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Eccellenze Campane, parlano i protagonisti

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Eccellenze Campane continua a riscuotere successo di pubblico ed apprezzamenti di ogni genere. C’e di tutto, il meglio del cibo e del bere. Dal fritto alla carne, dalla pizza al panuozzo passando per vino, caffè, liquori ed anche il tabacco napoletano. Tanti punti vendita organizzati e coordinati da un cuore imprenditoriale carico di sogni, aspettative e speranze.

“Siamo pizzaioli da cinque generazioni – dice fiero Guglielmo Vuolo. Mia nonna, la madre di mia nonna, io, mio padre e mio figlio. Sono orgoglioso di essere Napoletano ed il nostro obiettivo è quello di portare la pizza sempre più in alto. Essere Napoletano non è roba da tutti. Già a sei anni impastavo nonostante mio padre mi volesse dedito agli studi. Ho avuto la possibilità di aderire al progetto delle eccellenze quasi per caso ed all’ultimo momento – continua Vuolo- grazie alla rinuncia dell’amico mio Ciro, lui ha passato il turno ed io ho preso il suo posto”.

“Ho cominciato con un kit casalingo per la produzione di birra artigianale – afferma sorridente Nello Marciano, giovane imprenditore del settore bere -. Grazie ad uno stage in Piemonte ho avuto l’opportunità di approfondire il fare birra. Dopo poco tempo sono stato invogliato da Paolo Scudieri e Pasquale Buonocore a produrre in modo più vasto il mio prodotto artigianale. L’idea è nata quattro anni orsono e l’anno passato abbiamo potuto estendere il progetto concreto. Ci poniamo l’obiettivo di creare la birra napoletana e campana – conclude l’ideatore di birra Maneba – e non nascondo l’idea di volerla portare fuori dai confini regionali.”

In via Brin non poteva mancare il pane quotidiano. “Siamo panificatori da tre generazioni – afferma emozionato Pasquale di Baino ed Esposito –. Abbiamo messo in cantiere l’idea di aderire ad Eccellenze Campane circa tre anni fa con l’augurio ed il fine ultimo di esportare il nostro prodotto all’estero”.

Anche la storia dei fratelli Sicignano, pastai di Gragnano, affonda le radici nella tradizione. ”Mio nonno era pastaio – esordisce Luca Sicignano – e lo ricordo con affetto. I nostri metodi di lavorazione sono tradizionali e conoscendo la bontà del nostro prodotto non abbiamo esitato quando un anno fa si è presentata l’opportunità di poter essere presenti in questa location. La nostra è una avventura imprenditoriale e voglio ringraziare Paolo Scudieri – conclude Sicignano – che ha finanziato con sei milioni di euro questo progetto”.

Tra le specialità campane doc è presente anche  il “ panuozzo”. I fratelli Manzi gestiscono il forno con maestria. “A Gragnano – spiega uno dei fratelli – si contano oltre cento attività dedicate all’arte della produzione della nostra specialità. Noi utilizziamo ingredienti locali come il Fiordilatte di Agerola e la pancetta proveniente dagli allevamenti dei Monti Lattari. Vogliamo continuare a produrre con i nostri metodi e non vogliamo snaturarci”.

Penne con Fagioli, Pancetta e Pecorino

Non la classica pasta e fagioli, ma un piatto “saltato”,  veloce ma al tempo stesso buono e accattivante. Sapore rustico grazie al rosmarino che sposa benissimo con i fagioli e la pancetta affumicata. Ottima per una cena tra amici accompagnata da un buon vino rosso speziato come il Rubesco – Lungarotti di Torgiano DOC.

Ingredienti per 4 persone:
– Penne lisce, 400 gr.

– Fagioli cannellini già lessati (conservare l’acqua di cottura), 400 gr

– Pancetta affumicata a cubetti, 250 gr.

– Pecorino romano, 80 gr.

– Rosmarino, q.b.

– Cipolla, q.b.

– Olio, q.b.

– Sale, q.b.

Procedimento:
Mettere sul fuoco un padella con olio e cipolla tagliata fine. Non appena il soffritto sarà dorato aggiungere la pancetta affumicata a tocchetti. Dopo qualche minuto, quando la pancetta sarà rosolata, aggiungere i fagioli unitamente alla loro acqua di cottura, il rosmarino, il sale e lasciare cuocere per circa 10 minuti a fuoco lento.

Nel frattempo cuocere la pasta in abbondante acqua salata. Scolarla al dente e unirla ai fagioli in padella. Mantecare a fuoco vivo con il pecorino.

Servire ben calda.

Idee:
Un’idea originale sarebbe quella di servire le penne in barattoli di vetro su un piccolo tagliere di legno.

 

 

“Amarelli” : la tradizione della liquirizia.

Più di due secoli di storia. Nel 1731 nasce l’azienda Amarelli. In realtà, quando la famiglia giunge in Calabria, attratta dal clima favorevole della costa ionica ed inizia una prima attività di commercializzazione della liquirizia, siamo ancora nell’anno mille. In quel periodo, la maggioranza delle risorse agricole era allocata nel sud dell’Italia. A Rossano, dove si stabiliscono gli Amarelli, il territorio è difficile da coltivare, proprio a causa della presenza nel sottosuolo delle radici di liquirizia. Intuiscono fin da subito l’utilità di questa pianta dal potere tonificante e energetico. Infatti, la pianta di liquirizia, che cresce spontanea, ha la proprietà di trattenere il sodio nel corpo, diminuendo la sensazione di sete. Per questo motivo, i principali acquirenti erano i contadini che la mangiavano per rendere il lavoro nei campi più sopportabile. Inoltre, la liquirizia presenta una componente dolce che ha un valore dolcificante molto più forte dello zucchero e ha un effetto più lungo del caffè.
Noi, allievi del master , siamo andati a visitare il nuovo elegante show room che ha aperto a Napoli, in Piazza Vittoria 6. Qui ci ha accolti Pina Amarelli, presidente dell’azienda. Oltre ad averci gentilmente offerto un gustoso panettone con crema di liquirizia e svariati tagli di questa raffinata pianta erbacea, ci ha raccontato come si lavora alla produzione e alla distribuzione del prodotto.
“La lavorazione della liquirizia comporta molta attenzione al fine di mantenere integre le caratteristiche della pianta”- ha affermato . Innanzitutto, nella fase iniziale di produzione la liquirizia viene trattata al sole , perchè all’aria aperta mantiene il colore nero , senza la necessità di aggiungere dei conservanti. Viene poi fatta passare su di un gettito di vapore che le conferisce lucidità . Infine, viene fatta cuocere in forno al fine di farla essiccare.
I numeri della distribuzione ci dicono che la confetteria in generale rappresenta in Italia circa il cinque per cento del mercato e , al suo interno, la liquirizia occupa meno dell’uno per cento. Tuttavia, i prodotti “Amarelli” sono molto presenti : oltre ad essere distribuiti in Italia, sono esportati in molte altre parti del mondo, soprattutto in Danimarca ed in Svezia. I punti vendita principalmente interessati sono le farmacie, le enoteche ed i ristoranti, mentre sono poco presenti nella grande distribuzione.
La gamma di prodotti è veramente varia : liquirizia pura, liquirizia gommosa, liquirizia confettata di tutti i colori,tisane, pasta, dentifricio, liquore,birra, grappa alla liquirizia. A Firenze producono addirittura un’acqua di colonia e uno shampoo dolce alla liquirizia. La signora Amarelli ci racconta che è la liquirizia ricoperta di zucchero aromatizzata all’anice, il prodotto più venduto di tutti. Si tratta dei cosiddetti “sassolini dello ionio”, chiamati così proprio per il loro aspetto simile alle piccole pietre che si raccolgono sulle spiagge. In estate, se ne vendono una tonnellata.
La nostra visita guidata è stata un vero e proprio viaggio tra i sapori e i profumi della liquirizia. Di fronte alla spettacolare varietà dei prodotti, ci è venuta davvero voglia di mangiarli tutti!

CERCASI Pizzaiolo qualificato!

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In #Italia mancano 6.000 pizzaioli qualificati. Questo è quanto deriva da un report del centro studi Fipe (federazione italiana pubblici servizi) presentato, alla Fiera di Parma, durante l’ultimo “Pizza World Show”. L’80 % del fabbisogno – comunica la Fipe – riguarda piccole imprese e oltre un’assunzione su due, fra quelle non stagionali, sarebbe a tempo indeterminato.

Verso il settore dell’ enogastronomia, in #Italia, c’è grande interesse e all’interno di questo ricco universo, costituito da molteplici eccellenze, quello della #pizza è un mondo che offre – ai giovani – interessanti opportunità di lavoro, presentando un fatturato di oltre 10 miliardi, con più di 250mila addetti e 50mila pizzerie. Com’è possibile, dunque, che il Paese della #pizza per antonomasia, considerato tale da tutto il mondo, denunci la mancanza di 6.000 pizzaioli qualificati? La risposta come sempre è nel retaggio culturale. Quella del #pizzaiolo è una professione che ha in sé due aspetti considerati poco rilevanti: è un lavoro #artigiano da un lato e si occupa di #cibo dall’altro. Due ambiti, questi, che non godono di ottima reputazione. Il lavoro #artigiano, come quello contadino, è stato considerato dalle precedenti generazioni un lavoro povero e indicativo di una condizione sociale dalla quale emanciparsi, per approdare verso stili di vita migliori, moderni. Il #cibo, fino a non troppi anni fa, era considerato una mera risposta ad un bisogno fisiologico, funzionale esclusivamente al nutrimento dell’uomo.

La #pizza è uno dei simboli della cultura gastronomica italiana, entrata a pieno titolo nell’immaginario alimentare collettivo che, da cucina povera, consumata dai lazzaroni napoletani in modalità street food, è diventata la bandiera alimentare nazionale conosciuta in tutto il mondo, che ci rappresenta e nella quale ci identifichiamo, ammirata ed imitata da tutti.  È necessaria allora una rifondazione della tradizione, un ritorno al passato per fondare il futuro, dobbiamo tornare a dialogare con il territorio così da recuperare e valorizzare le vocazioni della nostra terra. Se il futuro è #artigiano, il #pizzaiolo è la professione del domani!

Food Photography: creatività e tecnica per un mix vincente!

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” L’inquadratura, l’estetica e la bellezza non si improvvisano, quindi bisogna lavorare bene prima di scattare, preparando la luce e l’inquadratura. E cercare di raccontare la persona e il lavoro che si nascondono dietro ad ogni piatto”  – Lido Vannucchi-

Proprio quello che abbiamo cercato di fare noi studenti del MCME negli ultimi due giorni. Due giorni intensi ed avventurosi in cui grazie alla fondamentale guida del professor Vittorio Vigilante, ci siamo addentrati in una full immersion nel mondo della Food Photography.
Abbiamo cominciato ieri portando idee creative, originali e tutte diverse, oltre a tanta buona volontà e tanto entusiasmo. La lezione è cominciata con delle sintetiche ed esaustive nozioni sulla fotografia in generale e sulla food photography in particolare; nuovi termini tecnici che entereranno a far parte del nostro vocabolario; dopodichè abbiamo letteralmente costruito in aula un piccolo studio fotografico fai da te utilizzando un “limbo”, un pannello in plexiglass, da utilizzare come sfondo, il flash attaccato ad una sorta di ombrellino tutto bianco chiamato “diffusore”, i pannelli dorati e argentati e poi tanti “trucchi del mestiere” che il dott. Vigilante ha gentilmente deciso di svelarci: uno spruzzino per l’acqua in modo da rendere frutta e verdura come appena colte, un pennellino per togliere la polvere dagli oggetti piccoli, guanti in lattice per non lasciare impronte su bottiglie e bicchieri, tante cose che potrebbero, all’inizio, sembrare banali, ma che poi si sono rivelate fondamentali!

Abbiamo cercato di capire la luce e abbiamo poi tentato di usarla e sfruttarla per aiutarci a fotografare. Abbiamo curato le inquadrature nei minimi particolari e ci siamo, quindi, messi al lavoro per dare vita a delle piccole opere d’arte: dalla cioccolata allal pasta e fagioli, dalla pasta alle sfogliatelle, passando per frutta e verdura di ogni tipo, vino, formaggi, taralli fino al pomodorino del piennolo e al macinino da caffè. Di certo la fantasia non è mancata. Con la paziente guida e i sapienti consigli del professore ognuno ha messo su “pellicola” o meglio “sensore” la propria idea. Tutti hanno collaborato alle foto di tutti: c’era chi reggeva i pannelli, chi dava consigli, chi reggeva il diffusore e chi assaggiava i “soggetti” altrui. E’ stato un vero lavoro di squadra che ci ha permesso di mettere alla prova noi stessi, le nostre capacità e la nostra creatività. Alla fine della prima giornata eravamo esausti ma contenti e con mille altre idee da voler realizzare.

Il secondo giorno non è stato da meno per quanto riguarda l’intensità. Abbiamo iniziato ad usare Photoshop, un programma per modificare a nostro piacimento le immagini, alleggerile, migliorarne la risoluzione e togliere difetti.
La giornata è cominciata con la modifica delle foto, eravamo tutti entusiasti di poter vedere il nostro lavoro prendere forma: abbiamo imparato i contrasti per poter vivacizzare i colori delle foto, la nitidezza, la luminosità, trucchi e segreti del mestiere che ci hanno permesso di rendere la nostra foto “perfetta”seguendo sempre i nostri gusti e il nostro istinto creativo,  grazie alla guida del dott. Vigilante, secondo il quale, a prescindere da tutte le regole e le nozioni della fotografia, occorre soprattutto creatività.

Nella seconda parte della mattinata abbiamo imparato a creare un banner da poter inserire nel nostro blog del master: le tre misure standard per i banner presenti: 1080×120, 300×300 e 468×60. Cose che molti di noi, fino a ieri ignoravano completamente. Tra le tante nozioni che oggi hanno “invaso” i nostri cervelli non poteva di certo mancare quella riguardante la differenza tra una foto per il web e una foto per la stampa, la prima più leggera e con meno dettagli , la seconda ricca invece di dettagli e molto più pesante, tricromie per il web e quadricromie per la carta stampata.

Infine nell’ultima parte della giornata, grazie all’aiuto del professor Picone, abbiamo provveduto al salvataggio delle foto e dei banner, in vari formati, su Google Drive per poter avere sempre a disposizione una sorta di “archivio storico” dei nostri lavori da poter  utilizzare e modificare a nostro piacimento ogni volta che ne avremo bisogno. Google Drive è stata un’altra piacevole scoperta in questo master: la possibilità di poter condividere i nostri file con i nostri compagni con estrema facilità. Web, Blog, siti internet, Community e Web Markenting sono state le ultime cose riassunte  nella fase finale della lezione, per poter mettere le idee in chiaro e tener fermi alcuni punti cardine di tutto quello fatto fin’ora.

Materia bella ed interessante quella del Food photography, da approfondire sicuramente e da cominciare a praticare da subito e quanto più spesso possibile, perchè, come ci hanno detto la maggior parte dei docenti, al master ci vengono date le idee e gli spunti, poi sta a noi rendere il tutto reale e praticabile.

 

 

A lezione di food design!

Oggi il professor Marco Pietrosante, design manager, ci ha introdotto al mondo del design e di come esso sia stato poi applicato e implementato nel mondo dell’enogastronomia. Il design storicamente si è occupato di argomenti lontani dal mondo del cibo. In realtà, tutto ciò che viene realizzato è progettato dai designer , da un paio di occhiali ai contenitori di bevande o di cibi. Nello specifico, il design è nato nel XIX secolo nell’ambito di incontri internazionali. Le esposizioni universali rappresentavano, infatti, l’opportunità per le aziende di mostrare ciò che avevano prodotto. La Tour Eiffel, per esempio, fu costruita nel 1889 con l’obiettivo di far conoscere al mondo le abilità tecniche dei francesi. Secondo quanto fu disposto, la famosa torre doveva essere smontata al termine dell’esposizione, ma è diventata poi il simbolo di Parigi, come tutti ben sappiamo.
Una veloce carrellata dei più famosi designer della storia, ci fa capire subito come il grande valore del loro lavoro sia quello di leggere la contemporaneità e di darle una risposta progettuale. Ecco perché moltissime opere realizzate nei secolo addietro sono rimaste attuali e sono ancora riproducibili nella nostra società. Basti pensa ai progetti di Ludwing Mes Van de Rohe, che disegnò delle sedie, alcune delle quali ancora prodotte ai giorni nostri. Van de Rohe è stato anche il primo ad utilizzare in maniera massiccia il tubo nella produzione dei mobili, in alternativa al legno.
Ancora, Walter Gropius, fu un architetto che negli anni venti fondò in Germania la Bauhaus, la prima scuola di design e che con l’avvento del nazismo fu chiusa, a causa della visione molto aperta e libera sul mondo che essa proponeva. Negli anni sessanta , fu riaperta per opera di Hannes Mayer. Il carattere tipografico Bauhaus fu creato proprio in questa scuola.
Anche l’Italia ha conosciuto designers che sono stati in grado di anticipare il futuro con la creazione di modelli che sono diventati universali. Prima D’Ascanio con l’invenzione della Vespa e poi Dante Giacosa con l’ideazione della Fiat 500,la prima automobile costruita senza il telaio, che permise un forte abbattimento dei costi nella produzione. Dunque il design ha segnato più volte l’ innovazione tecnica e culturale.
Nel food , il design nasce per rispondere alle numerose funzioni che svolge il cibo. Prima fra tutte quella di essere una forma di sostentamento degli esseri viventi e di potere ( da sempre chi ha il cibo ha anche il potere). Oltre poi ad essere uno strumento di socialità ( intorno ad esso si raduna una comunità sociale e culturale), esso è anche espressione storica e geografica ( racconta la storia e la cultura dei popoli).
Due i principali luoghi di sviluppo del food design : il packaging, sia strutturale che grafico, e il consumo. I luoghi del consumo sono molto vari tra loro ( supermercati, catene di bar, catene di vendite alimentari), tutti ambiti che però fanno riferimento alla replicabilità e alla serialità.

Il packaging nasce dall’ osservazione diretta della natura. Pensiamo alla frutta, come le arance, le noci, le uova che hanno un confezionamento naturale .Molti esempi di packaging di successo nascono proprio da questo tipo di osservazioni. Pensiamo al caso di Tetrapack che ha inventato l’ accoppiamento di quattro strati ( cartone, alluminio, ancora cartone e, infine,plastica) riproducendo a pieno il modo in cui la natura si autoconserva . Nella parte grafica rientrano il lettering ovvero i caratteri, spesso espressione dell ‘identità del brand, le immagini, i colori, i simboli, gli elementi normativi quali i codici, i pesi, gli ingredienti.
Packaging e grafica influenzano molto i luoghi di fruizione di un prodotto : nessuno di noi penserebbe mai di aprire una bottiglia di Gatorade in discoteca, con il suo design così sportivo, ma preferirà una lattina di un’altra bevanda energetica. Dunque, contenuti simili, ma packaging diversi. Ne derivano usi differenti.
Anche noi allievi del master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia abbiamo capito l’importanza del design, facendo un piccolo esperimento a lezione : valutare il packaging dei Chupa Chups, i lecca lecca prodotti dall’omonima azienda dolciaria di origini spagnole. La loro forma rotonda appoggiata su una stecchetta di plastica, ne facilita la fruizione che può avvenire in maniera slow e a più riprese. Un valore molto forte è comunicato dai colori, i cerchi, le immagini grafiche , il lettering composto dal nome del brand/prodotto ben in evidenza. Ovviamente, da buoni comunicatori, non abbiamo potuto evitare di assaggiarlo! Per soddisfare le diverse preferenze, l’azienda declina la classica caramella in svariati gusti : ciliegia, fragola, coca cola, vaniglia…A ciascuno il suo!

“Eccellenze Campane”: è tutto più buono

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eccellenze campane

Quante volte siamo stati testimoni dell’infelice associazione di idee #Campania = #Terradeifuochi?

Siamo sicuri che le eccellenze della nostra Regione, la Campania Felix che i romani tanto amavano, siano solo veleni, scorie e malattie tumorali?

Forse è giunto il momento di svegliarci dall’incubo, di tirar fuori la testa dalla sabbia, senza far si che il problema venga minimamente messo nel classico dimenticatoio (specialità questa tipicamente italiana). La mia, la vostra, la NOSTRA Regione vanta le più grandi eccellenze del Paese, senza volerle elencare tutte (si, staremmo qui forse per ore a ricordarle tutte) limitiamoci alle due che dovrebbero fare da traino a livello internazionale e che invece vengono troppo spesso messe in secondo piano dai disastri: #turismo ed #enogastronomia.

L’idea di associare piccole e medie imprese operanti sul territorio nel settore del food & wine, secondo alcuni è la medicina a tutti i mali e hanno dovuto pensarla così anche le 15 aziende che hanno creato #EccellenzeCampane. Pasta, caffèmozzarella, e molti altri prodotti nostrani sono il fiore all’occhiello dei produttori d’eccellenza che insieme ad alcuni ristoratori hanno voluto concentrare in una sola struttura le produzioni tipiche della NOSTRA Campania. Promozione e valorizzazione, dal “produttore” al “consumatore” nella felice e quanto mai attuale logica della filiera corta. Non solo vendita diretta di prodotti di qualità, non solo promozione del marchio-Campania ma anche sensibilizzazione e maggior conoscenza di ciò che ci circonda, di tutto quello che di buono abbiamo a pochi chilometri dalle nostre tavole e che forse in molti ignorano; laboratori sensoriali, informazione su provenienza e lavorazione dei diversi prodotti saranno la vera novità di Eccellenze Campane.

Tutto questo sarà realtà dal 16 gennaio, anzi come recita lo slogan “dal 16 gennaio è tutto più buono. Sicuramente”. Perchè non crederci? Perchè non sognare che da 15 aziende in pochi anni si possa passare a 150 ( le eccellenze enogastronomiche regionali non mancherebbero per raggiungere questa soglia), esportando a livello nazionale e internazionale un brand di tutto rispetto?

http://www.eccellenzecampane.it/

Terra dei Fuochi: Eccellenze Campane a rischio

terra dei fuochiDa diversi mesi oramai a bruciare non sono solo i rifiuti riversati nelle aree della cosiddetta Terra dei Fuochi, ma anche tutto ciò che di buono in Campania c’è. Mozzarella di Bufala, frutta, verdura ed altri prodotti dell’agroalimentare hanno registrato un calo delle vendite pari al 30-40%. Recenti dichiarazioni rilasciate dal presidente di Confagricoltura, Mario Guidi, ne forniscono una triste conferma: “I danni ammontano a circa 100 milioni di euro, e si protrarranno anche nei prossimi mesi”. Tutto ciò si ripercuote anche sulle aziende, danneggiandone circa 135 mila oltreché 65 mila addetti al settore.
Tali cali risultano riconducibili ad una psicosi collettiva che ha colpito tutti i consumatori italiani e non, a seguito delle dichiarazioni rese dell’ex boss casalese, Francesco Schiavone. Il timore da parte dei consumatori è certamente giustificato, ma le aree interessate dai roghi, tuttavia, ammontano ad una cifra inferiore al 5% dell’intero territorio campano. Sarebbe opportuno, dunque, dare completa e realistica attuazione ad un piano d’azione che coinvolga tutti i prodotti dell’agroalimentare, al fine di realizzare una piena e veritiera informazione per i consumatori circa la salubrità e l’altissima qualità dei prodotti di cui la Campania è madre.

Non va trascurato, ad ogni modo, come dei passi innanzi siano stati compiuti. Infatti, il consorzio della Mozzarella di Bufala Campana DOP, da questo fronte, si è già adoperata tramite l’operazione cd.trasparenza. Tale operazione ha avuto ad oggetto la spedizione di diversi campioni di mozzarella al TUV, un laboratorio di analisi tedesco di fama internazionale, per essere sottoposti ad una serie di test volti ad indagare sulle caratteristiche dei prodotti. I risultati? Brucellosi assente; metalli pesanti come il piombo al di sotto del livello minimo; PCB e diossina pari ad un dodicesimo del livello minimo di legge.

Così come per la mozzarella, risulterebbe utile anche per gli altri prodotti tipici campani richiamare l’attenzione dei consumatori per dimostrare la genuinità del territorio campano. Infatti, oltre il 95% del territorio in questione risulta sano, e positivo sarebbe, in tale prospettiva, dar vita ad una dettagliata e realistica mappa del solo 5% delle zone a rischio.

La Ribolla Gialla diventa “Aceto”, un’eccellenza friulana!

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Aceto? Perchè usarlo solo per condire l’insalata? Josko Sirk infatti non la pensava così e la sua passione l’ha portato a creare un prodotto unico nel suo genere. Pensiamo solamente che in Italia esistono meno di dieci produttori di aceto e Josko è l’unico del Nord Est, nello specifico a Còrmons, nel cuore del Collio. La sostanziale differenza del suo aceto rispetto agli altri è che viene creato direttamente dai grappoli d’uva, e nello specifico dalla Ribolla Gialla, uno dei migliori vitigni autoctoni della della zona del Collio. Se l’aceto a livello industriale viene creato in due ore, Josko ci mette tre anni, durante i quali viene lavorato naturalmente, senza l’aggiunta di solfiti o conservanti antiossidanti. Il liquido viene poi fatto invecchiare, come il vino, in barrique di rovere realizzando così un’eccellenza della gastronomia del Paese.

Davide Rampello, commissario del Padiglione Italia Expò 2015 ha voluto raccontare la storia di Josko Sirk nella nuova rubrica “Paesi e Paesaggi” della trasmissione satirica “Striscia la Notizia”. Il presentatore ci porta quindi in Friuli a visitare l’acetaia completamente in legno che inoltre si presenta ecosostenibile grazie al suo tetto interamente coperto da pannelli fotovoltaici.

Se vi trovate nei pressi di Còrmons andate quindi a trovare Josko Sirk, sarà una buona occasione per trattenervi nella sua trattoria La Subida a degustare i piatti tipici della cucina di confine come per esempio il salame all’aceto di cui vi proponiamo la ricetta qui di seguito.

 

RICETTA SALAME ALL’ACETO

Ingredienti per 2 persone:

6 fette di circa un cm. di salame freschissimo friulano

Una noce di burro

Aceto di vino Josko Sirk

 

Procedimento:

togliere la pelle esterna dalle fette del salame e fate sciogliere la noce di burro in un pentolino possibilmente di ferro. Aggiungere le fette di salame girandole non appena avranno formato una crosticina marrone. Spruzzate infine con l’aceto non trattato e servire calde con il loro sughetto. Potrete accompagnare questa pietanza con un pò di polenta morbida oppure della cipolla dorata in padella.

Con pochissimi prodotti di alta qualità otterrete in breve tempo un vero piatto della tradizione friulana.

 

 

 

EPIFANIA CON PIATTI SEMPLICI E PRODOTTI TIPICI DELL’AGRO ACERRANO

acerra fiera prodotti tipici epifania

Altro che “Terra dei Fuochi”! Ad Acerra Fagioli cannellini, Pomodori San Marzano, patate ed altre prelibatezze locali, hanno fatto concorrenza alle calze della befana. La sera dell’Epifania infatti, ha visto la piazza del Castello Baronale gremita di pubblico per la degustazione gratuita offerta dagli agricoltori acerrani.

L’iniziativa, dal titolo significativo “Agricoltura e Ambiente, non solo Terra dei Fuochi”, ha voluto “ribaltare l’immagine stereotipata sulla cosiddetta “Terra dei Fuochi” per favorire la conoscenza dei prodotti agricoli del territorio, caratterizzati da qualità certificata e per far conoscere e promuovere la centralità del mondo rurale ed il ruolo dell’agricoltura per la salubrità alimentare, la qualità della vita, ed il rispetto per la natura.

fagioli cannellini
Zuppetta di fagioli cannellini con pane cafone – Foto @LucianoPignataro.it

Protagonisti degli stand di degustazione, sono stati antipasti sfiziosi come le frittelle di cavolfiore o i primi piatti semplici della tradizione contadina come la pasta e patate. Tra i prodotti utilizzati i famosi Pomodori San Marzano (molto amati dagli chef) della Cooperativa AgriGenus; tuttavia Acerra è anche famosa per i Fagioli Cannellini “Dente di Morto”, tutelati come presidio Slow Food.

Il fagiolo “dente di morto” viene coltivato secondo pratiche ecocompatibili: ha buccia sottile, quasi impercettibile al palato, e cuoce rapidamente, caratteristiche che si sono fissate nel tempo in virtù della coltivazione su terreni di natura vulcanica ricchi di elementi nutritivi.  Del fagiolo cannellino ad Acerra si ha testimonianza già in una vecchia guida del Touring Club Italiano edita nel 1938.

L’evento è stato organizzato per testimoniare che in questo momento difficile per l’economia e per l’agricoltura locale, diventa prioritario portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza unito a quello delle eccellenze locali.

Per i curiosi e gli appassionati c’è una ricetta facile e veloce, tipicamente acerrana, denominata ” Zuppetta di fagioli cannellini con pane cafone, ‘a zuppetella ‘e fasule janche“. E’ disponibile qui sul blog di Luciano Pignataro, a cura di Tommaso Esposito.