La dieta mediterranea: alla ricerca del patrimonio perduto

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Solo 2 italiani su 10 la seguono culturalmente e gastronomicamente. Ma (forse) c’è speranza.

Parlare di dieta mediterranea senza scivolare in facili cliché non è un compito facile. Si rischia infatti di creare degli erronei accostamenti semantici in cui la somma dei due termini nella nostra testa rischia di riportare come risultato una semplice privazione di tutto ciò che riteniamo attentatore del nostro punto vita.
In realtà (e questo è un problema ricorrente nel sostrato culturale italiano) con “dieta mediterranea” si intende un inestimabile tesoretto, una Arca dell’Alleanza valoriale capace di racchiudere non solo un “modus mangiandi” ma anche una filosofia sociale della condivisione, dello stare insieme in quell’ottica così squisitamente rituale come è quella dei pasti.

E di questo se ne sono accorti anche all’Unesco, tanto che nel novembre 2010, la Dieta Mediterranea è stata riconosciuta come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Un patrimonio che riunisce le abitudini alimentari dei popoli del bacino del Mar Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Marocco, Portogallo, Croazia e Cipro) e che vede una definizione ben chiara, da stampare in mente come l’Ave Maria della religione cibaria: “La dieta mediterranea costituisce un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, comprese le colture, raccolta, pesca, conservazione, trasformazione, preparazione e, in particolare, il consumo di cibo.” La stessa Organizzazione ha motivato la scelta dichiarando che “La Dieta mediterranea coinvolge una serie di abilità, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti le coltivazioni, i raccolti agricoli, la pesca, l’allevamento degli animali, la conservazione, la lavorazione, la cottura e particolarmente la condivisione e il consumo degli alimenti”.

Dunque la questione è traslativa, dalla tavola alla conoscenza (e coscienza). Perché il “mangiare insieme”, tipico della Dieta Mediterranea, non significa semplicemente consumare un pasto ma vuol dire rafforzare il fondamento delle relazioni interpersonali, tramandare l’identità e i valori delle comunità.
E come si è posta la storica Italia dinnanzi a questa pesante eredità? Semplicemente male. Uno primo rombo di tuono lo ha lanciato l’Associazione italiana di epidemiologia che in occasione del 39esimo congresso nazionale a Milano ha dichiarato che solo il 20% degli italiani segue questa filosofia di alimentazione.
Il carico extra lo ha aggiunto FareAmbiente che candidamente ha affermato che In Italia il 10% della popolazione è obesa, e il 40% è in sovrappeso. Per non parlare della stessa piramide alimentare : solo il 24% è a conoscenza che essa rappresenti la rappresentazione grafica dei principi nutrizionali della dieta mediterranea. Ma c’è speranza. Secondo la Coldiretti, nel 2015 c’è un aumento del 27% di acquisti di frutta, verdura, pesce e olio. Che tuttavia, come sappiamo, senza una consapevolezza culturale di base può significare solo una moda passeggera che si potrebbe cristallizzare in una ideologia rarefatta e poco pragmatica. Un “alla ricerca della dieta perduta” per l’infelicità di tutti gli antropologi proustiani del caso.

 

Massimiliano Guadagno

Laureato triennale in Comunicazione d’Impresa a Macerata con specialistica in Comunicazione e Marketing a Roma (con tesi su un progetto imprenditoriale di ristorazione), nutro la mia passione per il food and beverage cibandomi quotidianamente di esperienze e attività lavorative inerenti il settore. A tal proposito collaboro con la rivista online “inFOODation” sia su un piano redazionale che social, occupandomi tanto di contenuti dal taglio blog quanto di quelli creati ad hoc per l’omonima pagina Facebook. Una fame atavica di conoscenza e approfondimento che mi ha portato ad iscrivermi al corso di primo livello dell’AIS ed a questo Master, sperando che possa organizzare le varie “pietanze” del mio curriculum esperenziale in un preciso e coeso pasto vendibile sul mercato lavorativo.