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Francesco & Salvatore Salvo: l’Arte di nobilitare la tradizione

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Da San Giorgio a Cremano alla Riviera di Chiaia, i fratelli Francesco e Salvatore Salvo giungono a Napoli in grande stile e noi studenti del Master in Comunicazione Enogastronomica siamo andati a trovarli in compagnia di Sara Bonamini, curatrice della Guida Pizzerie del Gambero Rosso, e la Direttrice di Città del Gusto di Napoli Serena Maggiulli.

Ad accoglierci nel locale è il maitre che gentilmente ci accompagna all’interno. A un primo sguardo si intravedono dietro il bancone, attraverso un’ampia vetrata, i due forni davanti ai quali i pizzaioli danzano infornando e sfornando ‘a regina Pizza.

Se è vero che l’occhio vuole la sua parte, attraversata la prima sala il concept è chiaro: tavoli di marmo e ampio specchio su cui è stampato il nome della pizzeria, fotografie artistiche ritraenti bellissime strade di Napoli e mensole su cui poter leggere numerosissime etichette di vini importanti.

Essenziale, raffinato e luminoso l’arredamento parla per Francesco e Salvatore che con il locale di Napoli annunciano il sequel di un intreccio ricco di colpi di scena nato alle pendici del Vesuvio.

Salvatore si presenta con la sua giacca bianca, un uomo tutto d’un pezzo che con umiltà si accomoda tra noi e inizia a raccontarci la sua storia.

La pizza, simbolo di identità e progresso, è musa dei fratelli e premessa di un’avventura iniziata ben due generazioni prima con nonna Rosa che friggeva le pizze nel basso napoletano. Quando Salvo senior si sposta a Portici comincia la gavetta di Francesco e Salvatore Salvo che dopo le ore scolastiche corrono in pizzeria ad aiutare in ogni modo, imparando pian piano il mestiere della vita.

Una vera passione che arriva fino a San Giorgio a Cremano dove i Salvo rilevano una vecchia pizzeria e impastano e friggono a tutte le ore, anche quelle più calde, su un banchetto piccolo e angusto per loro tanto alti e ben piazzati. Una bottega che piano piano si allarga e diventa una pizzeria che spopola e dà un nuovo valore a un quartiere al confine con Portici e San Giovanni.

Il percorso dal lontano 2005 è stato tutto in salita e col tempo Francesco e Salvatore sono cresciuti, hanno posto la loro attenzione sui prodotti, creando un format sempre più moderno che conferisce un nuovo spessore anche alla figura del pizzaiolo.

Oggi, con la sede in Riviera di Chiaia, i due fratelli cercano di completare il mosaico di una tradizione che va ben oltre la semplice pizza e si affaccia con un occhio saggio e lungimirante anche al mondo della ristorazione.

Nel 2012, ci racconta Salvatore, iniziano a collaborare con diversi chef – Gennaro Esposito, Nino di Costanzo, Mauro Uliassi – e nascono così diverse ricette da elaborare sul disco pizza, ma soprattutto viene approfondita la formazione del personale di sala e del sommelier che rappresentano il fiore all’occhiello del progetto che parte e ritorna alla pizza.

Il nostro pranzo inizia con i fritti – crocchè e frittatina in pastella – vero onore della famiglia Salvo. Viriamo poi sulle pizze degustazione: Margherita, Cosacca e Ortolana primaverile.

Tre tonde attraverso cui assaporare la tradizione con le classiche e sperimentare nuovi accostamenti e consistenze – provola di Agerola, peperoncino verde, cipollotto fresco, zucchine fritte e fagiolini saltati con la stagionale.

Il disco si presenta fedele alla storia della verace pizza napoletana: scioglievole, maturato 24h, ampio e dal cornicione ben alveolato. L’impasto non prevarica mai sugli ingredienti scelti, con grande cura e ricercatezza, dai due maestri pizzaioli. Dal mercato ortofrutticolo al piccolo caseificio, non molto lontano dalla pizzeria, le materie prime provengono in gran parte da San Giorgio a Cremano.

Un’attenzione speciale viene data agli oli – selezionati e scelti in base agli abbinamenti possibili – e alla carta dei vini che annovera etichette alte anche tra le bollicine.

La cultura del vino è sempre più in crescita e i due fratelli fiutano questa nuova tendenza ampliando la loro cantina e stringendo collaborazioni anche con Cantine Ferrari. Interessanti gli abbinamenti di alcune pizze con diverse tipologie di Vermuth come nel caso della Quattro Stagioni con fior di latte di Agerola, OL Sciur di zola di capra stagionato ai frutti rossi e rose, caciotta di capra semistagionata di Bagnoli Irpino, scaglie di provolone stagionato e robiola di capra e vaccino.

Per concludere minimal, essenziali e ben equilibrati, spiccano i dolci d’avanguardia – mousse al pistacchio di Bronte ripiena di confettura e cremoso ai lamponi su biscotto croccante allo zucchero di canna e burro – firmati Mario di Costanzo.

Terminato il pranzo non ci resta che una passeggiata sul lungomare Caracciolo!

 

Economia del dono e contenitori per alimenti

Fuori dalle logiche del mercato tradizionale, c’è una voce che fa rumore nei silenziosi angoli dell’economia consumistica moderna, il “dono”. Questa antichissima pratica, più relazionale che individuale, è fatta di paradossi e contraddizioni. È contemporaneamente un sintomo di libertà e un vincolo sociale che per l’appunto, merita di essere ricambiato ma non lo pretende. Questo fenomeno sociale totale, ampiamente trattato dall’antropologo francese Marcell Mauss, crea un “legame di anime” e concepisce uno spazio simbolico in cui la costruzione dei legami sociali è più importante dei beni materiali che circolano.

La differenza tra dono e regalo

Nonostante spesso siano ritenuti sinonimi, le sfumature di questi termini presentano delle diversità. Il regalo infatti, come ci suggerisce l’etimologia probabilmente derivante dallo spagnolo regalar (in altri termini rendere omaggio), fa riferimento ad un gesto in cui spesso l’obbligo morale prevale sul desiderio stesso di compierlo. In questo contesto, il valore economico dell’oggetto in questione assume un’importanza diversa e decisamente più materialistica. Il termine dono invece, che include tra i suoi sinonimi anche virtù, qualità e dote, si allontana dalle formalità monetarie e materiali per riassumersi in un atto simbolico dallo spessore affettivo ed emotivo più profondo e disinteressato.

Il voler bene in una “scatola”

Ma veniamo ai contenitori per alimenti: possono essere di tutti i colori, possono essere grandi, piccoli, componibili, scomponibili, termici, sottovuoto, di plastica morbida, rigida, di vetro per le conserve o addirittura in silicone ma quindi? che cosa ha a che fare tutto questo con l’antropologia?

Immaginiamo che tutte le caratteristiche che abbiamo elencato sopra siano delle relazioni, dei legami tra persone che si vogliono bene, che si conoscono appena o che sono persino sconosciute l’una per l’altra. Ebbene il contenitore per alimenti, qualora l’oggetto del dono fosse il cibo, questo diventa un dispositivo dell’atto di donare, una sorta di transfer simbolico che esprime l’atto di prendersi cura dell’altro.

Le persone che ci vogliono bene, dentro ai contenitori per alimenti, ripongono un po’ di loro stesse, un po’ delle loro abitudini e tanto dei loro sentimenti. Questa forma di amore senza tempo è rimasta invariata. Cambia tuttavia la tecnologia infatti i più premurosi sanno, che alcuni contenitori oggi possono persino andare in microonde così non si sporca nemmeno la cucina per scaldarli. Proprio a partire da queste piccole ma grandi attenzioni e indipendentemente dal valore economico del dono alimentare, tutto questo, semplicemente non ha prezzo. Anzi, il contenitore si chiama Pietro e torna indietro perché sennò la prossima volta come si fa?

Tre Coni 2019, a Napoli i più importanti maestri gelatieri d’Italia

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I più importanti maestri gelatieri d’Italia si danno appuntamento a Napoli il 30 maggio alle 19 sulla Terrazza Angiò del Renaissance Naples Hotel Mediterraneo (via Ponte di Tappia 25 – Napoli) per celebrare le ultime novità di un prodotto che si sta evolvendo a passi da gigante con l’evento Tre Coni 2019.

Il gelato artigianale di qualità guarda con occhio attento a tutte le esigenze che il pubblico sta avendo: light, per celiaci, per vegani o semplicemente gourmet alla ricerca di gusti sempre più estremi e su quest’onda la II Edizione del Tre Coni promette i fuochi d’artificio.
La Città del Gusto Napoli, la costola di divulgazione enogastronomica del Gambero Rosso, ha riunito il gotha presente in Guida, l’élite che ha sacrificato tutta la propria vita nel trattamento delle materie prime e nella ricerca di tecniche sempre più sofisticate per soddisfare i palati dei degustatori.

Tre coni 2019 gelato napoli hotel
Tre coni 2019, una foto dello scorso anno

Alberto Marchetti dal Piemonte, Fabio e Monia Solighetto, Candida Pelizzoli dalla Lombardia, Cinzia Otri, Gianfrancesco Cutelli dalla Toscana, Claudio Zanette e Antonio Mezzalira dal Veneto, Mattia Cavallari, Stefano Guizzetti, Stefano Roccamo dall’Emilia Romagna, Paolo Brunelli dalle Marche, Dario Benelli, Dario Rossi, Davide Frainetti, Marco Radicioni, Veronica Fedele dal Lazio, Raffaele Cuomo, Raffaele Del Verme dalla Campania, Emilio Panzardi dalla Basilicata, Giancarlo Timballo, Alessandro Scian dal Friuli Venezia Giulia, Francesco Dioletta dell’Abruzzo, Giulio Rocci e Emanuele Monero, Marco Serra dal Piemonte, Maurizio Profumo dalla Liguria tutti in città per un percorso di degustazione con gelati artigianali tutti da scoprire, che vanno dal classico al post-moderno, abbinando la storia della pasticceria italiana a piatti salati che nel Bel Paese sono sacri.

Giovedì si potrà provare il gelato al vitello tonnato oppure alla carbonara oppure la mandorla o il mandarino; il sorbetto al raro frutto dello yuzu abbinato alla chips di polenta oppure farsi bastare il timo o gli asparagi oppure un più classico gelato al cioccolato che arriva da mesi di ricerca per trovare la ricetta perfetta.

Tre coni 2019 gelato napoli degustazione
Tre coni 2019 gelato napoli degustazione

Non solo tecnologia, non solo materie prime, ma anche lo storico brand italiano Fabbri 1905 sarà protagonista al Tre Coni 2019 Gambero Rosso. I golosi gelati preparati dai Maestri saranno accompagnati difatti anche le amarene di Fabbri 1905, l’eccellenza italiana nel mondo che il pubblico potrà liberamente abbinare  ai tanti gusti dei Maestri gelatieri presenti.
Anche la filiera agroalimentare sarà importante protagonista al Tre Coni 2019 con una degustazione di fragole varietà Sabrina, Candonga, Rabida, Fortuna, direttamente dalla Piana del Sele.
La serata di divulgazione del gelato destinata ad un pubblico di stampa, addetti ai lavori e appassionati, vedrà protagonisti anche del food che, nel percorso di degustazione, ben si legano ai prodotti dei Maestri gelatieri e beverage: liquori dolci, amari, vini liquorosi, bollicine tra cui la Distilleria Amato e i liquori Alma De Lux.

Sapori, profumi e colori della Penisola Sorrentina

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Presenta una forma ellittica e simmetrica, dimensioni medio grosse,un peso non inferiore ad 85 grammi; la buccia è di spessore medio e di colore giallo citrino. La polpa è di colore giallo paglierino, con succo abbondante con elevata acidità. Avete già capito di cosa si tratta? Si sono loro. I limoni di Sorrento, prodotto ortofrutticolo italiano a Indicazione Geografica Protetta, coltivato sulla penisola Sorrentina ed in particolare nei comuni di Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Vico Equense e sull’isola di Capri.

La presenza di limoni nell’area sorrentina è certificata da documenti storici del 1500. Il “Limone di Sorrento” IGP ha in effetti antenati genetici che risalgono addirittura all’epoca romana. Su numerosi dipinti e mosaici rinvenuti negli scavi di Pompei ed Ercolano sono raffigurati infatti limoni che testimoniano l’utilizzo di tali frutti profumati sulle mense dei nostri avi latini. Le più importanti documentazioni sulla presenza di limoni nella zona risalgono all’epoca rinascimentale, anche se dobbiamo attendere il 1600 per avere la certezza della coltivazione in forma specializzata.

Le caratteristiche di qualità del “Limone di Sorrento” IGP sono esaltate dalle particolari tecniche di produzione, ancora legate alla coltivazione delle piante sotto le famose “pagliarelle”, stuoie di paglia che vengono appoggiate a pali di sostegno di legno, solitamente di castagno, a copertura delle chiome degli alberi, al fine di proteggerli soprattutto dal freddo e dal vento e per conseguire anche un ritardo della maturazione dei frutti, che rappresenta uno dei principali elementi di tipicità di questa produzione.

Il limone di Sorrento è ormai conosciuto in tutto il mondo grazie al suo utilizzo in cucina da parte dei più grandi chef di fama internazionale nelle più svariate funzioni: dal suo uso al naturale per spremute e succhi, alla creazione dei primi piatti, secondi piatti e dessert, tra cui la famosa delizia al limone inventata dal Cavalier Carmine Marzuillo insieme a suo fratello Alfonso. Per anni chef del ristorante Antico Francischiello di Massa Lubrense, Marzuillo ha segnato una tappa importante nella diffusione della delizia al limone, ancora oggi tramandata perfettamente dal pasticciere nonché titolare Antonino Attardi del noto locale di Massa. Non dimentichiamo a fine pasto il Limoncello divenuto oggi giorno un principale attrattore gastronomico per i turisti: un liquore immancabile nella ristorazione locale pronto ad essere gustato come aperitivo o digestivo e realizzato a partire da una ricetta semplice, ma meticolosa, tramandata da generazioni e generazioni.

Ricetta

Ingredienti

  1. 8 limoni IGP di Sorrento
  2. 1 lt di alcool a 95°
  3. 1 lt di acqua
  4. 700 gr di zucchero

  5. Procedimento

  1. Lavate i Limoni IGP di Sorrento sotto acqua corrente e spazzolate accuratamente;
  2. Sbucciate i Limoni di Sorrento in modo da utilizzare la sola buccia;
  3. Ponete in una brocca 700 cl di alcool;
  4. Inserite le bucce di Limone nell’alcool e lasciate riposare per un mese in un luogo buio e asciutto;
  5. Dopo il mese di riposo riprendete la brocca con l’alcool che avrà, intanto, acquistato un colore giallo paglierino;
  6. Ponete un pentolino sul fuoco con l’acqua e lo zucchero senza portare ad ebollizione;
  7. Lasciate raffreddare lo sciroppo di zucchero ottenuto, poi versate all’interno della brocca con l’alcool ed aggiungete altri 300 cl di alcool;
  8. Dopo ulteriori quaranta giorni di riposo il un luogo buio ed asciutto, prendete la brocca, filtrate l’alcool in modo da eliminare le bucce di Limone ed imbottigliate.

 

Peperoncino. Storia di un amore perduto con 8 perché

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Perché il peperoncino?

È primavera inoltrata, sei dal vivaio per la classica scorta di erbe aromatiche, quando affianco al banco di basilico, timo e maggiorana scorgi piantine con strani nomi allegati: Chupetiño, Acrata, Pimenta da Neyde, Jamaican Scotch Bonnet, Trinidad Scorpion, il peperoncino in tutto il suo splendore. Non fai in tempo ad ammirarne la varietà che la mente è già all’altro mondo. Tra esotismo dei nomi e frutti dai colori più disparati ti ritrovi in casa una ventina di piante che disperatamente non sai dove mettere.

Piante di peperoncino
Peperoncino. Piccole piante crescono

Inizia così una breve, ma intensa storia d’amore. Breve perché scoprirai che il piccante incontra i favori di solo una parte minoritaria dei componenti della casa e le scorte fino al 2025 ti indurranno a sospendere la produzione. Intensa, perché ti ritroverai a contemplare ossessivamente un disidratatore in funzione da 48 ore appositamente comprato.

Essiccatore con peperoncini
Essiccatore a lavoro

Per la nostra storia incominciamo col dire che i peperoncini sono i frutti colorati della pianta del peperoncino, il cui nome latino è Capsicum. Sono “cugini” dei pomodori e melanzane, ma non sono parenti del pepe bianco o nero (specie Piper) nonostante ne richiami il sapore, piccante e speziato. Provengono dalle zone tropicali e temperate delle Americhe e la loro diffusione è testimoniata dalle 10.000 varietà disponibili per colore, forma, dimensione e piccantezza.

Perché i peperoncini sono così speciali?

La varietà ci fornisce un indizio sul dato che il peperoncino è l’ingrediente più diffuso e amato al mondo. Se pensiamo all’India, al Messico, alla Thailandia, alla nostra Calabria, comprendiamo come il peperoncino sia diventato una componente essenziale della cucina. Cucinati e usati nei modi più diversi, dai curry infuocati indiani alle salse quasi dolci dell’Estremo Oriente passando per l’affumicatura dei Jalapeño chipotles messicani, è il gusto intenso dei peperoncini ad esaltare le pietanze.

Peperoncini gialli
Peperoncini gialli. Belli e cattivi

Perché il peperoncino nel mondo?

Ritrovamenti archeologici testimoniano l’uso dei peperoncini nella cucina messicana già 6000 anni fa. Con Cristoforo Colombo inizia il grande viaggio per il mondo: prima tappa dai Caraibi alla Spagna. In Europa furono coltivati essenzialmente come curiosità botanica prima di scoprirne il potenziale in cucina e in medicina.

Le navi spagnole di ritorno dalle Americhe facevano spesso scalo a Lisbona, ed è così che il testimone della diffusione può passare al Portogallo che introdusse il peperoncino in Asia. A partire da Goa, loro colonia indiana, il peperoncino giunge fino in Giappone passando dalla Cina e dall’Indonesia o risale le vie commerciali attraverso l’Asia centrale fino alla Turchia e oltre.

Perché gli uccelli si e i mammiferi no?

Oltre a Colombo, per la diffusione dei peperoncini dobbiamo ringraziare gli uccelli. Nella competizione come migliori diffusori di semi quest’ultimi battono i mammiferi 2 a zero. Il transito dei semi nell’intestino degli uccelli è infatti liscio e senza danni e i semini possono essere liberati efficacemente in volo.

Per i mammiferi non è così. Questi scomporrebbero nell’intestino non solo i frutti, ma anche i semi segnandone la fine. Ciò induce a credere che la capsaicina si sia evoluta per proteggere i peperoncini “bruciando” i mammiferi e inducendoli a stare alla larga.

Perché sono così piccanti?

Lacrime e naso che cola? Bocca in fiamme? Sudore sulla fronte e battito cardiaco accelerato? Prendetevela con il cervello e i ricettori del dolore nelle mucose, che si fanno ingannare immaginando chi sa quale pericolo dalla famigerata capsaicina, un alcaloide che in realtà non brucia né danneggia ma ha la capacità di attivare i vari “sistemi di allarme”.

Tra questi, il cervello scatena anche il rilascio di endorfine, antidolorifici naturali che ci fanno sentire rilassati e felici: al sudore, al singhiozzo, alle lacrime e all’eccitazione ecco che subentra una sensazione di grande euforia e infine di rilassatezza. Ecco spiegato perché la dipendenza dal cibo piccante è dietro l’angolo e perché l’assunzione regolare di peperoncino aumenta gradualmente la tolleranza alla piccantezza.

Perché una scala di piccantezza?

Per mettere ordine in un mondo dal piccante molto variabile a seconda della tipologia della pianta e della sensibilità individuale, dobbiamo ringraziare il signor Wilbur Scoville e la sua unità di misura – shu (Scoville heat unit) – ideata nel 1912. Questa unità di misura esprime il contenuto di principio attivo dei frutti e indicava in origine la diluizione necessaria per annullare la piccantezza di 1 ml di estratto di peperoncino.

Il valore varia da 0 per i peperoncini dolci ai 1.000-4.000 per il Jalapeno Pasilla o fino a 10.000 per la versione Chipotle (Messico). Tra 10.000-20.000 troviamo i più potenti frutti di Calabria, diavoletti piuttosto mansueti rispetto ai parametri – 30.000-50.000 – del peperoncino di Cayenne (Guiana francese). Dopo di ché possiamo salire decisamente ai 250.000-580.000 dell’Habanero Red Savina (USA), passare tra i 500.000 fino alla vetta del milione per il terribile Bhut Jolokia (India) per arrivare a oltre 1.000.000 per i temibili “Naga”, una intera categoria di peperoncini super-hot coltivati nel nord-est dell’India, e per le varietà ultra piccanti di Trinidad. In questo caso possiamo dire che si arriva a maneggiare peperoncini con guanti e occhiali protettivi.

Scala Scoville per peperoncini
Scala Scoville

Perché coltivarli?

Potremmo rispondere “perché no?” Se ci piacciono, consideriamo che i peperoncini sono piante davvero facilissime da coltivare, non necessitano di attrezzature particolari e sono poco soggette a parassiti e malattie. Occorre solo un po’ di pazienza, un po’ di tempo e un posto luminoso e caldo. Sarete ricompensati da piante dalle dimensioni e forme più varie, ma soprattutto da frutti dai colori più incredibili. Produzioni impressionanti da metà estate a fine autunno a fronte di pochissimi problemi. Quindi piante splendide e gratificanti, spesa minima per un sacchetto di semi per avere un ingrediente speciale lì a disposizione. Che dite, si può andare al vivaio?

 

Peperoncino rosso
Peperoncino rosso piccante

Perché utilizzarli?

Non siete ancora convinti? E allora non considerate solo la piccantezza, perché i peperoncini fanno anche bene. Da secoli usati come farmaci in Sud America, i benefici effetti sulla salute sono evidenziati anche dalla medicina moderna. Con elevati livelli di calcio e vitamina C e ricchi di beta-carotene, i peperoncini possono contribuire a prevenire il diabete, curare l’artrite e accelerare il metabolismo. Non basta? Considerate allora che la collezione di farfalle non è più di moda oggi, con quella di peperoncini, invece, il successo è assicurato.

Peperoncini in polvere
Peperoncini secchi. Produzione propria

La Storica Pasticceria Pansa vince il World Pastry Star

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La Stella del World Pastry Stars torna in Campania, grazie alla Storica Pasticceria Pansa di Amalfi che riporta in costiera il prestigioso premio, dopo la vittoria di Sal De Riso del 2016.
L’evento, uno dei più importanti congressi della pasticceria al mondo, si tiene a Milano lunedì e martedì per la VI Edizione ed è organizzata da Italian Gourmet, con il patrocinio e la collaborazione dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani e di Relais Dessert.
Quest’anno tra i relatori ci saranno Olivier Bajard, Iginio Massari, Gino Fabbri, Pierre Hermé tra gli altri e, per l’appunto, Andrea e Nicola Pansa, la quinta generazione della famiglia amalfitana.

Arrivati a Piazza Duomo non si può restare inermi dinnanzi alla meravigliosa insegna in marmo con scritto “Andrea Pansa” a caratteri cubitali. Si respira tutto il peso della storia, una storia partita nel 1830 quando proprio Andrea Pansa intuì le potenzialità turistiche di Amalfi, con la bellezza del Duomo dedicato a Sant’Andrea Apostolo e l’incanto del panorama che la Costiera offre, quando decide di aprire un piccolo laboratorio dove presentare i prodotti tipici della pasticceria napoletana.
In breve tempo diventa un luogo di culto al pari della chiesa e passano da qui personaggi del calibro di Richard Wagner e Salvatore Quasimodo, che si allungano da Salerno e Napoli per provare i prodotti di Andrea e dei suoi figli. Ancora oggi, varcando l’ingresso, si avverte il peso di questa storia che viene continuamente innovata dalle generazioni che si sono avvicendate, fino ad arrivare proprio ad Andrea e Nicola, i due pasticceri che oggi stanno portando il nome della famiglia nel III Millennio.
Per i Pansa la tradizione deve restare salda ma va continuamente alimentata da ricerca di innovazione e ricerca di prodotto, mantenendo fede al territorio meraviglioso in cui il locale si trova.

Il limoneto dei Pansa
Il limoneto dei Pansa

Qualche mese fa abbiamo intervistato proprio Nicola Pansa nel corso della III Edizione di Pasticceri&Pasticcerie d’Italia 2019 del Gambero Rosso che ci parlava esattamente di questo rapporto tra il territorio, la tradizione e l’innovazione: “A dicembre abbiamo visitato una piantagione di cacao in Belize ed abbiamo creato un dolce in omaggio a quella terra” spiega Nicola Pansa; il tortino si chiamerà “Maya, in omaggio a quella terra ed è un cake di cioccolato fondente al cacao 73% che abbiamo tagliato con la buccia di limone di Amalfi”.
I “Limoni di Amalfi” di cui parla l’altissimo pasticcere, che ricorda un po’ Jim Parson, sono coltivati proprio nei terreni della famiglia, una famiglia meravigliosa che ogni anno rende orgogliosi i campani, strappando premi in tutto il mondo.

La delizia a limone dei Pansa
La delizia a limone dei Pansa

Proprietà dei pomodori: quelle 5 che ancora non conoscevi

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Da secoli presenti sulle nostre tavole come alimento emblema della dieta mediterranea, i pomodori rossi possono essere senza dubbio annoverati tra i cosiddetti superfood, quei cibi a cui vengono riconosciute particolari virtù salutistiche. Da quelle antitumorali a quelle antiossidanti, le loro proprietà ampiamente riconosciute risultano benefiche davvero per tutti, salvo pochissime eccezioni per chi soffre di gastrite o di allergia. Dei pomodori, tuttavia, ci sono anche caratteristiche meno note, ma non per questo meno importanti. Vediamone 5 qui di seguito!

1. Se mangiati cotti, riducono il colesterolo

Assunti frequentemente, i pomodori sono l’immancabile alleato della dieta per abbassare il livello di colesterolo LDL, quello cattivo. Questa loro straordinaria dote è merito del licopene, un antiossidante presente in quantità elevate nella buccia (fino a 5 volte in più in confronto alla polpa) che è tanto più disponibile quanto più viene sottoposto a cottura. Infatti, il calore fa consumare la parete rigida delle cellule del licopene e ne facilita l’assimilazione da parte dell’organismo. Si tratta di una sostanza lipofila, cioè particolarmente solubile in presenza di grassi vegetali come l’olio extravergine d’oliva. Il licopene è anche molto stabile ad alte temperature (sopporta bene i 110°C) e regge straordinariamente alle lunghe cotture casalinghe. Per questo motivo, un buon ragù napoletano cotto a fiamma lenta, a base di olio EVO e di pomodori di alta qualità (come quelli del piennolo) potrebbe perfino rivelarsi la ricetta migliore per sconfiggere il colesterolo!

2. Aiutano a combattere l’accumulo di liquidi

Grazie ai tanti sali minerali che compongono la loro parte acquosa, i pomodori risultano un valido aiuto contro la ritenzione idrica. È il potassio in particolar modo a svolgere una funzione di riequilibrio idrico, contrastando l’accumulo di liquidi e tossine nei tessuti e la cattiva microcircolazione. Per di più, la presenza dell’acido citrico (quello che conferisce ai pomodori il loro tipico sapore leggermente acidulo) contribuisce a stimolare la salivazione e l’attivazione dei succhi gastrici, il che è un utile coadiuvante nella stimolazione della digestione e della corretta assimilazione degli alimenti.

3. Sono un anti-age formidabile che nutre la pelle

È ormai risaputo quanto le carote facciano bene alla pelle, soprattutto in estate e in fase abbronzatura. Eppure, dovete sapere che di betacarotene sono ricchissimi anche i pomodori rossi. L’organismo trasforma questa sostanza in vitamina A, quella più utile alle membrane cellulari e alle mucose. Per beneficiare di questa sensazionale proprietà potete scegliere o di mangiare pomodori in quantità, o perché no, anche di spalmarvelo addosso! Prendete delle garze ed imbevetele nel succo di pomodoro mescolato ad un po’ d’olio EVO e ad un cucchiaino di succo di limone. Sistematele sul viso, sul collo e sulle mani e tenetele in posa per 30 minuti. Ciò vi aiuterà a rallentare l’invecchiamento cutaneo.

4. Sono fortemente consigliati ai fumatori

I carotenoidi contenuti nei pomodori hanno un ruolo significativo nella prevenzione delle infezioni ai polmoni. Infatti, i pomodori contrastano l’assimilazione della nicotina e di molti altri elementi presenti nello smog cittadino. Possono avvalersi di questa virtù salvifica non solo i fumatori, ma anche tutti coloro che vivono in aree ad alto tasso d’inquinamento.

5. Fanno bene alla vista

Per difendere gli occhi dal sole non è necessario indossare un paio di occhiali scuri. Infatti, la luteina e la zeaxantina, due carotenoidi presenti nei pomodori rossi, provvedono a proteggere la vista dalle radiazioni solari, oltre a prevenire l’insorgenza di malattie degenerative dell’apparato visivo. Insomma, da adesso non guarderete mai più i pomodori con gli stessi occhi!

Un ultimo consiglio

Va ricordato che è solo scegliendo la varietà e la qualità migliore di pomodori che le virtù di questi fantastici ortaggi possono manifestarsi in tutta la loro potenza. Vanno perciò preferiti quelli di stagione, che sono gli unici a beneficiare del caldo sole estivo necessario per la perfetta maturazione.

VitignoItalia 2019 – Il Salone dei Vini e dei Territori

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Giunge alla XV edizione VitignoItalia, la più importante manifestazione enologica del Sud Italia. A fare da sfondo alla kermesse, che avrà luogo da domenica 19 a martedì 21 maggio 2019, sarà ancora una volta l’incantevole location di Castel dell’Ovo, il più antico castello di Napoli che si affaccia sul golfo. Quest’anno saranno ben 280 le aziende vitivinicole a partecipare, per un totale di oltre 2500 etichette presenti in degustazione, provenienti da tutto il territorio nazionale.

A fare da capofila sarà la copiosa compagine campana, composta da circa 80 produttori, in rappresentanza di una regione sempre più in crescita dal punto di vista enologico, capace ogni anno di aggiungere nuove interessanti realtà a quelle già affermate e alzando, di stagione in stagione, il proprio livello qualitativo. Saranno infatti 44 le cantine campane, provenienti dai territori dell’Irpinia e del Sannio.

Durante le giornate di Vitigno Italia si svolgerà la competizione per l’assegnazione del titolo di “Miglior Sommelier della Campania 2019”. Una gara in cui quattro concorrenti si sfideranno per contendersi il titolo, e l’assegno di 1.000 euro messo a disposizione dall’Associazione Italiana Sommelier Campania. La proclamazione del vincitore ci sarà alle ore 20.00 di lunedì 20 e si concluderà con la degustazione “Le sei anime del Sangiovese in Toscana”, guidata dal Miglior Sommelier d’Italia 2018 Simone Loguercio, assieme al neo eletto campione campano.

L’importanza del servizio sarà uno dei punti di forza di questa edizione. VitignoItalia, infatti, ospiterà “Emergente Sala”, la competizione annuale dedicata ai migliori maître e responsabili di sala under 30. L’appuntamento è divenuto un punto di riferimento per chi opera nel settore e si articola in molteplici eventi che durante l’anno coinvolgono diverse città italiane, selezionando i candidati che poi si affronteranno nella finalissima di Roma. Castel dell’Ovo sarà dunque lo scenario di una delle tappe del contest per il quale i concorrenti si sfideranno tra prove sia pratiche che teoriche.

Da quest’anno inoltre Vitigno Italia guarda anche alla responsabilità sociale e alla sostenibilità in campo vitivinicolo e fa squadra con CSRMed, il Salone Mediterraneo della Responsabilità Sociale, con l’obiettivo di valorizzare l’impegno delle aziende aderenti alla manifestazione verso queste due tematiche, oggi fondamentali per il comparto. Due, in particolare, le iniziative che debutteranno nell’edizione di quest’anno nell’ambito del neo progetto PRess4Wine: il Premio VitignoItalia per l’innovazione Responsabile, su cui si accenderanno i riflettori a chiusura della tre giorni con l’assegnazione dei riconoscimenti per le categorie Ambiente, Territorio e Capitale Umano, e il Premio speciale “Comunicare la Responsabilità, la Responsabilità di comunicare”.

Infine, molto appetibile per tutti gli amanti del vino, ci sarà la possibilità di acquistare online, al momento dell’assaggio, alcuni dei vini presenti, grazie al media partner Enosocial. L’innovativa App per smartphone e tablet consentirà agli appassionati di avere a casa, con un semplice click, le etichette più apprezzate delle cantine aderenti all’iniziativa.

 

VitignoItalia XV Salone dei vini e dei territori vitivinicoli italiani

Castel dell’Ovo, via Eldorado 3, Napoli
Domenica 19, lunedì 20 e martedì 21 maggio 2019
Dalle ore 15.00 alle ore 22.00
Prezzi: domenica € 30, lunedì e martedì € 25 (prevendita on-line domenica € 25, lunedì e martedì € 20)
www.vitignoitalia.it – Tel. 0814104533 – segreteria@vitignoitalia.eu

Food Influencer Marketing: di che si tratta?

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Il food influencer marketing è un tipo di strategia di comunicazione che fa leva sulle persone “influenti” nell’ambito dell’enogastronomia. Non è certo una gran novità, ti starai dicendo. Sono ormai decenni che le aziende usano testimonial e volti famosi per vendere al pubblico i propri prodotti. Va però detto che ad aver amplificato questo fenomeno è stato l’avvento dei social media, ed in particolare quello dei cosiddetti opinion leader o social influencer – blogger, youtuber, utenti di Facebook, di Instagram, di Twitter e chi più ne ha più ne metta. Nei fatti, questi ultimi possono rivelarsi l’asso nella manica per un’efficace strategia di marketing nel campo del Food&Beverage. Vediamo perchè!

Chi sono gli influencer

Innanzitutto, gli influencer sono persone che, tramite le piattaforme di social networking, riescono letteralmente ad influenzare l’opinione degli altri e ad orientarne le decisioni di acquisto. Si tratta generalmente di utenti che possono far leva su un seguito di migliaia o addirittura milioni di fan o follower. Questa loro vigorosa capacità di presa deriva dal fatto di essersi guadagnati una buona credibilità su un certo tipo di tematica (vedi Chiara Ferragni nell’ambito della moda), soprattutto tramite la condivisione quotidiana di contenuti pertinenti e la costruzione di un saldo e duraturo rapporto di fiducia con l’audience. Ma qual è il vero segreto di ogni influencer di successo? Senza dubbio l’essere (o meglio l’apparire) esattamente “come uno di noi”, quindi come una persona normale e lontana da qualsiasi interesse che non sia quello di condividere online piccoli stralci della sua quotidianità.

Cos’è l’influencer marketing

Questo fenomeno è chiaramente risultato di enorme interesse per i brand di qualunque settore. Le aziende più attente, infatti, hanno scorto nella capacità degli influencer di parlare con familiarità e confidenza al proprio pubblico un’inedita strategia di marketing grazie alla quale riuscire ad arrivare dritti ai cuori dei consumatori. Come? Sicuramente mirando a quella grande emozione umana che è l’empatia. Puntare sugli influencer, infatti, significa mettere al centro dei propri piani di comunicazione non tanto i prodotti o i servizi, quanto le persone e le loro storie. La tattica è vincente, soprattutto se si pensa a quanto i consumatori si siano ormai atrofizzati al classico advertising spietato fatto di banner e pop-up insopportabili. E quindi, quali sono obiettivi di una tale strategia? Aumentare in primo luogo l’awareness (ovvero il modo in cui un brand si posiziona all’interno del suo target di riferimento con la sua capacità di veicolare un certo tipo di valori), per poi incrementare la brand reputation e rafforzare la relazione con la community di utenti.

Perché l’influencer marketing si adatta bene al mondo del food

Il food è uno degli ambiti in cui l’influencer marketing funziona più efficacemente. Stando alle statistiche di Blogmeter, partner tecnologico dell’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, il Food&Beverage è il settore merceologico che adotta con più frequenza progetti insieme ad influencer (17%). Questo perché il cibo è uno di quegli elementi della quotidianità che, nel momento in cui appare sul feed di Instagram o di Facebook, non viene ancora pienamente percepito come una “merce” vera e propria. Basti pensare che la maggior parte degli utenti sceglie di seguire i  canali dei food influencer allo scopo di scovare nuove ricette e consigli di cucina, e quasi mai per farsi suggerire che tipo di prodotto comprare. Questa attitudine è visibile soprattutto nelle micro-communities di vegani, celiaci, intolleranti al lattosio e simili: rispetto ai follower di moda e fashion, gli utenti che navigano nel mondo del cibo ricercano la scoperta, piuttosto che l’ispirazione. Ovviamente, il fatto che quanto in realtà è pubblicità venga ancora largamente avvertito come semplice intrattenimento reca con sé grandissimi vantaggi, primo fra tutti un maggior coinvolgimento del pubblico.

Instagram: il social dei record è il social dei food influencer

Che si tratti di ricette casalinghe, di ristoranti o di servizi di delivery, il food online viene raccontato prevalentemente tramite immagini. Ciò è di assoluta rilevanza in un contesto come quello odierno in cui Instagram, il social della fotografia per eccellenza, è leader indiscusso tra le piattaforme di social networking. Si tratta, infatti, di quella che cresce in media 5 volte di più rispetto alle altre, essendo arrivata ad almeno 1 miliardo di utenti attivi a livello globale. Non a caso Instagram è il social media più in voga tra i food influencer in Italia. Tanto per fare un esempio, Benedetta Rossi ed il suo @fattoincasadabenedetta dedicato a ricette facili e veloci possono contare su un seguito di ben 1,3 milioni di follower. Mica bruscolini.

Non accontentarsi solo dei food influencer

Pertanto, alle aziende non resta altro da fare che contattare i food influencer che maggiormente si addicono ai propri target, instaurare con loro rapporti di collaborazione e fornirgli link o altri collegamenti ai propri prodotti. Questi dovranno essere inclusi all’interno delle Instagram stories, nelle immagini dei post su Facebook o nelle video-ricette su Youtube. Va però detto che non sempre gli influencer più efficaci per un brand nel settore del Food sono quelli che operano in contesti affini: le aziende possono e devono stanare influencer anche in altri settori. Infatti, è solo adottando una visione trasversale che si è in grado di intercettare nuovi target di utenti. Le social-mamme, i lifestyle influencer o i travel blogger sono tutti esempi di persone in grado di creare contenuti ugualmente adatti ad un prodotto dell’ambito del food e che siano facilmente incorporabili all’interno delle loro routine quotidiane.

Hummus: il colore della sabbia

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Sei tornato a casa dopo una giornata pesante. Sei stanco, vorresti semplicemente evadere con il pensiero ed evitare di cucinare. Eppure hai fame e un piccolo conforto culinario è disperatamente necessario. Una facile soluzione? L’hummus.

Tieni presente che i ceci sono ricchi di aminoacidi in grado di stimolare la serotonina, l’ormone del buonumore. Per indicarli puoi usare la parola araba hummus e credimi con solo 5 minuti puoi donarti un hummus bi tahine ovvero “ceci con salsa di sesamo”. Una fetta di pane, un bicchiere di vino e puoi partire per il Medio Oriente direttamente dal divano di casa.

Questi gli ingredienti, e non preoccuparti se non hai messo a bagno i ceci in acqua fredda per una notte per poi bollirli per un paio d’ore o più: puoi usare i ceci lessi in scatola. Non allarmarti se non hai in casa il burro di sesamo e il cumino: li comprerai per la prossima volta.

Ingredienti per l’hummus

  • 100 gr di ceci secchi o 250 gr di ceci lessi
  • 6 cucchiai di tahine (le prime volte anche meno)
  • 1 limone spremuto
  • 2 cucchiai d’olio d’oliva
  • 1 spicchio d’aglio
  • 1 cucchiaino di cumino macinato (anche qui vai a scalare testando)
  • Sale
  • Prezzemolo, sommacco o semi di sesamo per guarnire
hummus ingredienti
Ingredienti per la salsa di ceci

L’hummus è un piatto tipico della cucina araba. Diversi Paesi del Medio Oriente se ne contendono la paternità con relativo e inevitabile acceso dibattito. Questa disputa ha ispirato anche il film Make hummus no war a sottolineare la natura ambivalente del cibo, in grado di dividere quanto unire nel dialogo.

Nel presentare il procedimento, ricordati che l’hummus è il re delle salse palestinesi e si mangia anche a colazione con i falafel (polpette di ceci) e la pita (il pane arabo).

hummus con pane arabo pita
Hummus con Pita

Procedimento

Scolati i ceci lessi, mettili nel frullatore insieme agli altri ingredienti: aglio, tahine, olio d’oliva, cumino, succo di limone e sale. Frullare il tutto fino ad ottenere una purea, aggiungendo un po’ d’acqua fredda se necessario. Assaggia fino a trovare il giusto equilibrio tra limone, tahine e cumino.

Decora il piatto usando il lato concavo del cucchiaio per comporre dei cerchi, aggiungi olio d’oliva con prezzemolo e sommacco (a volte vario con la paprika, ma non lo diciamo). L’hummus non tradisce.

hummus e ricette palestinesi
La cucina palestinese