Home Blog Page 33

Veritas filia temporis

Creare un tipo di ristorazione nel napoletano di un certo livello non è una questione semplice. Ma i responsabili del Veritas, Stefano Giancotti e Rosaria Galdiero, hanno un carattere abbastanza forte per essere all’altezza dell’arduo compito. E i risultati si vedono.
Siamo sul Corso Vittorio Emanuele, una strada che si affaccia sul cuore della città e che fissa negli occhi il Vesuvio in lontananza.
In questo contesto così suggestivo rombano i motori dello chef che in cucina sa come spingere sul pedale dell’acceleratore gustativo. Le sue ricette sono semplici ma con quel giusto quid caratteriale: il suo uovo pochè cotto a 65 gradi per 35 minuti immerso in un guazzetto di pomodoro ed olio sa come coinvolgere nel suo essere minimal ed elegante.
Una menzione speciale anche alla pasta con sugo alla genovese, un classico della tradizione napoletana snellito nelle sue sfumature di cipolla più accese.

 

Veritas veritas 1 veritas 3_1veritas 2

Discorso analogo per il locale, essenziale e raffinato senza cadere in eccessivi formalismi. Una ottima cantina ed un servizio senza sbavature chiudono il cerchio di quello che è, tra l’altro, uno dei ristoranti con il miglior rapporto qualità prezzo dell’area metropolitana napoletana.

Massimiliano Guadagno

Pizza napoletana: la fedeltà di Gaetano Genovesi

pizza genovesi
1- pizza G. Genovesi

Se sei in cerca di una pizza napoletana che segue i canoni della tradizione, La pizzeria Gaetano Genovesi, a Posillipo (Na) è il luogo ideale.

Sottile, cornicione alto, ricca di ottimi ingredienti, la pizza di Genovesi rispecchia a pieno il concetto di pizza napoletana. Impasto lievitato 12 ore, ricavato dalla lavorazione di più farine, accuratamente scelte da Gaetano. Ingredienti selezionati ed esclusivamente di provenienza campana.

Menù carico di elementi innovativi; come i Racchettoni (foto 2) e una selezione di pizze che si distaccano dalle classiche. Pizza al pesto. Pizza con il purè di patate. Pizza con fiori di zucca. Pizza con il soffritto. Pizza con la zucca. Insomma, pizze per tutti i gusti. Per gli amanti delle classiche come la Marinara, la Salsicce e friarielli, la 4 formaggi la Diavola non c’è da preoccuparsi. Anche queste, rispondono assolutamente presenti all’appello. Non manca ovviamente la regina, la Margherita, il cavallo di battaglia di un Pizzaiuolo che in tutto quel che fa, ci mette l’anima e si vede. Anzi, si sente. Anzi; si assapora.

2- i racchettoni di G. Genovesi
2- i racchettoni di G. Genovesi

 

Cosa c’entra la fedeltà in tutto ciò? In un contesto storico come quello di Napoli, dove molte pizzerie provano ad emergere o ad affermarsi, avvicinandosi anche ad un concetto di pizza gourmet, Gaetano Genovesi pensa solo ad una cosa: replicare la tradizione. Senza voler modificare lo stile che il padre Antonio è riuscito, nel 1969, a portare addirittura in Giappone. Quello stesso stile che tutt’oggi rende l’esperienza da Gaetano Genovesi, semplice ma unica.

 

 

Marcello Ammendola

Oggi parliamo di DOM PERIGNON

0
©canva

Per chi non lo conoscesse è una delle marche di champagne più famose al mondo ed è prodotto da Moet et Chandon, grande produttore che realizza oltre 24 mln di bottiglie ogni anno.
Si ultilizzano due vigneti: lo chardonnay e il pinot noir.
Per la prepazione viene utilizzato il metodo champenoise, in Italia metodo classico, ovvero una doppia fermentazione del mosto: la prima, quella alcolica, nei tini; la seconda avviene in bottiglia con l’aggiunta di zuccheri e lieviti. In quest’ultima fase le bottiglie hanno un tappo metallico e vengono tenute al rovescio nelle cantine in modo che il fondo vada nel collo. Il collo poi viene raffreddato in modo che lo scarto dell’uva congeli e si possa rimuoverla in un colpo solo. La bottiglia allora aperta viene rabboccata con una miscela che darà un particolare gusto allo champagne. Per finire viene tappata con il tappo di sughero e viene lasciata alcuni mesi ad affinare prima di essere messa in vendita.
La prima vendemmia del Dom perignon risale al 1921, ma inizia a essere commercializzato come champagne ‘’di prestigio’’ nel 1936 dopo la grande depressione.
Ora è uno degli champagne più famosi al mondo, ma soprattutto uno dei più commerciali. Questo grazie al marketing d’immagine che si è creato intorno a questa bottiglia.
Infatti da una quindicina d’anni è entrato a far parte della lista della spesa delle discoteche di tutto il mondo.
Essendo il prezzo d’acquisto già considerevole , acquistarlo poi in discoteca costerà ancora di più e questo crea ulteriore prestigio per il compratore finale.
Negli ultimi anni la casa madre ha creato anche delle bottiglie con l’etichetta a Led in modo da creare un effetto ottico che rapisce ancora di più l’attenzione dell’uomo, perché di attirare l’attenzione si sta parlando, non di certo di godere del succo divino di Bacco.

La dieta mediterranea: alla ricerca del patrimonio perduto

0

Solo 2 italiani su 10 la seguono culturalmente e gastronomicamente. Ma (forse) c’è speranza.

Parlare di dieta mediterranea senza scivolare in facili cliché non è un compito facile. Si rischia infatti di creare degli erronei accostamenti semantici in cui la somma dei due termini nella nostra testa rischia di riportare come risultato una semplice privazione di tutto ciò che riteniamo attentatore del nostro punto vita.
In realtà (e questo è un problema ricorrente nel sostrato culturale italiano) con “dieta mediterranea” si intende un inestimabile tesoretto, una Arca dell’Alleanza valoriale capace di racchiudere non solo un “modus mangiandi” ma anche una filosofia sociale della condivisione, dello stare insieme in quell’ottica così squisitamente rituale come è quella dei pasti.

E di questo se ne sono accorti anche all’Unesco, tanto che nel novembre 2010, la Dieta Mediterranea è stata riconosciuta come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Un patrimonio che riunisce le abitudini alimentari dei popoli del bacino del Mar Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Marocco, Portogallo, Croazia e Cipro) e che vede una definizione ben chiara, da stampare in mente come l’Ave Maria della religione cibaria: “La dieta mediterranea costituisce un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, comprese le colture, raccolta, pesca, conservazione, trasformazione, preparazione e, in particolare, il consumo di cibo.” La stessa Organizzazione ha motivato la scelta dichiarando che “La Dieta mediterranea coinvolge una serie di abilità, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti le coltivazioni, i raccolti agricoli, la pesca, l’allevamento degli animali, la conservazione, la lavorazione, la cottura e particolarmente la condivisione e il consumo degli alimenti”.

Dunque la questione è traslativa, dalla tavola alla conoscenza (e coscienza). Perché il “mangiare insieme”, tipico della Dieta Mediterranea, non significa semplicemente consumare un pasto ma vuol dire rafforzare il fondamento delle relazioni interpersonali, tramandare l’identità e i valori delle comunità.
E come si è posta la storica Italia dinnanzi a questa pesante eredità? Semplicemente male. Uno primo rombo di tuono lo ha lanciato l’Associazione italiana di epidemiologia che in occasione del 39esimo congresso nazionale a Milano ha dichiarato che solo il 20% degli italiani segue questa filosofia di alimentazione.
Il carico extra lo ha aggiunto FareAmbiente che candidamente ha affermato che In Italia il 10% della popolazione è obesa, e il 40% è in sovrappeso. Per non parlare della stessa piramide alimentare : solo il 24% è a conoscenza che essa rappresenti la rappresentazione grafica dei principi nutrizionali della dieta mediterranea. Ma c’è speranza. Secondo la Coldiretti, nel 2015 c’è un aumento del 27% di acquisti di frutta, verdura, pesce e olio. Che tuttavia, come sappiamo, senza una consapevolezza culturale di base può significare solo una moda passeggera che si potrebbe cristallizzare in una ideologia rarefatta e poco pragmatica. Un “alla ricerca della dieta perduta” per l’infelicità di tutti gli antropologi proustiani del caso.

 

Massimiliano Guadagno

Si può spendere poco e mangiare bene?

0

La prima domanda che un “gastronome averti” può sentirsi  fare è appunto questa: “Si può mangiare bene spendendo poco?”.  La risposta è no.  Il giornalista enogastronomico Allan Bay , pur di evitare l’argomento ed esser ringraziato, avrebbe schivato la domanda con una scelta di locali dove si mangia molto.
La questione è seria, perché mangiare bene, veramente bene, fa parte dei grandi piaceri della vita come la musica di Beethoven, l’amore o la notte stellata di Vincent van Gogh.  

Il primo aspetto che viene fuori da un business plan di un ristorante è che: vi sono spese fisse enormi che riguardano gas, elettricità, manutenzione, assicurazione, tasse di licenza, affitto ecc. Oltre a quanto già detto, va aggiunto il personale, molto spesso di passaggio,  e soprattutto una giacenza di beni che sono altamente deperibili. Lo Chef Anthony Bourdain avrebbe detto che: “il desiderio di possedere un ristorante può essere una strana e terribile malattia”.

Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che un cuoco che vuole far da mangiare veramente bene riesce a creare un mix vincente derivante da studi, stages, ottima conoscenza della materia prima e  dalla sua capacità di scegliere dei bravi collaboratori. Naturalmente tutto ciò ha un impatto economico non indifferente.
Possiamo anche aggiungere la creatività e l’inventiva di uno Chef, ovvero, l’idea e la sua capacità di darle forma in un piatto.  La scienza definisce in questo modo la scoperta :  «consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato». Ciò che lo Chef mette insieme non sono due gusti, ma due idee, inoltre non inventa, ma scopre.

Altra storia è il nutrirsi, basta poco, pochi soldi per raggiungere il fabbisogno calorico e una sufficiente piacevolezza  con un cibo garantito dalle normative sanitarie.
Ma il mangiare bene, veramente bene, è un altra cosa.

 

Alessandro Ditommaso

 

 

Olio ExtraVergine d’Oliva: anche l’etichetta vuole la sua parte

0
©canva

l’Olio extravergine d’oliva di qualità è uno dei fiori all’occhiello dell’agricoltura italiana. Fondamentale la sua presenza all’interno della Dieta Mediterranea, l’alimento è in forte ascesa nel campo della produzione nazionale emergendo anche in un momento poco sereno per l’economia italiana riuscendo a porci come paese leader nelle qualità delle produzioni.

Alimento essenziale nella Dieta Mediterranea, l’olio EVO (ExtraVergine d’Oliva) ha sempre avuto un ruolo inconsciamente primario nell’alimentazione degli italiani. Ancel Keys, fisiologo “scopritore” della Dieta Mediterranea intesa come stile di vita, dimostrò, tra i suoi tanti studi sugli effetti positivi dello stile di vita alimentare tipico del meridione italiano, che i livelli di colesterolo nel sangue dipendevano direttamente dalla quantità ma anche dalla qualità dei grassi assunti con l’alimentazione. Infatti l’olio EVO riesce a garantire un apporto lipidico molto più salutare rispetto ad altri grassi animali o vegetali. Anche perché assumere grassi è fondamentale per una buona alimentazione, ma bisogna saper selezionare il tipo di grasso che meglio risponde al nostro metabolismo. E in questo contesto che si fa spazio l’olio EVO in quanto composto principalmente di acidi grassi monoinsaturi, risulta estremamente digeribile ai più aiutando inoltre a mantenere un buon livello di colesterolo.

Tutte queste caratteristiche che rendono l’ EVO perno dell’alimentazione della Dieta Mediterranea, sono nulla se non vengono rispettati i criteri di lavorazione adeguati, in grado di garantire effettivamente un prodotto di qualità. La Cia (Confederazione italiana agricoltori), il Cno (Consorzio nazionale degli olivicoltori)  e l’Istituto poligrafico e zecca dello Stato stanno lavorando appunto per evitare che venga prodotto, ma soprattutto distribuito, olio spacciato per EVO. L’obiettivo è quello di sviluppare un processo in grado di garantire qualità senza alcun margine d’errore. La risposta a questi problemi, al momento, si chiama “Carta dei valori”. Progetto che vede interessata la trasparenza dell’etichettatura e quindi la tracciabilità effettiva dell’olio. Tutto ciò, a discapito dei truffatori che hanno frodato molto degli ingenui consumatori e che hanno tolto quasi 1,5 miliardi di euro a chi ha da sempre scelto la strada della qualità e della trasparenza.

E ricordate: la verità, proprio come l’olio, sale sempre a galla.

 

Marcello Ammendola

“L’alimentazione per vincere in campo e fuori”

0

Dal calcio, al tennis. Se dopo una partita non troppo brillante ci arrabbiamo con i nostri beniamini dello sport, dovremmo chiedergli cos’hanno mangiato prima della prestazione: adesso vi racconto quanto la dieta è basilare per un atleta.

Tutti i menù sportivi sono ispirati alla dieta mediterranea, la dieta che negli anni ’50 del secolo scorso inventò Ancel Keys, un nutrizionista americano, che osservando la popolazione di Nicotera, in Calabria, per un certo periodo rimase affascinato dal dato della bassa incidenza di patologie cardiovascolari e di disturbi gastrointestinali .

Pochi anni più tardi, più precisamente nel 1962, si trasferì a Pioppi, una frazione del comune di Pollica, nel Cilento. Pioppi divenne il quartier generale dei suoi studi. Dopo decenni di indagini giunse alla conclusione che l’alimentazione a base di pane, pasta, frutta, verdura, moltissimi legumi, olio extra-vergine di oliva, pesce e pochissima carne era la responsabile dello straordinario effetto benefico sulla popolazione locale.

Questo tipo di alimentazione venne chiamata “Mediterranean Diet”, Dieta Mediterranea appunto. Tutti i risultati dei suoi studi vennero tradotti, in forma divulgativa, nel famosissimo libro “Eat well and stay well”, ovvero Mangiar bene e Stare bene. Un volume che fece rivoluzione a partire dagli Stati Uniti, suo paese d’origine.

Cereali, verdure, frutta, pesce ed olio di oliva sono alla base di questa dieta o dello stile di vita dettato da questa educazione.

Per riassumere tutti i princìpi della dieta mediterranea e far presa sulla popolazione fu proposta negli anni ’90 una semplice piramide alimentare che riportava la distribuzione degli alimenti: alla base si trovavano gli alimenti da consumare più volte al giorno (pasta, frutta e verdura), mentre all’apice venivano riportati i cibi da limitare (dolci e carni rosse).

Ritornando al nostro mondo sportivo, la dieta mediterranea è alla base di tutti i menù sportivi delle squadre professionistiche e degli atleti professionisti. Prima di una partita o di una prestazione è basilare l’alimentazione e in Italia siamo molto attenti a questo, c’è un vero e proprio culto; infatti, all’estero, vengono chiamati come consulenti figure italiane specializzate nella creazione dei menù sportivi ispirati alla dieta mediteranea.
A tavola, senza telefoni cellulari e ad orari precisi.
Questo ultimo punto è importante perché la convivialità è parte integrante della piramide alimentare.

Un’alimentazione corretta è alla base del benessere per qualsiasi persona, ma per uno sportivo è fondamentale. Senza il giusto apporto energetico, durante allenamenti o gare, un atleta potrebbe mettere a serio rischio la sua salute.

Quindi se Higuain sabato scorso non ha eccelso nella sua prestazione in campo contro la Juventus, dovremmo chiedergli se ha mangiato correttamente il venerdì sera.

Consigli per gli acquisti:

Se volete saperne di più sulla dieta mediterranea, potete acquistare il saggio edito da “il Mulino”: “ La dieta mediterranea” di Elisabetta Moro, esperta, antropologa e docente presso università Suor Orsola Beni casa di Napoli.

Cosa ha in comune la frittatina di Ciro Oliva con il film Boris?

0

Apparentemente nulla. Eppure secondo la Cinegustologia (http://www.cinegustologia.it/cinegustologia.html), nova scienza di Marco Lombardi, potrebbero crearsi alcune associazioni. Andando infatti sul succitato sito leggiamo che “partendo dalla considerazione che spesso, come conseguenza di quest’istintualità, descriviamo un film come duro, acido, morbido, amaro, dolce, ruvido e profumato, proprio come se fosse qualcosa da bere o da mangiare, ecco che l’associare liberamente un film a un piatto o a un vino, e viceversa, può costituire un modo più autentico per raccontare agli altri,e anche a noi stessi, le emozioni indotte da quel tipo d’opera d’arte”.

E dunque si è pensato di creare questo legame tra una notissima specialità del giovane pizzaiolo Ciro Oliva ad un film meno noto ma sicuramente d’impatto come Boris.
Ed ecco il risultato:

 

Sembrano pochi (se non elementari) i colpi di genio che potrebbero caratterizzare la ristorazione “popolare” partenopea.
Arroccati tra i pilastri della tradizione secolare, le ricette che le caratterizzano non sono molto lontani da dogmi di fede, in quell’indissolubile nesso tra sacro e profano che è tanto un vanto quanto un limite per chiunque osi anche solo pensare di avvicinarsi all’argomento.
E’ per questo che l’enfant prodige della cantera pizzaiola napoletana Ciro Oliva (della pizzeria Concettina ai Tre Santi) è da apprezzare: c’entra con chirurgica precisione il punto di incontro tra questi due elementi, e lo fa in special modo con la sua versione della Frittatina napoletana.

 
A differenza della versione standard del piatto (con bucatini, besciamella, piselli, provola e carne macinata) la variante è quanto mai tradizionale: cipolla ramata di Montoro, carne di manzo, bucatini, Provola affumicata e pepe.
La croccantezza dell’involucro invita all’assaggio preparando il palato e la mente a tutt’altri sapori. Ma la smentita è quanto mai decisa, con il giusto contrasto agrodolce tra la cipolla ramata e l’affumicatura della provola. Una croccante e invitante novità dunque che nasconde una tradizione quanto mai torbida e anche abbastanza “scontrosa” per chi non è avvezzo a questo tipo di sapori. Quindi una innovazione all’interno di un ampio contesto solo apparentemente più quotidiano.

 
E’ dunque immediato il paragone che mi sovviene con il film “Boris” del 2011. Conclusione filmica di una delle migliori serie tv italiane probabilmente della storia, il film sposta l’occhio di bue dalle nevrosi, sporcizie e psicosi del background delle fiction all’ambiente cinematografico che non si dimostra da meno.  Addentare la pellicola è facile, quasi immediato: vuoi per la bonarietà di uno straordinario Pannofino, vuoi per gag, battute spinte, situazioni tragicomiche è semplicissimo assaporare una scorza croccante e apparentemente tradizionale di un cinema leggero.
Ma poco dopo il morso arriva la sorpresa di impatto, dai risvolti amari: nel film si ride ma si capisce subito che è una risata dolceamara, di cui bisogna conoscere gli assets narrativi e storici del nostro paese per poterla apprezzare appieno. Una satira consueta ma piena di risvolti innovativi, che parla di sé stessa e del dietro le quinte di un film (in un gioco di metalinguaggio arzigogolato) ma senza dolci fronzoli o revisioni abituali, bensì con una forte decisione e con una amara lacrima di un nostalgico passato del bel cinema italiano che fu.

Massimiliano Guadagno

Dieta Mediterranea: la terza via nella ristorazione globale

0

In una società frenetica, soggetta a continue mutazioni antropologiche e che impone il dinamismo come modello  di vita, siamo approdati a nuove modalità di consumo.
Tra fast food, street food e discount siamo totalmente immersi in una nuova realtà costituita da BigMac e Kebab che, in breve tempo, sono diventati i pilastri del paradigma del cibo globale.
In questa frenesia, la Dieta Mediterranea si pone come alternativa: una terza via in grado di risanare le fratture di una società mainstream che ha perso l’attitudine al mangiar sano e a stringere legami sociali con la propria comunità.
Quella Mediterranea infatti non è una dieta in senso stretto, ma uno stile di vita: una modalità che intende il cibo un linguaggio dello scambio e dell’ospitalità, alla stregua di altri sistemi che regolano e governano la società.
Nell’era del politically correct in cui vige l’omologazione dilagante in tutti i settori; l’uomo contemporaneo tende a distinguersi attraverso le proprie scelte alimentari che puntano a sottrarre alimenti piuttosto che aggiungerne.
In questo panorama la Dieta Mediterranea si pone come ottimo crocevia in grado di coniugare non solo funzioni nutritive ma anche ideologiche ed etiche contro la corruzione moderna e l’obesità del superfluo.
Lo stile di vita Mediterraneo impone un ritorno all’abbondanza frugale. Un modo socialmente democratico di nutrirsi bene e insieme; in cui il rito del pasto diventa un momento di confronto e trasmissione di valori, poiché il cibo si fa parola e il mangiare diventa espressione culturale di un popolo.
Non a caso nel 2010 la Dieta Mediterranea ha ricevuto il riconoscimento UNESCO quale patrimonio culturale di rilevanza non solo globale ma universale: “una pratica alimentare che non si risolve semplicemente in una serie di ricette e tipicità, ma rinvia a processi sociali, alle politiche e alle retoriche che le contengono e le producono incessantemente”.
Per non perdere i valori sottesi alle diverse culture è quindi fondamentale partire dalla tavola: ma quali sono i cibi simbolo di questa alimentazione?
Nell’immaginario comune il termine Dieta Mediterranea fa pensare sostanzialmente a due piatti: gli spaghetti pomodoro e basilico e la pizza. Ma questa accezione non è totalmente vera poiché il suo inventore Ancel Keys con sua moglie Margaret, promuovono un regime povero di grassi ma ricco di sapori e mai monotono, in cui non esistono privazioni e prevale la regola del “di tutto un po’”.
Questa mentalità alimentare ha come fulcro l’assunzione di tanta frutta e verdura. Infatti il cuore di ciò che oggi consideriamo Dieta Mediterranea  è principalmente vegetariano ed è costituito nella sua essenza a partire dalla così detta Triade Mediterranea composta dall’olio, il vino e il pane. Così, in un’ottica volta all’autarchia alimentare, all’autoproduzione e al km zero, la ristorazione globale deve tornare alla sua essenza, al vintage e all’immanenza del cibo inteso come il più universale dei linguaggi umani.

Fonti:
E.Moro “La dieta Mediterranea – Mito e storia di uno stile di vita”
M.Niola “Homo Dieteticus – Viaggio nelle tribù alimentari”

Lino Scarallo: biografia di una stella (Michelin)

Lino-Scarallo-padella-640x426Nato a Napoli il 10/4/1973, lo Chef Lino Scarallo è oggi una delle icone gastronomiche partenopee.

A 10 anni preferivo restare a casa al caldo per le vacanze estive, pur di non farmi il viaggio in auto Napoli- Maiori”. Ed è proprio durante l’assenza dei suoi genitori che Lino, insieme a sua zia, ha cominciato i primi esperimenti in cucina avvicinandosi ai piatti tipici della tradizione napoletana. Questa sua passione per i fornelli diventa realtà già a 16 anni, quando in estate comincia ad andare fuori Napoli per i primi lavoretti in cucina. A 21 anni decide di aprire un “ristorantino” a Panza che dopo pochi mesi trasforma in un pub chiamato “La cantina del nonno” dove fa sia accoglienza che ristorazione.

La prima svolta nella vita gastronomica di Lino, avviene a 23 anni quando diventa Chef del ristorante “La maschera” (AV). Qui si concretizza la sua formazione a suon di “zuppe, tanta carne e tanto pesce. Soprattutto baccalà”.

Nel 2007 la seconda svolta: galeotto- ironicamente- fu l’incontro con il commercialista Edoardo Trotta. Infatti, nelle ex stalle del Palazzo Petrucci in Piazza S. Domenico Maggiore, apre l’omonimo ristornate “Palazzo Petrucci” con Chef, ovviamente, Lino Scarallo. Elemento caratteristico del ristorante è la cucina in vista, voluta fortemente da Lino, per far notare tutto l’amore e la passione con cui vengono realizzati i piatti. Il menù presenta principalmente piatti tipici napoletani, rivisitati in chiave moderna, lasciando spazio anche ad altri piatti interamente figli della sua ispirazione. Tanta passione e tanti sacrifici, portano lo Chef verso la sua terza svolta nel 2009: l’assegnazione della stella Michelin a Palazzo Petrucci. Questa riconoscenza non ha però affatto scalfito l’umiltà che pervade il grembiule dello Chef il cui unico scopo è di “dare il massimo e regalare sorrisi ai clienti”. Da Gennaio 2016 Palazzo Petrucci si è trasferito a Posillipo, cambiando il nome in “Villa Donn’Anna- Palazzo Petrucci”.

Lo Chef si definisce calcisticamente parlando “Un mediano, di quelli che in mezzo al campo corre dal primo all’ultimo minuto mettendoci tanto cuore”. Il suo motto in cucina? “Da soli non si vince”. Questo è ciò che Lino vuol trasmettere alla sua brigata dando sempre molta importanza al gioco di squadra e definendosi un “democratico in cucina”.

 

Marcello Ammendola