddetti “uomini ragno”, contadini specializzati che utilizzano scale di legno alte e strette per la raccolta dei grappoli a mano. Oltre ad essere uno spettacolo per gli occhi, è anche di fondamentale importanza per la buona resa del vino. Questo perché l’altezza aiuta a conservare un alto grado di acidità, fondamentale per la spumantizzazione, e permette di incrociare venti e brezze marine che danno forza e vitalità al grappolo. Successivamente l’ affinamento viene svolto in cantine di tufo a diversi metri di profondità, per mantenere la temperatura fresca e costante tutto l’anno.
L’asprinio di Aversa oggi
L’uva asprinio oggi viene coltivata nella zona di Aversa in provincia di Caserta e produce un vino molto secco e dai sentori citrici e agrumati. La sua spiccata acidità lo rende ideale per la spumantizzazione sia con il metodo charmat che con il metodo classico, ma dà ottimi risultati anche come vino fermo.
Un sorso di asprinio è un’ esperienza unica: un mix di acidità e pungenza che si tramuta in profumi delicati e persistenti. Esso trova, nella sua versione spumante brut, le caratteristiche ideali per l’abbinamento ad un simbolo della gastronomia campana: la mozzarella di bufala campana DOP.
L’Asprinio di Aversa, dunque, oggi è una realtà in continua evoluzione.Pur essendo un vitigno considerato “minore”, sgomitando cerca di farsi spazio con carattere tra i grandi blasoni della viticoltura italiana.
Non è un caso che le alberate aversane siano iscritte alla candidatura al Patrimonio Naturale e Culturale dell’Unesco. Un progetto di valorizzazione del territorio, questo, che si intreccia con la riscoperta dei sapori più autentici della nostra terra. Quella che doveva essere una semplice alternativa allo champagne è diventata,dunque, simbolo di un territorio che ancora oggi urla al mondo intero la sua autenticità.
Avete presente quando dite ad un amico “sei un babbà!” per sottolineare la sua eccessiva bontà d’animo e disponibilità verso gli altri?
Beh, con la fisiognomica dei dolci finalmente potrete farlo con cognizione di causa.
Nel suo libro “Di che dolce sei?” Fabrizio Mangoni, esperto gastronomo e specialista della pasticceria (già docente di Urbanistica alla Federico II di Napoli e autore di programmi televisivi come “Di che pasta sei?” con Raffaella Carrà o “Piacere Pizza” su Sky Alice) mette a confronto i caratteri umani con l’aspetto dei dolci dando vita ad una vera e propria teoria.
La teoria della fisiognomica dei dolci
La fisiognomica dei dolci si fonda sull’assunto che “il carattere dei dolci come quello delle persone si distingue in struttura, indole profonda, propensioni verso l’esterno e gli altri” come egli stesso scrive.
Per Mangoni quindi la pasta di un dolce sarà il corpo centrale della personalità umana. Le creme rappresenteranno le passioni, le decorazioni il rapporto con gli altri.
Dunque un carattere saldo e robusto sarà di solida pasta frolla, mentre uno più debole e precario sarà di fragile pasta sfoglia e uno più cordiale ed affabile di morbido pan di Spagna. E così via, con le creme avremo persone con passioni occulte o con passioni indissolubili. Con le decorazioni persone schive, misurate o presuntuose.
Mangoni ad esempio si autodescrive come un eclair al cioccolato fatto di pasta choux, un dolce che suscita interesse ed è mosso da curiosità, ma di difficile interpretazione.
I personaggi storici
Nel libro “Di che dolce sei?” vengono analizzati molti personaggi storici. Tra i più famosi troviamo Napoleone, personalità estremamente conflittuale che viene accostato infatti ad una torta caprese: la granulosità delle mandorle vs la morbidezza del cioccolato, lo zucchero a velo a mettere pace tra le contraddizioni.
Ormai non è una novità: l’acquisto online è diventato il nostro pane quotidiano. Come riporta infatti Casaleggio Associati, i dati parlano chiaro: l’e-commerce in Italia nell’anno 2020 ha subito un notevole impulso, ribaltando il risultato (Alessandro Borghese docet) in vari settori di mercato, uno dei più importanti quello dell’alimentare.
Ogni realtà appartenente al mondo del Food ha dovuto infatti reinventarsi. Grande distribuzione, piccole/grandi aziende, per non parlare della ristorazione. Tutti si sono impegnati a cercare soluzioni innovative per poter raggiungere una clientela sempre più ampia, ma confinata all’’interno delle mura domestiche.
L’evoluzione dei modelli di business
Da questo punto di vista l’e-commerce è stato uno strumento fondamentale e con lui l’evoluzione dei modelli di business che hanno visto i protagonisti dell’agroalimentare applicare strategie differenti e innovative.
Canali di vendita online
Primo fra tutti l’ampliamento dei canali di vendita che ha visto aziende note come la Granarolo, aprire per la prima volta un vero store online. Nasce infatti lo spacciogranarolo.it , in cui la parola “Giusto” è diventata l’anello di congiunzione delle diverse categorie di prodotti, pensati ad hoc per ogni tipo di consumatore ed occasione.
Le app
Ci sono poi le piattaforme che hanno puntato invece all’ampliamento del target o del business, quali The Fork o Too Good To Go. Mentre la prima ha offerto punti omaggio e sconti avendo fiducia (forse troppa) nella riapertura dei ristoranti, l’app contro lo spreco alimentare ha fatto passi avanti e creato ad esempio sinergia tra pasticceri, produttori e consumatori lanciando l’iniziativa “#SaveThePanettone”. L’obiettivo era evitare lo spreco dei panettoni avanzati durante le feste, di cui trovate un approfondimento sul sito Gambero Rosso.
Rafforzare il brand
E c’è chi infine non perde tempo per promuovere e rafforzare il proprio brand come Barilla. Attiva su vari mezzi di comunicazione, ha puntato su un po’ di sano “patriottismo” rilanciando in tv uno spot storico e la voce di Sofia Loren e di recente, ha fatto la sua comparsa anche su Spotify, suggerendo una playlist musicale che ci accompagna per ogni tempo di cottura della pasta.
Le vie attraverso cui fare breccia nel commercio online sono tante. Ma la domanda è: sarà davvero il ‘foodplace’ del futuro o continueremo a comprare dal vivo e con gli occhi invece che con un click?
Nell’attesa di scoprire quali saranno le prospettive dell’e-commerce nel 2021, una cosa rimane importante:
Carnevale è alle porte, e quest’anno come Pasqua e Natale non potrà essere festeggiato in compagnia o per le strade. Dal carnevale di Rio de Janeiro a quello di Venezia carri, musica, mascherine e coriandoli saranno riposti nel cassetto. Ma questo non ci vieta di rallegraci deliziandoci con “le Chiacchiere di Carnevale“, il dolce tipico di questo periodo.
A seconda della regione Italiana, le chiacchiere prendono vari nomi: sono Bugie in Piemonte, Frappe a Roma, Cenci in Toscana e Crostoli in Veneto. La ricetta, però, è simile per tutti. Rettangoli friabili, dorati e con superfice bollosa, ricoperti da una generosa spolverata di zucchero a velo, vengono preparati con farina, burro, zucchero e uova, e, a piacimento c’è chi aggiunge vino bianco, marsala, grappa, brandy o liquore.
Le loro origini risalgono all’antica Roma: chiamati Farictilia, il popolo li friggeva nel grasso di maiale e le distribuiva alle folle durante i Saturnali, festa molto simile al Carnevale odierno.
Anche il nome chiacchere di carnevale, come tutti i piatti della tradizione italiana è circondato da miti e leggende. Tra tutte spicca quella Napoletana, secondo la quale il nome sarebbe nato alla corte della regina Margherita di Savoia, che chiese al suo pasticciere di corte Raffaele Esposito un dolce da gustare durante una “chiacchierata” con i suoi ospiti, da qui il nome chiacchere.
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