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Le puntarelle Romane

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Le puntarelle sono i germogli di una particolare varietà di cicoria chiamata “Cicoria Catalogna”. Nel nord Italia questo ortaggio non fa parte delle coltivazioni più diffuse ed è poco conosciuto, al contrario è protagonista della cucina regionale laziale, da qui il nome “puntarelle alla romana“. La sua nascita risale a duemila anni fa: veniva infatti coltivata e raccolta prima dai Greci poi dai Romani, quest’ultimi usavano condirla con il garum un condimento ottenuto dalla macerazione di pesce azzurro e sale, i liquidi rilasciati venivano successivamente allungati con del vino acetato. Questa tradizione culinaria arriva fino ai nostri giorni, rimanendo un caposaldo della tradizione laziale. Questa particolare varietà di cicoria ama molto la fascia mediterranea e si è ambientata bene nel tempo a questa zona, ma essendo molto resistente ed avendo una buona capacità di adattamento si può coltivare con facilità anche nelle zone più fredde. Il periodo della raccolta può avvenire in due periodi dell’anno, quello primaverile e autunnale.

Le puntarelle Romane si presentano come un cespo di foglie dal colore verde intenso e dalla forma allungata, il gusto è leggermente amarognolo e la consistenza è tenera ma allo stesso tempo croccante. La ricetta tipica vuole che prima di poterle cucinare si lascino a bagno con dell’acqua e del ghiaccio in modo da far attenuare un po’ il gusto amarognolo della verdura. Nel frattempo si procede con la creazione di una salsa, tanto semplice quanto particolare, composta da acciughe, qualche spicchio d’aglio, olio extravergine di oliva, sale e pepe. Il tutto va accuratamente pestato in modo da ottenere una crema che verrà posta sulle puntarelle crude e tagliate finemente. La semplicità di questo piatto è anche il suo punto forte, la freschezza e l’armonia che vi è tra gli ingredienti la rendono una pietanza unica e genuina.

Il frutto dell’Etna: l’Arancia Rossa di Sicilia Igp

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È proprio tra le province di Siracusa e Catania dove un frutto così unico nel suo genere si può gustare al meglio di sé. L’Arancia Rossa di Sicilia ritrova le sue origini in Cina, arrivando poi a toccare le coste del Mediterraneo. Per secoli la sua pianta, capace di raggiungere i 12 metri, venne usata unicamente a scopo ornamentale: per i bellissimi e profumatissimi fiori bianchi. Solo grazie agli Arabi, dal XVII secolo, si sono comprese le grandi proprietà salutistiche dei suoi frutti.

Un prodotto unico ed inimitabile

In Sicilia orientale ha trovato un habitat ideale, diventando un vero e proprio simbolo per la regione. Le forti escursioni termiche tra giorno e notte per la presenza dell’Etna, il clima secco e la natura vulcanica del terreno donano a queste arance la loro tipica pigmentazione rossa, scaturita dalla presenza di Antocianine. Si dividono in tre tipologie (Sanguinello, Moro e Tarocco) che richiamano leggere differenze. La stessa varietà di arance, coltivata al di fuori dell’area geografica sottostante l’Etna, ha caratteristiche diverse.

L’Arancia Rossa aiuta la salute

Importantissima per il nostro benessere, l’Arancia Rossa contiene un’alta concentrazione di vitamina C, preziosa per il rafforzamento del nostro sistema immunitario. Notevole anche la presenza di vitamine B1 B2 B9 ed E, che ci protegge da malattie cardiovascolari. Ma a dominare tra i principi nutritivi di queste arance ci sono proprio le Antocianine, che, oltre a conferire un colore unico a questo frutto, fungono da antiossidanti e antinvecchiamento.

Inoltre è consigliata anche per chi soffre di obesità perché abbassa i livelli di colesterolo nel sangue e provoca un senso di sazietà. Insomma, l’Arancia Rossa di Sicilia Igp contiene e sprigiona tutte le sensazioni legate alla propria terra, che ha dato vita ad un prodotto assolutamente unico.

L’asparago verde di Capitanata: un prodotto “made in Foggia” che piace in tutto il mondo

Non tutti lo sanno, ma la “Capitanata”, come era un tempo chiamata la provincia di Foggia, produce circa il 95 per cento della produzione regionale di asparago verde. Una coltivazione che raggiunge i 100mila quintali raccolti annualmente su una superficie di 1500 ettari. Numeri che fanno dell’area del tavoliere il principale produttore di asparagi in Italia.

Oltre ad essere molto buona, questa pianta è anche molto bella, soprattutto nel periodo della fioritura. Le ampie distese verdi sulle quali l’asparago viene coltivato, rivelano tutto il fascino della campagna. Sullo sfondo, una tradizione millenaria.

Basti pensare che l’uso di questo simpatico vegetale era già molto comune ai tempi dei romani. È probabile che la pianta fosse stata portata dalla Persia; da qui “asparag”, la radice del suo nome, che in persiano significa: “germoglio”.

Le proprietà mediche dell’asparago verde

Ma l’asparago non è soltanto buono da mangiare! Non meno irrilevanti sono infatti le sue proprietà mediche. L’umanista e medico italiano Pietro Andrea Mattioli, nel 1555, ne parlava così: «Le proprietà benefiche ai reni dell’asparago sono note fin dall’antichità. La decottione delle radici una volta bevuta, giova all’orina ritenuta, à trabocco di fiele, alle malattie dei reni, e alle sciatiche. La decottione fatta nel vino giova ai denti doloranti. Le cime peste e bevute con vino bianco levano il dolore ai reni.»

Per quanto riguarda l’uso in cucina, tutte le varietà di asparago, tra cui anche quello verde di Capitanata, sono morbide e dolci, ottime anche se mangiate da sole, lessate in padella. Sicuramente la pietanza più comune è il risotto con gli asparagi, un piatto nutriente ma allo stesso tempo salutare, ideale per chi segue un regime alimentare piuttosto equilibrato. L’aggiunta, a vostra discrezione, di gamberetti, tributa al piatto un lignaggio superiore, rendendolo perfetto per una cena importante.

Non bisogna però dimenticare che nella provincia di Foggia, oltre alle coltivazioni di verde di Capitanata, sorgono spontanee, colture di asparago selvatico, perfetto per la “frittata”. Quest’ultimo è un piatto che può essere consumato anche freddo, elemento che rende la frittata di asparagi un cibo d’asporto ideale durante le gite in campagna.

Venite sul Tavoliere, e, se cercate qualcosa a chilometro zero, chiedete di lui: dell’asparago verde di Capitanata!

 "Botte d'asperges" di Edouard Manet (1880)
(Immagine Wikipedia)

Dalla Russia con amore: le mille qualità della barbabietola rossa

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Una delle verdure meno conosciute dalla cucina tradizionale italiana è la barbabietola rossa. Solo negli ultimi anni, grazie all’interesse crescente nei confronti degli ortaggi ricchi di proprietà salutistiche, ha iniziato ad essere maggiormente utilizzata in diverse ricette. Anche conosciuta come rapa rossa, questa pianta è ricca di antiossidanti e di vitamina K, che favorisce la coagulazione del sangue. Il suo colore rosso è dovuto alla presenza di betaina che riduce l’accumulo di grasso nel fegato.

Sono nato ed ho trascorso la mia adolescenza in Russia, dove la barbabietola rossa è l’ingrediente principale di una famosa zuppa chiamata “Borsch”. Inoltre viene anche utilizzata per un piatto tipico delle festività natalizie e dal nome abbastanza singolare: “Aringhe sotto pelliccia”. Si tratta di un’insalata di aringhe e verdure, servita fredda e ricoperta proprio dalla rapa rossa grattugiata. Nonostante i numerosi stereotipi, la cucina tradizionale russa non include solo pasti a base di vodka o caviale nero.

Per tutti coloro che volessero cimentarsi nel preparare una buona ricetta a base di barbabietola rossa, vi consiglio l’insalata di barbabietole con aglio.

Ingredienti per 2 persone:

  • 125 g di barbabietola rossa
  • 30 g di maionese
  • 15 g di noci
  • 2 spicchi d’aglio

Preparazione:

Lessate la barbabietola e poi grattugiatela con l’ausilio di una grattugia. Sbucciate l’aglio e macinatelo. Mettete tutto in un contenitore ed aggiungete la maionese. Amalgamate bene tutti gli ingredienti ed infine tritate le noci ed unitele all’insalata.

I friarielli non parlano italiano

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A Roma li chiamano broccoletti per via della loro stretta somiglianza con i broccoli, in Calabria sono conosciuti come broccoli di rape. Più giù nello stivale, in Puglia, li chiamano cime di rapa, mentre i toscani li identificano come rapini. A Napoli, la patria di questa nota specialità, si chiamano friarielli. Nella fattispecie sono la stessa cosa, ma meglio non farsi sentire da un napoletano verace, perchè il frariello è autoctono, il friariello è napoletano!

L’origine del nome andrebbe rintracciata nel verbo napoletano ‘frijere‘ che sta per friggere. Queste verdure venivano coltivate soprattutto nella zona alta del Vomero, tanto da far chiamare questa collina “o colle d’ ‘e friarielli“.  Come nelle ricette partenopee ancora in uso, i friarielli si preparano fritti in padella con sale, aglio, peperoncino e l’immancabile olio extra-vergine d’oliva. In precedenza, per rendere questa verdura maggiormente sostanziosa e nutriente, il popolo partenopeo la univa allo strutto, oggi rimpiazzato dall’olio extra-vergine.

I friarielli rappresentano una ricca fonte di ferro, acido folico, calcio e vitamine A, B2 e C. La presenza di clorofilla e magnesio aiutano a mantenere il buon umore e alleviano lo stress.

Si tratta di un piatto tipicamente invernale, poiché questi ortaggi si raccolgono fino alla primavera e non più tardi. È comunque possibile gustare il loro sapore tutto l’anno grazie alla variante sott’olio che consente una lunga conservazione e rispetta quindi il concetto di stagionalità.

Venerati da ogni buona forchetta, questi ortaggi rappresentano un contorno dal gusto semplice ma deciso che non può mancare a tavola! Un binomio perfetto lo creano con la salsiccia di maiale, dando vita a una delle pietre miliari della cucina di strada napoletana, il panino con salsiccia e friarielli. Se invece si ha voglia di elaborare qualcosa di più originale, un abbinamento senz’altro da provare è quello con i calamari.

La borragine: regina della Liguria

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In questi primi giorni di primavera è inevitabile non pensare al risveglio della terra e alle fioriture più belle. Le incredibili erbe aromatiche così essenziali per la nostra cucina ora sono all’apice del loro splendore. La borragine in Liguria secondo molti ne è la regina. In questa regione dove gli allevamenti scarseggiano, viene però premiata con un vero e proprio patrimonio di erbe domestiche e selvatiche.

La borragine, pianta erbacea che si distingue per i suoi fiori blu dagli stami quasi neri, riuscendo a crescere incolta nei prati, nei bordi delle strade, nei famosi muretti a secco fino ad arrivare a 1000 m di altezza.

Questa erba, sempre di stagione, di origine medio orientali (“abou = padre” e da “rash = sudore” cioè “padre del sudore“) sembra aver trovato il suo habitat naturale in un paesaggio vario come quello di questa terra dal clima mite. Ogni materia prima sembra che debba riportare fedelmente i colori, i profumi e le sensazioni che distinguono questa regione. Territorio caratterizzato da un’arte culinaria sempre di scoperta in cui culture e materie prime si mescolavano, riuscendo a creare però una cucina semplice e parsimoniosa. Caratterizzata da prodotti da forno, pesce e erbe.

Una pianta eretta, la borragine, ricoperta da una peluria bianca che la rende impossibile da mangiare cruda. Ma come si sa, la borragine in Liguria si è riuscita ad “addomesticare” facendola bollire,rendendola morbida e dal sapore deciso. Ottima come tanti dicono, come accompagnamento, fritta o nel minestrone. Ma per gusto personale la sua vera natura risalta nel ripieno dei ravioli rigorosamente chiusi con il pizzico. Ravioli c’u Pesigu,

Ravioli c'u Pesigu
Ravioli c’u Pesigu

così vengono chiamati nei famosi borghi liguri, conferendogli una caratteristica forma a fiocco. Accompagnati con un buon sugo non avrete difficoltà ad assaporare il gusto deciso di questa incredibile erba.

Fave: primizie di stagione

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Alimento povero della cultura contadina, le fave sono ottime in primavera, quando sono fresche. Crude o cotte, ecco quali sono le sue proprietà benefiche e qualche idea su come proporle e abbinarle nei nostri menù.

Le proprietà delle fave

Originaria dell’Asia Minore, la fava è una pianta dal colore verde chiaro, povera di grassi, ricca di fibre vegetali, proteine, sali minerali e vitamine utili per l’organismo umano. Uno dei legumi più antico della Storia, dalle proprietà diuretiche e disintossicanti, ideale per chi segue una dieta dimagrante perché contiene poche calorie (circa 90 per 100 grammi). Contiene anche la tiamina (vitamina B1), fondamentale per il corretto funzionamento del sistema nervoso, oltre che fare bene al cuore e alla pelle

Come si cucinano

Ingrediente principe della cucina meridionale, le fave sono una delle verdure più versatili della primavera. Si possono cucinare in tanti modi diversi: ottime con il pecorino, nelle zuppe, nelle vellutate, come condimento per la pasta, ma anche abbinate al pesce e in tante altre preparazioni. Dalla loro tritatura, è possibile ricavare un tipo di farina, privo di glutine, che può essere utilizzato per la preparazione della pasta fresca. Ma tradizione vuole che le fave facciano coppia fissa con il classico casatiello napoletano durante il pranzo di Pasqua.

L’albicocca vesuviana: il frutto d’oro

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L’albicocca vesuviana, in dialetto detta crisommola (da greco chrysoun melon, frutto d’oro) probabilmente per il suo meraviglioso colore arancione sgargiante, è una delle più antiche varietà coltivate sulle pendici del Vesuvio descritta già nel 1583 dallo scienziato Gian Battista Della Porta.
Coltivata nel Parco Nazionale del Vesuvio e detentrice del marchio IGP, questa eccellenza gastronomica e i suoi genuini metodi di produzione sono, inoltre, tutelati in quanto presidio Slow Food.

Sotto questa denominazione, in realtà, si diramano circa un centinaio di sottospecie caratterizzate da note aromatiche di diversa intensità, una texture più o meno liscia della buccia e la gradazione zuccherina del sapore. A renderle simili è il colore caldo e dorato simile a quello del sole e le tipiche sfumature rosse che, oltre a conferire unicità, rivelano gli andamenti di maturazione del frutto.

La raccolta avviene in primavera inoltrata e le qualità organolettiche di questo frutto si rivelano fondamentali per affrontare le giornate sempre più calde. Le albicocche vesuviane sono infatti un mix esplosivo di sapore, sali minerali, potassio e carotene grazie alla natura vulcanica del terreno in cui crescono.

Il consumo ottimale di questo frutto estremamente delicato è quello diretto e fresco. Non mancano numerose richieste da parte dell’industria di trasformazione per produrre conserve, canditi ed essiccati. Tutto questo rende l’albicocca vesuviana un frutto versatile e prezioso.

Il giallo colore della Costiera

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Il profumo, il sole che accarezza la pelle e la brezza del mare. Come scrisse Goethe: «conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?»

I tornanti, il giallo vivace, gli strapiombi e l’azzurro del Tirreno. Se davanti a noi c’è la bellezza della natura, alle nostre spalle c’è quella creata dalla fatica degli uomini. Le ‘macerine’ sono le tipiche coltivazioni a terrazzamenti del limone Igp che hanno ridisegnato i versanti scoscesi della Costiera Amalfitana e della Penisola Sorrentina.

I nostri antenati già sapevano che i limoni di queste terre sono tra i più ricchi di vitamina C e di oli essenziali. Due le varietà principali: il Costa d’Amalfi, o “Sfusato amalfitano”, e il Limone di Sorrento, anche detto “Femminello”. Il primo ha una forma allungata e appuntita, con la buccia spessa ed una polpa succosa. Mentre il secondo è più rotondo, presenta una piccola protuberanza ed è profumatissimo.

La coltivazione avviene sotto impalcature di pali di castagno per evitare che le piante siano sottoposte al freddo. La raccolta si effettua più volte l’anno ma il prodotto migliore arriva tra Marzo e Luglio. Le ceste di limoni sono trasportate su e giù per vecchi gradini di pietra. La sostenibilità e la qualità sono garantite dalla debita distanza tra le piante, solo 800 per ettaro, e una capacità produttiva massima di 35 tonnellate di limoni.

Dalla macerazione in alcol etilico delle scorze di entrambe le rinomate tipologie di limone si produce uno dei liquori dolci più noti al mondo: il limoncello.

 

 

Una cucina italiana al ritmo delle stagioni

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Una carrellata tra le materie prime del Bel Paese seguendo la stagionalità. Iniziamo oggi questo percorso che vi porterà alla scoperta dei prodotti che meglio rappresentano le varie stagioni nella cucina italiana.

Ognuno sarà raccontato nei luoghi in cui meglio è riuscito a radicarsi, contaminando la tradizione gastronomica locale. Parleremo di frutta e verdura di stagione, cercando di non essere banali. Per questo racconteremo anche il rapporto della materia prima con gli individui ed il territorio. Senza risparmiare aneddoti e qualche consiglio per i fornelli: per una cucina italiana più consapevole.

limoni di Sorrento
©pixabay

Dalla boragine, alla base di diversi piatti liguri, alle albicocche vesuviane, rinomate per la loro dolcezza fin dall’800. Dalle note cime di rapa pugliesi ai limoni di Sorrento, da cui si produce il famoso limoncello. Inoltre, riserveremo un interessante spazio anche alla barbabietola rossa ed ai vari usi nella cucina russa.

L’esempio della Dieta Mediterranea rimane un punto di riferimento, attraverso l’importanza di nutrirsi di quello che la natura ci offre in un determinato momento dell’anno. Ne conoscevano bene gli effetti positivi sulla salute, ma anche di sostenibilità, i nostri nonni e forse è arrivato il momento di rispolverarne l’importanza.