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Fuori dal piatto con Dario Laurenzi

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2015-02-26 19Lezione dal contenuto emozionale quella svolta con Dario Laurenzi, concetto centrale nel suo lavoro di consulente enogastronomico.
Il valore di un piatto non è più un condimento eventuale, ma l’ingrediente che gli conferisce senso, ed è su questa strada che il consiglio si trasforma in fatturato. L’architettura della ristorazione viene creata dalle sue fondamenta seguendo le classiche 4P (Product-Price-Place-Promotion) ma edificandosi con prospettiva, poiché lo sviluppo di nuove realtà ristorative è tale solo se relazionato al contesto. Osservare il piatto e non vederne i confini è la giusta via per disegnare le traiettorie innestate nella memoria del cliente.

Qualità diviene sinonimo di benessere, e va a tratteggiarsi nei cambiamenti socio-culturali che superano la circonferenza del piatto ma ne seguono la scia. Cogliere le dinamiche contrattuali, in quel Geomarketing che ne stabilizza la portata consente di valutare stili di vita, orari e ritmi lavorativi, approcci culturali che, vincolati dal territorio, condizionano la merce sugli scaffali.
Conoscenza è la parola chiave per varcare la memoria del cliente senza forzarne la serratura. Uscire ormai non equivale più a mangiare del cibo, ma ascoltare storie su quel cibo, che assume così un’identità. Così venire incontro alle esigenze del cliente significa riuscire a soddisfare i bisogni che lo fanno stare bene. E ciò si rende possibile inquadrandoli in categorie di mercato: componenti di servizio, esperienziali, ludiche.

Lo stesso piatto può cambiare nella mente delle persone a seconda del contenuto di valore dato a un prodotto. La fidelizzazione non è più utopia se alla mutevolezza della realtà si coniuga un locale camaleontico, senza l’assurda pretesa di cambiare il cliente, ma solo la saggia scelta di comprenderlo. Questa la formula dietro un Business Plan, che segue le logiche di una realtà duttile, con la consapevolezza che anticipare i trend è previsione ma non certezza. Porsi degli obiettivi diventa il motore da cui trarre una direzione del progetto e diramarla in fase analitica, concettuale, progettuale, esecutiva: la composizione esperienziale fuori dal piatto in cui far emergere reminiscenze emozionali invisibili in esso.

 

Fonte immagine: Anton Ego in Ratatouille (copyright Pixar 2007)

Il primato della guida “Vini d’Italia”

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Paolo Zaccaria durante la lezione di editoria enogastronomica.

Paolo Zaccaria, laureato in filosofia, ricercatore per 11 anni a Bruxelles; dal 2001 con Gambero Rosso, per il quale cura la guida dei vini.
Ecco un tema affrontato durante la lezione di editoria enogastronomica.

Il mondo dell’editoria italiana ha avuto, da sempre, uno scarso interesse nella pubblicazione di libri e guide che facessero riferimento al mondo enogastronomico.  Pochi sono stati gli esempi italiani che ci hanno raccontato questo settore,  caso isolato è il “Ghiottone errante” di Paolo Monelli del 1935.

Il  vuoto di pubblicazioni nel settore dell’enologia italiana dura fino al 1961, quando la casa editrice Baloffi  pubblicò Il catalogo dei vini d’Italia, scritto da Luigi Veronelli. Enologo, cuoco, gastronomo e scrittore, fu lui a dirigere la prima guida italiana dedicata esclusivamente al vino. Essa conteneva descrizioni accurate delle aziende e dei vini, ai quali venivano dedicate puntuali degustazioni, con giudizi che puntavano molto alla qualità ed alla peculiarità del singolo prodotto. Ma il grande limite di questa guida fu la discontinuità nelle pubblicazioni.

La grande innovazione arriva nel 1987, quando il Gambero Rosso, in associazione con Slow Food, pubblicò per la prima volta la  guida “Vini d’Italia”, curata da Daniele Cernilli e Carlo Petrini. Per dieci anni è stata l’unica grande guida italiana ad occuparsi di vini italiani: sono stati recensiti circa 20.000 vini prodotti da 2.402 cantine, con precise informazioni, oltre che dei contatti e degli indirizzi, anche relative alla dimensione aziendale, al tipo di viticoltura, alle modalità di visita dell’azienda e all’acquisto diretto dei prodotti. Per ogni vino venivano date tutte le informazioni fondamentali: il colore, la denominazione, i vitigni, l’invecchiamento.

Guida vini d’Italia 2015

Nella sua guida, il Gambero Rosso ha introdotto, come metodo di valutazione della qualità  e dell’eccellenza del vino, l’assegnazione da un minimo di un bicchiere, a un massimo di tre. Negli anni si è aggiunta anche la sezione dedicati ai tre bicchieri verdi, utilizzata per segnalare i migliori vini ottenuti mediante pratiche di agricoltura biologica.

La guida “Vini d’Italia”  ha saputo confermare anno dopo anno il suo valore, anche se dal nuovo millennio c’è stata una vera e propria esplosione di interesse per il mondo enogastronomico e in particolare per il vino, tanto che oggi possiamo contare su circa dieci guide oltre la “Vini d’Italia” di Gambero Rosso.

Francesco Dammicco ci presenta il Gambero Rosso.

Di fondamentale importanza la lezione tenuta da Francesco Dammicco, direttore commerciale del Gambero Rosso. Poche ma intense ore durante le quali ci ha guidato nel lungo viaggio alla scoperta della nascita e dell’evoluzione di quella che è la “nostra” azienda, leader nel settore enogastronomico. Un discorso puntuale quello con cui Francesco ha tracciato la storia dell’azienda partendo dalle origini. Era il 1986 quando il Gambero Rosso nacque da un’intuizione di Stefano Bonilli. Il percorso verso l’affermazione è stato molto difficile. Ci basti pensare che inizialmente la rivista del Gambero Rosso era un’appendice de il Manifesto, ma anche grazie a questa collaborazione essa diviene in breve tempo conosciuta. Nel 1987 nasce la prima guida Vini d’Italia, ancora oggi tra le più autorevoli del settore. Bisogna aspettare il 1992 per vedere la rivista in edicola per la prima volta senza alcuna partnership editoriale, né legata a il Manifesto, né tantomeno ad Arcigola di Carlo Petrini, poi divenuta Slow Food. Iniziò in questo modo la sua ascesa come realtà indipendente. La capacità di rinnovarsi è stata sicuramente la loro arma vincente. Infatti nel 1994 il Gambero Rosso giunse anche sul mercato americano con la rivista Wine Travel Food. Nel 1995 nacque a Roma il Girone dei Golosi, un evento all’insegna del buon bere e del buon mangiare e spopola sul web con il sito www.gamberorosso.it. Sono seguiti molti altri traguardi tra cui è necessario ricordare la nascita nel 1999 del canale Rai sat Gambero Rosso Channel sulla tv satellitare tele+, oggi Gambero Rosso Channel canale 411 di Sky. Nel 2002 nasce la Città del Gusto a Roma, vero e proprio quartier generale dell’azienda. Una realtà volta negli anni successivi ad espandersi in altre città dando vita a moltissimi percorsi formativi tra cui tre Master Universitari. Ad oggi sono numerose le guide del Gambero Rosso, dalla fondamentale guida ai Ristoranti d’Italia fino alla guida dei migliori formaggi d’Italia, passando per quella dei migliori oli, dei migliori bar, pizzerie e street food. Pressoché sterminata è invece la serie di pubblicazioni di libri, di ricette o saggi culinari.

In foto di copertina: un’immagine storica del magazine a colori del Gambero Rosso.

 

Homo Dieteticus Viaggio nelle tribù alimentari di Marino Niola

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L’antropologia studia, con approccio comparato, le culture umane. Se non c’è comparazione non esiste antropologia. L’altro, il diverso da noi, serve a comprendere l’io. Un bravo antropologo scrive ciò che vive. Così Marino Niola si mette a dieta. Le prova tutte e le lascia tutte. Parla di ciò che sente sulla pelle e lo racconta in HOMO DIETETICUS Viaggio nelle tribù alimentari, edito da il Mulino. Il libro viene presentato il 12 febbraio a Napoli alla sede della Feltrinelli di piazza dei Martiri. Grafica accattivante e copertina in perfetto still life: una bella pera tondeggiante comodamente posta su una sedia. Le curve sono ammesse, almeno nel cibo! Le illustrazioni sono di Ivana Stoyanova. Ogni capitolo è preceduto da una citazione ricercata, ironica ed acuta.

L’autore, tra tabù alimentari e mode alimentari analizza l’Homo Dieteticus. La dieta è intesa tra benessere ed essere. In 145 pagine gli argomenti spaziano: da Pitagora a Lisa Simpson, dalle sante anoressiche alle icone dello star system, dagli stiliti agli stilisti, dalle paleodiete di Cip e Ciop alla dieta mediterranea, dal crudo al cotto, dal cotto al diversamente cotto. Inconsapevolmente siamo a dieta da sempre. Marino Niola in partecipazione osservante analizza il mondo del tribalismo alimentare contemporaneo, il rapporto dell’uomo con il cibo e di quest’ultimo come mezzo per identificazione e contrapposizione. L’alimentazione è un modo per esprimersi: ciò che gustiamo o disgustiamo è ciò che ci rappresenta e nello stesso modo ci distingue. Siamo ciò che mangiamo e siamo ciò che non mangiamo. La società contemporanea codifica ciò che viviamo in un comportamento alimentare: sindrome del “cibo senza”. Una parte del mondo ha fame assoluta e l’altra parte del mondo cerca di controllare l’appetito. Tra fame ed abbondanza, viviamo il problema del passaggio “dalla polpa alla colpa” e quindi l’esperienza della rinuncia. L’intolleranza alimentare è erede di quella che una volta era intolleranza religiosa. Il modello da raggiungere è una forma di religione che torna, si fanno fioretti laici non per Dio ma per l’io. Non abbiamo il demonio ma demonizziamo continuamente qualcosa. L’etica è diventata dietetica. La ricerca del modello alimentare perfetto è ossessione globale. Tra crudisti, sushisti, vegetarianei, vegani, gluten free e no carb mangiare è un atto politico. In tanta diversità umana e diversità alimentare, Marino Niola, riconosce che: “Il cibo è il più universale dei linguaggi umani. Unisce gli individui laddove le ideologie, le culture e le nazionalità li dividono.”. In questa prospettiva l’autore, nella battaglia tra kebab o big mac trova la soluzione in una saporita e salutare terza alternativa…
HOMO DIETETICUS Viaggio nelle tribù alimentari è un libro attualissimo. Cibo per la mente, da gustare o divorare. Buona lettura!

Il disequilibrio gustoso. A cena da Marianna Vitale.

Mancare ad una lezione quando il professore è Gabriele Zanatta e come ospite c’è Marianna Vitale? Assolutamente sconsigliato.

Alzarsi dal letto ancora febbricitante.

Assimilare tutte le informazioni possibili da un professionista come Gabriele.

Bombardare di domande la Miglior cuoca d’Italia 2015 secondo Identità Golose e la Guida de l’Espresso.

Accettare, nonostante tu sia ancora febbricitante, all’ ultimo minuto,  di correre a cena da Marianna insieme a persone dalle quali hai tanto da imparare e con i tuoi soliti amici “irriducibili”…

Tutto assolutamente consigliato.

Con tanto spirito di iniziativa e con un pizzico di follia, una classica giornata di studio si è trasformata in un’esperienza formativa unica. Siamo passati in poche ore dallo stiracchiare le gambe tra i  banchetti dell’aula UK ad agitarle freneticamente sotto il tavolo del ristorante Sud di Marianna Vitale, situato a Quarto (NA) via S. Pietro e Paolo, 8.

Mentre aspettavamo l’inizio del nostro percorso di Degustazione, le domande alle quali poche ore prima si era gentilmente sottoposta Marianna a lezione continuavano a rimbalzarmi nella mente… “Perché hai scelto di chiamare il ristorante Sud?”, “Qual è il tuo approccio con i clienti?”, “Quali sono i tuoi obiettivi in futuro?” e moltissime altre in una full immersion di circa due ore durante le quali lei non si è mai risparmiata, non ha ceduto di un solo millimetro. Tenace, determinata, ambiziosa, spontanea, sincera, forte. Severa con se stessa. Negli occhi la consapevolezza di chi nell’ infanzia non ha avuto tanto e la tenacia di chi sa esattamente quali obiettivi vuole raggiungere. Mi è sembrato di ascoltare due storie, quella che Marianna ci raccontava e quella che leggevo nei suoi occhi, così familiare, così napoletana.  Quasi mi pareva possibile contestualizzare il racconto, riuscire ad immaginare esattamente come poteva essere Porta Capuana quando Marianna era solo una bambina e i suoi zii, di passaggio a Napoli andavano a farle visita, il rumore del caffè pronto per essere servito. Una casa sempre aperta, la pietanza del giorno  che bolle in pentola e  la  certezza di cosa si trovasse nel calderone, perché come ci racconta Marianna, da lei come in molte altre famiglie napoletane vigeva una sorta di Menù fisso. Accanto alla tradizionale cucina della nonna ha avuto la possibilità di sperimentare, grazie alla creatività di suo padre, nuovi accostamenti e sapori. Quasi per gioco infatti si divertivano ad utilizzare gli stessi ingredienti usati dalla nonna a pranzo per dare vita ad un piatto nuovo, alla sera, totalmente diverso.

Questa creatività Marianna Vitale ha continuato a coltivarla, e già dai primi assaggi è stato piuttosto chiaro.

Ad ogni morso rimanevo piacevolmente stupita dall’accostamento degli ingredienti e dal fatto che pur essendo lontanissimi dalla mia mente, mangiati “in un solboccone” sembravano esser nati per stare insieme.

La Zuppa di maruzzielli, germogli di broccoli friarielli e pomodoro del vesuvio, è buonissima. È un piatto dal carattere forte, dal sapore intenso, dai colori brillanti, vitali pur essendo costituito da un prodotto piccolo, povero. In ogni portata mi sembra quasi di descrivere l’impressione che mi ha fatto Marianna.

La Cheese-cake di baccalà profumata al finocchietto  con ceci, pomodori confit e buccia di limone. Il piatto parla da solo. Io posso solo aggiungere che l’ho divorato tutto, pur essendo la porzione abbondante e avendo una secolare ostilità verso il baccalà.

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Con i primi, Marianna ci ha messo KO. Io, gli anemoni non li avevo mai mangiati, né tantomeno sospettavo che fossero commestibili, eppure per molto tempo vi dirò che gli spaghetti con gli anemoni e wasabi sono una degli accostamenti più buoni che mi sia capitato di provare.

Poi il piatto che in qualche modo mi suggerisce il titolo, “Impepata”. Mischiato delicato con cozze, pepe e limone. Da napoletana non ho potuto far altro che rimanere scioccata da questo piatto e di volerne dell’altro! Pasta mista con cozze e ricci, peperoni arrosto, il succo di due limoni, aglio, olio, pepe e peperoncino.  E’ un piatto straordinario! Dire “disequilibrio gustoso” e dire “Impepata” è praticamente la stessa cosa.  Bisogna assaggiarlo, ho tentato di spiegare a chiunque incontrassi per strada in questi giorni che cos’è l’impepata di Marianna… mi hanno detto che vaneggiavo.

I piatti sono curati da ogni punto di vista. Il secondo, Triglia e colatura di alici, era un piccolo capolavoro. Ho apprezzato moltissimo la capacità di Marianna di utilizzare degli ingredienti poveri e donare loro una nuova dignità. La triglia a Napoli fa frittura di paranza, in quel piatto faceva da protagonista. Mi è sembrato di non aver mangiato mai una triglia prima di allora.

I piatti, anche quelli non riportati erano tutti molto buoni. La cena è stata un gran successo. Non la dimenticherò molto presto. Ma più di ogni altra cosa non dimenticherò gli occhi di Marianna.

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in foto di copertina: una Marianna sorridente mostra la sua “impepata” (http://www.scattidigusto.it/2014/07/10/diversamente-impepata-ricetta-perfetta-marianna-vitale/#jp-carousel-132556) 

Viaggio verso nuovi orizzonti culinari con Gabriele Zanatta

Ogni epoca storica ha delle proprie caratteristiche in cucina. Sulla storia della cucina esistono solo appunti confusi perché l’arte di ben preparare e cucinare vivande non ha mai avuto dignità di scienza.

Gabriele Zanatta, in due lezioni per il master in comunicazione multimediale dell’enogastronomia, spiega che i tempi sono maturi per occuparsi dell’enogastronomia con approccio nuovo. La cucina contemporanea è la conseguenza di movimenti secolari di cui il professore spiega ogni passaggio. Con abilità di oratore, tratta di epoche profondamente diverse in cui il cibo assume importanza differente: il cibo come mezzo per sfamarsi, il cibo dei banchetti disordinati, l’affermazione del principio che un piatto deve essere buono da mangiare e bello da vedere e per contro attualissimi piatti di incredibile bruttezza e sorprendente gusto. Nulla è ciò che appare: un piatto è frutto di pensiero, combinazione perfetta di ricerca e fantasia. Il cibo che mangiamo è risultato culturale di ciò che viviamo.

Siamo nell’ epoca della “cucina d’autore” di cui Zanatta elabora un profilo dei principali esponenti. Invita Marianna Vitale ad intervenire a lezione e lascia, con generosità, spazio agli alunni per intervistare la cuoca stellata che racconta la sua storia professionale e le proprie aspirazioni per il futuro. La generosità di Zanatta si percepisce con maggiore forza nelle parole: “quando voi andrete”, augurio rivolto agli alunni di viaggiare e scoprire orizzonti culinari inesplorati per aprire la mente ai tabù alimentari. L’esigenza è parlare di ciò che si crea di buono per dare al lavoro, di chi cerca di distinguersi dalla massa, un valore.

Agrimontana: dal cioccolato alla passione

Per appassionati e responsabili di settore, Identità Golose è una grandissima occasione di osservazione e studio, oltre che per noti nomi stellati e grandi sponsor, di tutte quelle realtà piccole esteriormente, ma, grandi per carattere.
Passeggiando tra i numerosi stend, affascinata ed entusiasmata da tutto questo mondo a me nuovo, ho avuto il piacere di ascoltare e conoscere chi, ogni giorno, per mestiere, ma soprattutto per passione, si dedica a ciò che di più puro possa esistere, il cibo, in tutta la sua essenza.
Da amante del dolce, in particolare del buon cioccolato, non ho potuto resistere dall’approfondire la conoscenza di un’azienda piemontese presente in fiera, Agrimontana, nata da volere e passione di Cesare Bardini nel 1972.
Grazie alla gentilezza e disponibilità di Andrea Tortora, giovane chef pasticciere e docente Alma, e di Giuseppe, gentilissimo collaboratore di fabbrica e a mio avviso ottimo comunicatore, ho avuto il piacere di assaporare e degustare le numerose varietà di cioccolato lavorate dall’azienda raccontate secondo tradizioni e passioni, con romanticissimi accostamenti di frutta secca, fresca, candita e sciroppata, tutto a partire dalle diversità della materia prima, il cioccolato.
Esiste cioccolato e cioccolato, Agrimontana propone una materia prima studiata, ricercata e scelta, avvalorata da una storia tracciabile e riconoscibile dal suo attento cliente sotto il nome Domori, per concludere con una lavorazione tutt’altro che comune per un’attenzione alla totalità di aroma, gusto e tatto riconoscibili in ogni forma e misura.

Il nutrimento dell’anima

imageL’intervento di Massimo Bottura ad identità golose 2015 ha rappresentato il momento di riflessione piu’ intenso ed atteso, soprattutto per il progetto Food for soul, per il  recupero degli eccessi di Expo2015 da reinventare con la cucina dei grandi chef nel  teatro greco di Milano, recuperato in chiave di refettorio mensa Caritas.

Il ruolo dello chef  va interpretato in una nuova prospettiva, “deve essere a metà via tra  chi al mondo ha tutto e chi non ha niente”, il nutrimento e un diritto  per tutti , ma citando Hegel , lo chef  ricorda a tutti che l’appagamento dei bisogni primari dell’uomo passa per il fondamentale desiderio di essere riconosciuti e di valere qualcosa per qualcuno, perciò è necessario recuperare e ridare dignità alla nostra cultura enogastronomica, per recuperare consapevolezza e prendere coscienza della nostra identità.

La Cultura e la  conoscenza risvegliano   la coscienza e il senso di responsabilità,  gli chef mai come ora sono tenuti a parlare a tutti e non solo agli appassionati e agli addetti ai lavori.
Recuperare e valorizzare tutte le materie prime ed ogni passaggio della filiera contro la cultura dello spreco, vuol dire recuperare la cultura del cibo e con essa la nostra identità, perchè la cultura enogastronomica è stata sempre basata sul recupero prima dell’epoca del consumismo sfrenatoParola chiave di ogni pensiero dello chef è stata recuperare, che vuol dire anche riconquistare e per far questo è necessario un atto di volontà e di forza affinchè il cibo rappresenti un nutrimento per l’anima, “Food for soul”.

Il piatto presentato dallo chef per Expo 2015  è “il Pane è oro”,  reinterpretazione della zuppa di latte,  piatto forte della sera nell’Italia degli anni 50, rielaborato con briciole di pane saltate per renderle croccanti, spuma di latte mescolato con pane secco, gelato di latte e zucchero il tutto coperto da un cristallo di zucchero  dal color dell’oro, a ricordarci che il pane è oro.

Il Pane è oro è un Piatto che cura l’anima è ,come dice ancora lo chef, uno stato emozionale perchè cucinare per uno chef è un atto semplice e allo stesso tempo complesso, la ricetta è un gesto di umiltà e generosità, perchè il cuoco deve avere la voglia di dare piacere e conforto e deve poter arrivare anche al gusto dei piu semplici

Altro piatto con forte carica di recupero di identità sono i”Passatelli”, che i monaci realizzavano a fine settimana dalle briciole di pane conservate durante la settimana e che, saltate in padella con dell’ uovo, accompagnate ad una ciotola di brodo caldo erano il pasto della sera.

Lo chef presenta i Passatelli in forma diversa, reinterpretandone in chiave moderna  il  loro valore originale di piatto povero, realizzato con ingredienti di scarto.
Recupera bucce di patate, topinambur,sedano rapa, che tostate e in successiva estrazione verticale, saranno la farina per Passatelli,e una cottura a vapore delle bucce con successiva affumicazione per un lentissimo e profondissimo brodo in estrazione; in questo modo si è reso visibile l’invisibile dice lo chef, perchè  ciò che non abbiamo perso, in Con il recupero delle bucce, è quello di cui si è arricchita la nostra consapevolezza, questo è un piatto guadagnato

Il giapponismo vegetale di Enrico Crippa

Nei 2400 secondi che spettavano ad Enrico Crippa, nella sala Auditorium del MiCo di Milano che ha ospitato il convegno di Identità Golose 2015, è passato un uragano. Si è trattato, però, di un uragano buono, un uragano zen.

Curriculum sontuoso quello di Enrico Crippa, che dopo aver cucinato con Gualtiero Marchesi, Michael Bras e Ferran Adrià, ha trascorso tre anni (tra il 2000 ed il 2003) tra Kobe ed Osaka ed il minimalismo nipponico è una delle maggiori evidenze nella sua cucina.

Il riservato “moschettiere” brianzolo ha esordito col ricordare che in questo 2015 dell’EXPO (presenza decisamente permeante i corridoi di questa edizione della kermesse di Paolo Marchi) cade il decennale dell’orto del “suo” ristorante Piazza Duomo ad Alba, che dal 2012 può fregiarsi della sua terza stella Michelin. Dopo aver sottolineato l’imperante trend del “ritorno al vegetale” e il valore pionieristico di aver creduto alla forza intrinseca e “morale” di una cucina ricca di verdure, specie in una terra di proteine com’è quella albese, il buon Enrico è partito con una raffica di meravigliose ricette. Così travestito da quell’uragano di cui sopra, ha passato in rassegna.

  • insalata verde di mare. Idea nata nel Settembre scorso da un tentativo maldestro di creare del compost da dei rifiuti organici dell’orto, con la fuliggine che sporcò le adiacenti foglie di lattuga. Così, assieme ai nostrani polpa di ricci di mare, acqua di vongole e cozze ed olio alle aringhe convive dello zenzero candito mentre i fiocchi di alga nori ed il carbone vegetale sbriciolato interpretano il residuo dei focolari… alfine il katsuobushi sugella il matrimonio tra terra, mediterraneo e Sol Levante. Smart.
  • bresaola di daikon fermentato. L’eccessivo caldo della scorsa estate faceva marcire la verdura. Di qui l’idea marinare del daikon oramai quasi “fermentato” in una pasta di miso, ponendolo sottovuoto per 4/10 gg (a seconda della dimensione del ravanello giapponese) per poi condirlo con una mistura dell’acqua di marinatura ed olio con sopra del grana padano. Una vera bresaola vegetal/nipponica.

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  • Midollo di cardo (ipetrofico). Essendo il midollo dei cardi in eccesso a causa del troppo caldo dell’estate scorsa, questo viene cotto sottovuoto a basse temperature per diverse ore con numerose spezie (occidentali ed orientali) e poi servito con il “caviale di gallina” (uovo marinato, dichiarato tributo a Cracco), olio aromatizzato alle acciughe mentre il tarassaco è il richiamo all’amaro che fu.
  • Cipolla di Tropea caramellata. Cotta in una tisana ai frutti di bosco selezionata con l’aiuto di una erborista di fiducia, servita con burro di alpeggio frullato con ginepro tostato e guanciale, composta di fiori cosmos marinati in aceto di riso, il tutto decorato con fiori di campo e polvere di lampone.  Bellissima, sembra una caramella, di un colore incredibilmente pop. Vagamente impressionista l’impiattamento (perdonate la qualità della foto!).

… E poi ancora cavolo ornamentale cotto sottovuoto con pancetta e ginepro servito su un “fango di cozze” ed alfine il dessert: scorzonera e radice di liquirizia cotte sottovuoto a bassa temperatura con gelato al fior di latte, crema pasticciera di grano saraceno (splendida) guarnito con piccole meringhette di limone e violetta. La fotocamera era in crisi ed il taccuino in fiamme ma oramai il vento si abbassava, la burrasca lasciava il posto alla bonaccia… eravamo nell’occhio del ciclone, avvolti e rapiti dal piccolo moschettiere zen.

Davide Oldani. Sapori invisibili.

oldani_5Milanese. Classe 1967. Mentore: Gualtiero Marchesi. Segni particolari: Ex calciatore. Obiettivo: realizzare l‘equilibrio tra i contrasti. Stiamo parlando di Davide Oldani, chef della trattoria “D’O” situata a San Pietro all’Olmo, frazione di Cornaredo in provincia di Milano, uno dei protagonisti della seconda giornata dell’evento Identità Golose Milano 2015.Il piatto proposto dallo chef, riso bianco con essenza di zafferano e oro, ha una grande prevalenza di giallo in quanto è stato un omaggio all’oramai prossimo evento Expo Milano 2015, ricordando per l’appunto uno dei colori presenti nel logo. Oldani, inoltre, con questo piatto ha voluto ricordare le sue radici, dedicandolo al suo mentore. Esso, infatti, rimanda nel nome e negli ingredienti ad uno dei cavalli di battaglia di Marchesi: il risotto oro e zafferano. Non solo, in perfetta linea con il valore di Sana Intelligenza, condiviso da tutti i partecipanti all’evento, la sua creazione ha un ulteriore significato ovvero il rispetto e l’attenzione per l’intero processo di produzione del cibo. Lo chef, infatti, non ha perso l’occasione di stimolare una riflessione al  pubblico presente in sala sul valore di un grammo di zafferano per cogliere il quale un contadino: “deve abbassarsi almeno 500 volte”. Ha avanzato riflessioni sul recupero di quelle materie prime reputate povere, sulla salvaguardia e la rivalutazione dei prodotti andando contro qualsiasi spreco, ribadendo più volte l’importanza di avere il coraggio di sperimentare, percorrendo nuove strade, senza aver  paura di andare oltre la tradizione. Non è un caso che abbia rivisitato la ricetta utilizzando una mistura di riso: due tipologie di carnaroli, una di vialone nano e due di carnaroli stagionati, giocando in questo modo a creare un equilibrio con diverse consistenze e sapori.   Non poteva mancare un fedele richiamo ad un altro dei capisaldi della sua cucina Pop, ovvero l’attenzione al dettaglio, al contenitore che deve valorizzare il contenuto. Per accomodare la sua creazione Oldani ha utilizzato un piatto appartenente alla collezione “I.D.Ish by D’O Davide Oldani”, una linea completa di piatti in melammina bianco osso o color bronzo che presentano la particolarità di recare un’impronta su ognuno di essi, spiegata dallo chef come un ingegnosa trovata per ridurre e ottimizzare le modalità ed i tempi di impiattamento.