E’ innegabile per noi futuri comunicatori che la nostra Bibbia sia quel librone con più di 1000 pagine denominato vocabolario della lingua italiana. Se provassimo però a cercare la definizione della parola “cibo” troveremmo un risultato del genere: ” ciò di cui ci si nutre, necessario alla sopravvivenza”. In realtà il cibo non è solo questo, la sua definizione non è univoca. Esso si declina in molteplici accezioni e discipline. E’ così che ha esordito Massimo Roscia, scrittore e critico enogastronomico, durante la prima delle due lezioni di editoria al master del gambero rosso. Un’esperienza poco convenzionale, ma che ci ha regalato nuove prospettive.
Focalizzandoci sulla nostra presentazione, sulle nostre attitudini ed esperienze, si è svelato un “cibo” diramato in molteplici significati come: cultura, territorio, tradizione, religione, scienza, musica, moda, marketing, arte,antropologia e naturalmente comunicazione.
Per ottenere un buon articolo è necessario seguire le classiche regole, sintetizzabili nell’acronimo PASSACARTE:
-Plot. contenuto di senso compiuto
-Analisi, morfologia, sintassi ,ortografia
-Stile
-Sorgenti. Dirette o indirette certificate
-Attenzione. Scelta dei tempi e del loro mantenimento
-Concordanza. Rispettare i generi maschile/femminile e il numero singolare/plurale
-Azione. Ritmo, fluidità del testo
-Ricercatezza. Personalizzazione del testo con metafore o virtuosismi
-Trova il refuso, l’errore di composizione o di stampa
-Editing finale compreso di autocritica
Roscia però aggiunge “mettiamoci il nostro”, ovvero quella parola, dettaglio, quel famoso “mot juste” di cui parla Flaubert, che renda perfettamente l’idea al lettore di ciò che vogliamo comunicare.
Bisogna coinvolgere il nostro interlocutore, raccontando e creando emozioni, stimolando i cinque sensi. Regaliamo un film al lettore non vedente. E’ un po come fare marketing esperenziale, l’obiettivo è focalizzarsi sull’esperienza di fruizione più che sul prodotto.
Dunque scegliamo sempre una comunicazione multidisciplinare e multisensoriale.
Improvvisata dell’ultima ora. Vengono a farci visita i fondatori della nuova pizzeria aperta da pochi mesi a Napoli, ma che già ha riscosso un grande successo. Sono Ciro Salvo e Maurizio Cortese a presentare la loro iniziativa chiamata “50 kalò”, che tradotto in gergo dei pizzaioli significa “panetto buono”.
La ricetta è sempre la stessa: acqua, farina e lievito, ma anche qui la differenza è nell’aggiunta di un pizzico di sè e di giocare, oltre che su prodotti di alta qualità e sulla stagionalità, sulla modalità di fruizione. Offrire un ambiente elegante e accogliente, che faccia vivere una vera e propria esperienza emotiva al cliente. D’altronde come dice Maurizio “la pizza va gustata ma anche raccontata”.
Esattamente quello che cercavo. Terzo Lombardo