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Il Gazpacho di Pedro Almodóvar

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“Pomodoro, cetriolo, peperone, cipolla, una punta d’aglio, olio, sale, aceto, pane secco e acqua. Il segreto è mescolare bene.” Così Pepa (Carmen Maura), protagonista del film “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” di Pedro Almodóvar, rendeva omaggio nel 1988 al Gazpacho, recitando quella che sarebbe passata nella storia del cinema, come la sua ricetta più famosa.

Tipica zuppa fredda spagnola, originaria dell’Andalusia, il Gazpacho, lo si può assaggiare  in diverse serie televisive (ad esempio Red Dwarf, Will&Grace), in una puntata de I Simpson e in alcuni film soprattutto italiani come Olè o Maschi contro femmine, ma è nel cinema di Almodovar che trova il suo abbinamento più idoneo, facendosi gustare e facendoci degustare un rinfrescante sorso di cultura popolare. Infatti, il carattere eterogeneo dei suoi film ben si sposa con quel mix di verdure tritate e frullate, differente in tutte le case proprio perché saldamente ancorato alla tradizione popolare e, allo stesso tempo, universalmente riconosciuto come sedativo efficace e ritemprante di quei sentimenti intensi e quasi isterici che ritroviamo nella protagonista del film così come nel Gazpacho stesso.

 Pepa, con la sua ricetta deliziosa almeno quanto diabolica,  traghetta chi ha intorno in una realtà parallela che è quella delle donne che come lei perdono l’uomo che amano e che per questo rasentano la nevrosi. Il mescolare forte ed espressivo di quella che potrebbe essere una pozione stregata poco segreta visto che ne svela il trucco,  serve a esorcizzare quel dolore e soprattutto a saziare la sua fame di condivisione della pena. Dunque Pedro Almodovar e il suo gazpacho o viceversa in una ricetta normale e prestabilita, ricca di ingredienti previsti e tradizionali, come anestetico di una passione che è evaporata, non priva però di quella componente indesiderata che ti condanna ad assaporare il sonno; un tipo di cinema svariato e mescolato al punto giusto e per bene, magari, si spera, senza l’aggiunta di sonnifero.

 

 

“LA LIBERTÀ È INNANZITUTTO IL DIRITTO ALLA DISUGUALIANZA” -Nikolaj Berdjaev-

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Il sabato crepuscolare di Napoli si tinge di colori e suoni che aleggiano in ogni vicolo; la via più popolata in prossimità del centro storico diventa passerella di scambi multietnici e multiculturali tra persone che, a distanza di pochi metri l’uno dall’altra, sono pronti a mettere il loro essere a disposizione dei passanti. Via Toledo mette in mostra una grande varietà di personaggi che concepiscono l’arte e le manifestazioni in modi differenti; dagli artisti che disegnano sui marciapiedi ai burattinai che fanno danzare le loro marionette, dal dolce suono del violinista al pizzicare delle corde di una chitarra.

Nel giorno della festa del papà, con S. Giuseppe e i preparativi per la Domenica delle Palme, tutta la città è in fermento. Insomma, sembra che per la ricetta “della felicità” non manchi proprio nulla; eppure un angolo della piazza si tinge di rosso.

A pochi metri dall’ingresso della metropolitana un gruppo di uomini e donne in modalità mimo stanno rappresentando quella che, secondo la loro visione di sensibilità e rispetto, deve essere la Pasqua.

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Le Associazioni Animaliste, anche quest’anno, hanno cercato di raccogliere consensi per dire NO all’uccisione degli agnelli. Le parole dell’onorevole Brambilla, da sempre schierata radicalmente per la salvaguardia dei diritti degli animali, fanno scaturire innumerevoli polemiche: “La strage di agnelli e capretti a Pasqua è la più esecrabile, è un cocktail di crudeltà, arroganza e business”.

È stata lanciata inoltre una campagna di raccolta firme a sostegno del progetto di legge che vieti “l’abbattimento, la macellazione, nonché l’importazione e l’esportazione di animali che non abbiano raggiunto l’età adulta”.

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Tra i passanti in piazza della Carità molti si fermano e cercano di capire cosa sta succedendo: “com’è possibile che tutti gli anni ci sono i soliti radicali che mettono scompiglio?”esplicitano alcuni; altri invece sono contenti che “fortunatamente c’è qualcuno che si batte per la categoria degli indifesi”.

Forse la domanda da porsi è: chi sta salvando chi? E cosa?

Non dimentichiamo che quello dell’agnello è un argomento di cui si parla fin dai tempi biblici, dove tutte le religioni e tutti i popoli hanno tradotto a proprio modo quest’usanza. È vero che la storia dell’alimentazione si è sempre segnata col sangue, ma è anche vero che la maggior parte delle volte “quel sangue” è stato (ed è ancora oggi) fondamentale per sfamare la gente, sia in termini nutrizionali sia per la sussistenza economica degli allevatori.

“Tutti questi problemi esistono da quando è arrivata la società del benessere e tutte le comodità sono a portata di mano”, dice una distinta signora che si guarda attorno con aria un po’ nostalgica.

Purtroppo le diverse tribù alimentari non hanno diviso solamente le persone in base a quello che mangiano, ma hanno scisso soprattutto i sentimenti. Si parla della “fiera degli assassini” solo perché alcuni mangiano la carne, oppure di “ipocrisia” solo perché altri non lo fanno.

L’esasperazione dei linguaggi del cibo si va modellando verso le dottrine modaiole che demonizzano tutto quello che è diverso; si assiste a un tira e molla tra compassione e menefreghismo, salvatori e sicari.

Alcuni ci dicono che il futuro dell’alimentazione saranno gli insetti, altri approvano che basterà “ripiantare” il mondo come se dovessimo per forza scegliere tra la cultura…o le colture.

In quest’epoca, la biodiversità e la ricerca di soluzioni alternative atte a salvare il pianeta sono di fondamentale importanza per far sì che le prossime generazioni abbiamo un futuro quanto meno accettabile. Rivalutare l’agricoltura non vuol dire solo piantare frutta e verdura ma significa anche rispettare tutto un sistema che ruota attorno alla terra.

Puntare un dito contro persone che sostengono la loro volontà di non essere carnivori, equivale ad abbandonare e sminuire i fondamenti di “libertà e rispetto dell’altro”; infondo però, un po’ di moderazione e di consumi consapevoli non hanno mai fatto male a nessuno.

Eleuteria C.

 

‘O sfizio d”a Notizia, Enzo Coccia fa tripletta!

La sa lunga l’uomo dietro quel fenomeno gastronomico napoletano chiamato Pizzaria La Notizia. Non accontentandosi di aver segnato con il grassetto un nuovo punto di partenza per il mondo pizzaiolo, Coccia decide di gourmettizzare anche uno dei prodotti più aggressivi e popolari quale è la pizza fritta. Il suo tentativo chiamato ‘O sfizio d”a Notizia  si inerpica in un terreno insidioso, fatto non solo di tradizioni centenarie relegate a questo alimento ma (soprattutto) ad un ossimorico connubio semantico: come si fa a rielaborare ed alleggerire qualcosa che è di natura simbolo dello “strong” e del calorico?

 

Ma Enzo non è tipo da arrendersi di fronte ai primi problemi. Spesso li aggredisce (paradossalmente) a morsi. Ed è così che il suo più che uno “sfizio” è una questione seria, con un locale dalle luci e dai colori caldi che si sposano con intelligenza tanto alla tavolata centrale, per chi è alla ricerca di un aperitivo veloce, quanto ad una sezione più rilassata con tavoli e sedie. E il buon gusto persiste al palato: la montanara con pesto genovese, stracciata di bufala e pinoli tostati convince nel suo equilibrio tra morbidezze e croccantezze, con un impasto perfettamente in linea con la mentalità di chi cerca di percorrere una strada differente dalla imponenza del classico piatto partenopeo. Discorso analogo alla pizza primavera con fiordilatte, zucchine e lardo di Colonnata che si diverte al saliscendi delle sapidità, ora accentuate dalla componente vegetale ora attenuata dal latticino.

 

Ma non di solo fritto vive l’uomo, ed è così che Coccia riaffonda nel gioco di rimandi temporali guardando al passato ma reinterpretandolo secondo le esigenze gustative di un nuovo pubblico; è il caso nello specifico delle ‘mpustarelle napoletane, importanti panini che dovevano placare la fame di un popolo troppo bisognoso in tal senso. E ancora una volta Enzo ribalta i ruoli, con gli ingredienti a fare la parte del leone nel rubare la scena ad un involucro che già di suo sa affermarsi con personalità grazie ad una inusuale (e convincente) morbidezza che lo caratterizza; così la ‘mpustarella con provola di bufala, mortadella e pesto di pistacchio stuzzica in maniera intelligente il palato mentre quella con crema di zucca, provola, funghi di stagione e salsiccia di bufalo dà un segnale più deciso e rustico.
Ben calibrata infine la carta dei vini che spazia dalle bollicine italiane alle effervescenze francesi, in un ambiente che le accoglie alle pareti con la giusta sensibilità.

Articolo e foto di Massimiliano Guadagno

 

Ironia, convivialità ed esperienza: la Libertà nei piatti di Identità Golose 2016

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Un nido d’ape di trippa che ricorda un lussuoso portagioielli, gustoso ed inaspettato incontro tra povertà e ricchezza, nobiltà e intelligenza, il piatto copertina dell’ edizione di Identità Golose dedicata alla forza della libertà, non poteva che essere questa emancipata proposta della Chef Cristina Bowerman, portavoce della libertà di osare e di provare.

Giunto ormai al suo dodicesimo appuntamento, il Congresso Internazionale di cucina che ha condito la città di Milano dal 6 all’8 marzo, ha proposto una ricetta a base di verdure, gelato, formaggio, pane e panettone, pizza e champagne sapientemente mantecata da quella forza che dona il coraggio di dire qualcosa ( a meno che ci sia qualcosa da raccontare) spogliandoti di qualsiasi restrizione alla tua libertà con la stessa semplicità con cui Davide Scabin,il rivoluzionario bocciato della guida Michelin 2016, si è spogliato della sua giacca da chef all’apertura dei lavori, invitando al ritorno alla cucina organica della bisnonna e al fisiologico consumo di legumi. Chef, pizzaioli ed esperti hanno declinato il tema protagonista in un rispettoso susseguirsi di personali apporti in cui i veri ingredienti sono stati l’ironia, la convivialità e l’esperienza. Poco importa se non tutti sono a favore dell’orto a tutti i costi e se altri invece, come Enrico Crippa,  lo ergono a comandante dinamico e indiscusso del menù; se c’è chi parla di soggettiva e unica percezione del gusto come equilibrio tra salute e piacere che non può prescindere dalla condivisione (Mauro Defendente Febbrari) e chi invece, come Franco Pepe, l’equilibrio lo ricerca tra mare e terra in un originale almeno quanto schietto ed irriverente abbinamento pizza-champagne. Radici e ali quindi, per capire da dove veniamo e verso quale libertà ci stiamo dirigendo anche nella proposta di chi come Massimo Bottura, con umile sicurezza,  accende i riflettori sulla propria brigata per esprimere se stesso improvvisando ma mai improvvisandosi. Dunque l’importanza del ruolo assunto dallo staff sempre più prossimo alla famiglia e la continua attenzione a cosa accade anche da lontano, nel materno ma autoritario contributo di Annie Feolde (Enoteca Pinchiorri, Firenze),  sposta invece l’attenzione su quei valori a volte dimenticati  di chi sceglie questa strada. Al via quindi un confronto tra chef di ieri, di oggi e magari di domani, a colpi di disciplina, lucidità mentale, curiosità, sacrificio e rispetto, nella definizione di una professione, quella del cuoco, che va oltre il riduttivo connubio arte e carattere e che ha bisogno di guardare al di là dei confini del proprio piatto, assaggiando e apprezzando anche ciò che sta attorno alla propria libera e sicuramente innovativa identità golosa.

Caterina Castiello

La Storia Si Ripete

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Il gioco fra tutto o niente, realtà o finzione

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A volte è strano immaginare quanto il passaggio del testimone generazionale sia riconducibile solo ad un semplice passaggio di persone. Sono le persone che fanno la storia oppure è la storia che è fatta di persone? La certezza è che “il nostro essere è il nostro passato”.

Probabilmente il cibo è davvero l’unica chiave concreta per leggere i popoli di tutte le epoche e di ogni angolo del mondo. L’evoluzione della tavola ci ha condotti verso una vera libidine del gusto passando dal cibo come unico oggetto di nutrimento, all’estensione sensoriale di ogni singolo alimento.

La spettacolarizzazione gastronomica si muove sempre più verso continenti ancora inesplorati; ognuno sta viaggiando a proprio modo e senza limite all’ingegno, le grandi firme delle cucine mondiali si battono per i piaceri della masticazione!

Ieri c’era François Vatel, che con somma maestria ha saputo innalzare il valore della Francia culinaria. Quello che accadeva nell’alta società tra ‘600 e ‘700 ha rappresentato la prima grande teatralità in onore del cibo a 360°.

Lo spettacolo messo in atto nelle corti ha segnato la scissione tra due ere. La nuova divisione di un mondo che accetta e impara a comprendere la bellezza della tavola…e tutto quello che c’era prima.

Oggi “El Somni”, un progetto multimediale con il ristorante tra musica e televisione, che ha messo la creatività al servizio del cibo –o viceversa- ha aperto le porte “a persone che non hanno bisogno di essere artisti, un luogo per creare un pensiero rivolto su tutte le linee: scienziati, giovani, attori e musicisti da tutte le aree del sapere e della cultura”.

I fratelli Roca, del ristorante El Celler de Can Roca, hanno agganciato la voce della cantante e compositrice Silvia Pérez Cruz all’aura magica di una tavola da pranzo; con l’inconfondibile maestro Wagner si è ricalcata la forza delle idee. “El Somni è un viaggio, una festa di nozze in tutte le arti creata per far emozionare”. La cucina ha da sempre avuto un corpo che va man mano acquisendo volto e anima; il paesaggio attorno al commensale si imbandisce come un palcoscenico fatto di colori e forme, armonie e contrasti per creare la bellezza.

Una cena fatta dalle più disparate invenzioni scenografiche dove si vive il desiderio dell’assoluto, del sublime e del perfetto che ricerca l’essere umano.

Lo stesso intento è stato ricercato dallo chef iberico David Munoz, quando si è lanciato nell’apertura del “Diverxo”. Nato nel 2007, si è da subito proposto come condottiero della cucina fusion in una complessa ricerca di tecniche e novità legate anche al mondo del servizio di sala.

Dal “grande merluzzo al forno glassato e decorato con un naccarello in bocca” al “gol di Messi”; dalla “crema Chantilly” alle “Olive di Tokyo con semi di soia, polvere di olive Kalamata, salsa di Yuzu e pomodoro verde cileno”.

Creare e stupire sono da sempre l’obiettivo principe dei “maestri del piacere”; che si tratti di Massimo Bottura o Paolo Lopriore, di Gualtiero Marchesi o Alain Ducasse, d’El Somni o del Dom d’oltre oceano, “non si può pensare bene, amare bene, dormire bene se non si ha mangiato bene”.

 

Antonia Klugmann, l’equilibrista

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Antonia Klugmann, come un’equilibrista, cammina sicura su linee di confine. Lo fa ogni giorno cavalcando territori di prossimità. Da poco più di un anno si è trasferita nella cucina all’Argine di Vencò, a Dolegna del Collio, lì dove Italia e Slovenia si sfiorano. Dove culture e usanze diverse si sovrappongono, respingono o incontrano.

Ma Antonia ha saputo dar spazio al fare funambolesco anche fuori dalle mura del suo Ristorante, sotto le luci di Identità Golose 2016. Muovendosi, in questa circostanza, sulle creste di confini non geografici. Ha dimostrato di saper procedere, in equilibrio, su quei fili sottili e ruvidi, che tengono assieme la creatività, la libertà e la femminilità. Lasciando che le mani parlassero con lei e di lei mentre, con naturalezza ed emozione, impastava cucina e narrativa di fronte ad un attento pubblico milanese.

Come si relazionano libertà, femminilità e creatività?

“La libertà oggi è non dover dimostrare la propria particolarità, è lavorare in quanto cuoche e non in quanto donne. L’obiettivo di una donna deve essere la propria realizzazione intellettuale, lo sviluppo del proprio mondo interiore con la creatività e il lavoro, grazie a stimoli continui che riempiano la vita e la mente”.

In questa prima istanza Antonia scandisce la voce per affermare che è il momento di porre fine agli abusatissimi luoghi comuni rimarcanti le differenze di genere. E’ giunta l’ora di narrare dell’altro. Di sondare il terreno complesso dell’immaginazione umana, per esempio. Di provare a capire da cosa scaturiscano le idee e di individuare quale sia oggi il modo migliore per esprimerle.

La creatività è l’espressione del genio di un singolo?

“Le idee, anche le più apparentemente isolate, sono frutto di un pensare comune”.

Il creativo, cuoco o narratore che sia, deve muoversi con destrezza sulla regnatela della creatività. Anzi, dev’essere lui stesso a tesserla, attingendo dalla comunità in cui è inserito. Per bandire ingiuste autoaffermazioni e consentire che l’opera, così come il piatto, rappresenti a tutti gli effetti una ‘porzione di mondo’. Lo sono sicuramente anche quei raviolini arrostiti, ripieni al tarassaco, conditi con piccole biete, pak choi e erbe spontanee, che Antonia ha preparato mentre, ricordando le parole di Virginia Woolf, ci descriveva il suo luogo ideale e attuale di ispirazione creativa. Una stanza, tappezzata di stimoli, erbe, ortaggi, profumi, persone. E’ la sua stanza, tutta per sé, a Vencò.

Giulia Zampieri

 

Identità Golose 2016: Il Palato Mentale di Massimo Bottura

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Si abbassano le luci. Una voce fuoricampo appena tremula per l’emozione e con la zeta dolce emiliana si diffonde nell’Auditorium di Identità Golose. E’ Massimo Bottura. Tutto il pubblico è li che lo ascolta in silenzio, c’è addirittura chi ha il naso incollato al vetro pur di non perdersi un solo frammento della sua arringa.

Parla lentamente. In modo chiaro sottolinea come la libertà di creare sia per un cuoco un elemento imprescindibile e così la accosta alla poesia: “Il segreto è riuscire a tenere un piccolo spazio per la poesia [..] rendere visibile l’invisibile”. Allo stesso tempo essere liberi di creare è anche follia, lasciar andare ciò che si ha dentro. Essere liberi nel momento ma senza dimenticare il passato. “Non si ci improvvisa grandi cuochi ma i grandi cuochi improvvisano”.

I suoi percorsi mentali partono dalle idee, dalla stagionalità e dalle materie prime. Tutte queste variabili intrecciate tra loro e unite alla tecnica, che permette di sublimare ed esaltarne le peculiarità, portano alla realizzazione dei suoi piatti. Ma non solo. Bottura infatti utilizza il palato mentale, che definisce un ingrediente vero e proprio, un database costituito dai singoli prodotti che ha conosciuto e assaggiato e attraverso i quali ricorda sfumature e consistenze da utilizzare nella costruzione di un piatto.

Così è riuscito a creare una sua identità e “L’osteria Francescana” è lo specchio della sua anima. Un luogo dove ricerca e crescita, personale e di squadra, sono alla base di una delle cucine più apprezzate al mondo.
Siamo alle battute finali, nell’aria già si diffonde un piacevole odore di buono. Sul palco i suoi chef Taka e Davide – volutamente lasciati soli sul palco – si apprestano a completare il piatto “A volte pernice, a volte germano”. A volte basta poco per essere felici e gustare, ancora una volta, bocconi di cultura masticabili.

A volte pernice a volte germano

 

                Martina Chirico

A Identità Golose 2016 il progetto dello chef Paolo Lopriore: ricostruire lo spazio conviviale

La massima espressione della convivialità si costruisce a tavola, oggi la nostra modernità liquida ha eroso i tempi di condivisione e del “far da mangiare”. Possiamo sostenere che da secoli la tavola è lo specchio della nostra cultura, degli aspetti psicologici, sociali e antropologici; ci si rende conto quindi che, anche il suo allestimento ha ripercussioni sull’aspetto dialogico dell’uomo.

In questa corrente di pensiero si innesca e innesta il pensiero dello chef Paolo Lopriore, allievo del maestro Marchesi, con il suo progetto di ricostruire uno spazio di convivialità in un alta cucina, oppure potremmo chiamarla “altra”cucina .

La sua idea di ricostruire lo spazio a tavola è stata presentata prima a “Madrid Fusion” e poi a “Identità Golose”, in entrambi i congressi la tavola, e non il piatto, ri-diventa spazio conviviale. Il mezzo fungerà da catalizzatore della socializzazione, e nasce dalla stretta collaborazione con l’artista/designer Andrea Salvetti che permetterà di trasferire a tavola profumi/emozioni e soprattutto la fase più importante della cucina, la cottura.

L’architetto e sommelier Alessia Cipolla, nel suo libro “Il progetto della tavola”, ritiene che: “Comporre la tavola richiede sensibilità, ricerca e capacità di visione”.
Questa capacità di visione di Lopriore è stata resa concreta da Salvetti con la “vaporiera” e la “mistery”.

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La “vaporiera” è un alto calice con un uovo in ceramica che cuoce e concentra sapori in modo molto rapido. Il fluido di cottura si sedimenta nel fondo del calice, così da poter utilizzare la salsa e il liquido di cottura come condimento del piatto stesso.

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La “mistery” si mostra apparentemente come un grosso piatto di servizio coperto da cloche, il suo compito è quello di legare cottura e riscaldamento: questa viene messa su fuoco vivo, successivamente lasciata raffreddare in modo graduale per ultimare la cottura. Temperatura e pressione vengono regolate direttamente a tavola con una piccola valvola di sfiato, naturalmente in base alle esigenze del piatto.

La nostra storia lascia tracce e segni indelebili, la visione del passato oggi si rivela utile a fornire idee e affrontare il presente, questo sembra restituirci quella semplicità, autenticità e pienezza che la vita moderna non ci offre. Lopriore ha saputo cogliere il messaggio del passato e costruire una tavola conviviale tridimensionale: un cliente “attivo” con il “far da mangiare” disperdendo quell’aura di sacralità dei grandi ristoranti; una spettacolarizzazione della tavola, senza scomodare la cucina di Paracucchi;e un annullamento della distanza tra tavola e cucina/chef.
Quindi, quanto detto pone un interrogativo: “possiamo sostenere che la tavola diventa palcoscenico non più dello chef ma del cliente”?

Alessandro Ditommaso

Fotografia: Bob Noto

L’amatriciana sotto pressione secondo Scabin

“Cos’è la cucina? Chimica, fisica con applicazione della fantasia”. Sono queste dichiarazioni dello chef del Combal Zero di Rivoli la chiave di volta per comprendere al meglio il talento di Davide Scabin, che allo showcooking di Identità Golose 2016 ha fatto ben intendere l’importante linea di demarcazione tra genialità e normalità.
Toccare un mostro sacro come l’amatriciana e reinventarlo secondo metodi di cottura alternativi non è un compito da tutti i giorni. Eppure se le teorie a monte convincono quanto i risultati a valle qualche domanda ce la dobbiamo porre. Ma partiamo con ordine.

 

Cos’è?
Prendete la pentola a pressione. Infilateci dentro la pasta, i pomodori pelati frullati, del guanciale tagliato sottile, acqua, sale, peperoncino, del vino bianco. Tutto a crudo. Chiudete e attendete i 12 minuti. Aprite, aggiungete il pecorino ed assisterete alla magia. Assisterete cioè al ribaltamento semantico che vede una alta cucina appannaggio esclusivo di complesse combinazioni di ingredienti. Ovviamente quelli succitati sono dosati accuratamente, ma sui valori quantitativi Scabin ha voluto tacere. Poco importa. Il risultato è un composto ben amalgamato, dove un cremoso sugo convola a nozze con una pasta perfettamente al dente.

 

Perché?
Ma in fondo dov’è la rivoluzione? Dov’è il mero vantaggio di questo che, per occhi poco attenti, può sembrare solo un coniglio tirato fuori dal cilindro di uno chef virtuoso? Molto più di quello che possiate pensare:

1)  Gusto. Il gioco alchemico riesce perfettamente a partire dalle papille gustative. Il risultato convince in armonia e fedeltà del sapore.

2) Salute. E’ anche una variante light, considerato che non si usa né olio né burro oltre che una quantità decisamente ridotta di sale.

3) Ambiente. Questa è facile. Avete tolto da mezzo una pentola stracolma d’acqua. In numeri si traduce in qualcosa di sbalorditivo: 17 miliardi di litri d’acqua risparmiati a persona.

4) Consumi. Ovviamente dimezzando pentole e padelle si dimezza il consumo di gas.

5) Tempo.12 minuti. In totale. Riuscite a fare meglio a parità di ricetta?

Massimiliano Guadagno

Identità Golose Milano 2016: tra punti di vista e forme di libertà

Il tema della dodicesima edizione di “Identità Golose Milano” è stato: la forza della libertà. Libertà di espressione, libertà di pensiero, libertà di concepire un piatto che, anche se appartenente alla tradizione, riuscisse ad avere un appeal diverso nei confronti dei commensali.

1- Davide Scabin (Combal.Zero)
1- Davide Scabin (Combal.Zero)

Davide Scabin, chef del “Combal.Zero” (Rivoli), apre Identità Golose Milano 2016 esprimendo il suo senso di libertà. Spronando i giovani a non aver paura di niente, a farsi coraggio e ad osare; sempre. Con il suo approccio scientifico alla cucina, Scabin rappresenta uno degli esempi di libertà d’espressione. Una forma di libertà che forse sembra essere anche restrittiva in quanto molto schematizzata, ma che al tempo stesso riesce a far esprimere lo chef al meglio. Il sale pesato al milligrammo. L’Amatriciana preparata nella pentola a pressione. Un approccio (apparentemente) meno sentimentale, più razionale alla cucina.

Non siete d’accordo? Questione di punti di vista.

Anche Ugo Alciati, chef del ristorante “Guido” (Serralunga d’Alba), viene chiamato a rapporto per esporre il suo approccio ai fornelli. Prima di tutto: aboliti aglio e cipolla nei soffritti, anche se gli equilibri saranno più difficili da trovare. Gli Agnolotti del plin, senza il coniglio. Un modo di cucinare che si rifà ai classici metodi del Q.B. (quanto basta), del vivere l’evoluzione del piatto durante la sua preparazione in modo che lo si possa modificare come meglio reputa lo chef.

Non siete d’accordo? Questione di punti di vista.

2- Ugo Alciati (Guido)
2- Ugo Alciati (Guido)

E lo chef del “D’O” (Milano), Davide Oldani? Anche lui pronto a rischiare, ad osare, ad esprimere la sua libertà in cucina utilizzando per il suo Risotto allo zafferano, un riso invecchiato di 18 mesi che rischia di risultare crudo ai denti del cliente. La scorza di limone che prende una nota importante nel piatto. Il risotto girato con delicatezza e non continuamente (come ci insegnano le mamme e le nonne). L’aggiunta dello zucchero per bilanciare sempre una qualsiasi presenza del sale nei suoi piatti.

Non siete d’accordo? Questione di punti di vista.

3- Davide Oldani (D'O)
3- Davide Oldani (D’O)

 

Pochi esempi presi in considerazione in relazione alla mole di forme di espressione, di idee e di progetti per rivoluzionare il mondo della cucina, ma sufficienti per comunicare il concept di questa edizione di Identità Golose Milano 2016. L’importanza di avere dei punti di vista differenti per poterci confrontare con degli aspetti che, magari, non avremmo mai pensato neanche di prendere in considerazione. Ma anche l’importanza di poter lavorare e comunicare in totale libertà. Libertà che fa sentire vivi. Libertà che fa trovare il coraggio di rivelarsi. Libertà che aiuta gli audaci e chi prova a giocare quando il gioco si fa realmente duro. Perchè non c’è tempo per disperarsi, per arrendersi, per trovare delle giustificazioni ai fallimenti. C’è solo il tempo di conoscere per esprimersi in libertà.

Non siete d’accordo? Fortunatamente, è tutta questione di punti di vista.

 

 

 

Marcello Ammendola