Anche una pratica agricola può diventare Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il primo caso al mondo è quello della vite ad alberello di Pantelleria, iscritta dal 26 Novembre 2014 nell’albo dei beni immateriali e culturali UNESCO.
Da sempre soffia forte il vento su Pantelleria. Talmente forte che l’isola siciliana si è meritata, fin dall’antichità, l’appellativo arabo di Bent-el-Rhia, ovvero di “figlia del vento”. L’arte della viticoltura non si è tuttavia piegata alle condizioni ambientali sfavorevoli, alle correnti marine dello Scirocco e del Maestrale, e nemmeno alla scarsità delle piogge. Affinando tecniche di coltivazione ‘creative e sostenibili’ il genio contadino è riuscito a fronteggiare le avversità e a ottenere uno dei vini passiti più conosciuti al mondo: lo Zibibbo, per l’appunto, di Pantelleria.
E’ su quei due elementi – creatività e sostenibilità- che si è focalizzata la relazione di candidatura presentata nel 2014 dal prof. Petrillo all’UNESCO. L’aspetto creativo si ritrova nelle ‘anomale’ scelte agrarie dei viticoltori: a differenza delle normali coltivazioni, l’alberello pantesco viene posto a soggiornare in una conca scavata nel terreno, in cui la pianta è protetta e al tempo stesso rinvigorita dall’umidità notturna; inoltre, grazie ad una potatura inusuale, le viti assumono delle posture orizzontali, ‘piegandosi’ verso il suolo e trovando riparo dal vento. Riguardo al tratto ‘sostenibile’ invece, questo si ritrova sia nel fatto che la disposizione in terrazzamenti con muretto a secco riduce notevolmente il rischio di erosione, sia perché le operazioni di coltivazione vengono tutte realizzate manualmente.
La vite ad alberello di Pantelleria è, in sostanza, oltre che un importante risorsa economica per l’isola di Pantelleria, l’espressione identitaria di un popolo rurale. Di una comunità che ha saputo prima ascoltare, e poi dialogare individuando il giusto linguaggio, con la natura.
Giulia Zampieri