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Focus sul vino

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Continuano le lezioni frontali per i 12 studenti del Master in Enogastronomia. Ad essere esaminata oggi è stata la filiera vitivinicola, principalmente campana ed italiana, con le afferenti statistiche di settore. Il relatore è stato Luciano D’Aponte, responsabile della Regione Campania per la promozione e la valorizzazione del settore agroalimentare, olio e vini in particolare.

Nello specifico sono stati esaminati gli sforzi compiuti dalla regione Campania per portare i propri prodotti nelle fiere agroalimentari più importanti d’Europa. Il vino campano è in assoluto il prodotto messo più in mostra grazie alla presenza alle fiere di settore tenute a Verona, Napoli, Merano, Londra, Bordeaux e Düsseldorf. D’Aponte ha speso parole per elencare i vini campani più pregiati e conosciuti quali il Taurasi, il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino e l’Aglianico del Taburno e menzionandone anche meno diffusi come l’Asprigno di Aversa, decantato anche dallo scrittore Mario Soldati.

D’Aponte ha tenuto a fare notare che i vitigni campani sono quasi del tutto autoctoni poiché la conservazione degli stessi è stata possibile grazie alla natura vulcanica del territorio, natura che ha fatto in modo da proteggerli e preservarli dall’attacco di parassiti come la Fillossera della vite. Tale parassita distrugge la vite ed ha partecipato in maniera attiva alla cancellazione di vitigni autoctoni in altre parti d’Europa, rendendo necessari impianti di altri vitigni internazionali, tra i quali il Cabernet e lo Chardonnay.

Uno sguardo è stato “buttato” anche sulla situazione italiana del mercato dei vini. Dalla osservazione dei dati forniti è emerso che il Veneto è la regione italiana che esporta la maggior mole  di prodotto all’estero grazie alla produzione di Amarone e Prosecco. Piemonte e Toscana stanno sul podio grazie alla vendita di vini quali rispettivamente Barolo per la prima e Chianti e Brunello per la seconda. La Campania, che si colloca circa al settimo posto in graduatoria, può contare un export di circa 40 milioni di euro di fatturato grazie alla Falanghina, il Taurasi ed il Fiorduva.

C’è stato spazio anche per una prima analisi del comparto olio d’oliva, elemento cardine nel contesto dieta mediterranea. Dai dati è emerso che l’olio d’oliva rappresenta il 4% del consumo totale dei grassi vegetali e che,  grazie al mutato stile alimentare,  il consumo è notevolmente in crescita. Sul mercato, infatti, è richiesto olio d’oliva di qualità, extravergine in particolare. Per poter essere denominato extravergine e quindi di prima qualità l’olio deve possedere un grado di acidità non superiore allo 0,8. Al gusto deve essere amarognolo e deve pizzicare in gola.

A lezione di diritto agroalimentare

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Al Master in Comunicazione dell’enogastronomia è tempo di “diritto dell’informazione”.

La dottoressa Ilaria Caggiano ha parlato nella giornata di lezioni dedicata al diritto di sicurezza alimentare, qualità, informazione sui prodotti e ha concluso la sua lezione lasciando agli studenti una serie di esempi e tipologie di frodi alimentari, metodologie di brevetti e curiosità di un settore tanto importante quanto vasto.
Il “diritto dell’agroalimentare” è quell’insieme di regole che governano i processi produttivi e di consumo, atti a soddisfare i bisogni dell’alimentazione. Le regolamentazioni in materia agroalimentare sono alla base di decenni di lavori dell’Unione Europea che controlla e regola i mercati interni e internazionali dei singoli paesi. Gli articoli 95 e 152 della UE riguardano infatti proprio gli “interessi del consumatore” e la “tutela della salute pubblica”, quest’ultima è alla base dei regimi di concorrenza che fanno si che la qualità di un prodotto venga mantenuta sempre sugli standard europei, pur restando nei limiti di tutela internazionale.

Che cos’è il “made in Italy”, i marchi DOP, STG e IGP, tracciabilità, provenienza sono solo alcuni dei tanti punti toccati nel corso della lezione che ha offerto un excursus rapido su questa branca così importante nell’ambito del diritto.

Non sono mancati esempi concreti e talvolta anche di scottante attualità per meglio capire le tematiche affrontate: si è parlato del caso della “class action” nei confronti della Nutella in California, delle frodi mercantili e sanitarie (mozzarelle blu e carni equine nelle carni in scatola) per poi passare a svariati esempi di pubblicità ingannevoli nazionali, in merito alla qualità si è preso ad esempio il caso del cioccolato italo/spagnolo di qualche anno fa, per poi giungere a chiarire le tre tipologie di responsabilità (penale, civile ed amministrativa) nell’ambito del discorso sulla sicurezza.

Una vera e propria lezione di diritto dell’alimentazione che ha lasciato agli studenti del Master una maggior consapevolezza che anche nel settore del “food & beverage” combattere inganni e frodi non è più una missione impossibile.

A lezione con Vito Teti: il cibo come elemento identitario

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A conclusione del modulo in “Storia e Antropologia della Gastronomia”, l’incontro con l’antropologo calabrese Vito Teti che, attraversando temi a lui cari come i processi di costruzione dell’identità, l’antropologia del viaggio, dell’emigrazione, dei luoghi e dell’abbandono, oltre che la storia e l’antropologia delle culture alimentari, ha tenuto una lezione sul cibo in riferimento al Mediterraneo e al Mezzogiorno d’Italia.

L’antropologo ci ha restituito una decostruzione della “dieta mediterranea”, spiegando che proprio negli anni in cui tendeva ad affermarsi – grazie soprattutto alle ricerche svolte da medici e nutrizionisti americani, fra cui Ancel Keys – le popolazioni del sud Italia, abbandonavano le tradizionali abitudini alimentari e che comunque queste erano diverse dal modello idealizzato. Ha inoltre evidenziato l’esistenza, in quegli anni, di almeno due modelli alimentari mediterranei, quello dei ceti ricchi e quello dei ceti poveri. I primi utilizzavano pane bianco, mangiavano carne, consumavano pesce fresco, avevano maggiori disponibilità di acqua potabile, consumavano maggiori quantità di cibo e disponevano di prodotti importati; mentre i secondi utilizzavano pane nero, mangiavano erbe, consumavano pesce conservato (quando era possibile), l’acqua potabile non era facilmente raggiungibile e ovviamente non potevano acquistare prodotti dall’estero.

Lo studioso ci spiega che gli italiani da “mangiafoglie” diventano “mangiaspaghetti” negli Stati Uniti e che quindi il processo di costruzione dell’identità italiana è avvenuta all’esterno. E’ negli USA che gli immigrati italiani del sud realizzano il sogno dell’abbondanza e l’America diventa un carnevale realizzato.

Oltre la triade mediterranea costituita dalla vite, dall’ulivo e dal grano, piatti e cibi che consideriamo tipici delle nostre cucine, vengono dall’esterno e sono in realtà relativamente giovani. Basti pensare alla fortuna dei prodotti americani come la patata, il mais, il peperone, il peperoncino, i diversi tipi di fagioli e il pomodoro che, nel corso dell’Ottocento, diventano tipici della nostra cultura alimentare.

La lezione si è conclusa con uno sguardo ai processi di omologazione in atto. Contro questo appiattimento, la diversificazione dei cibi e dei piatti diventa la forza per la fondazione dell’identità e Vito Teti suggerisce il bisogno di una “patria alimentare di riferimento” che ci protegga dalla globalizzazione. In questo quadro le memorie alimentari possono diventare risorse per il futuro.

Chupa Chups, compagno di gusto

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Si acquista d’istinto o per pura voglia nelle tabaccherie, nei bar e nei supermercati. Ti colpisce per la sua esplosione di colori e per la varietà dei gusti. Ti ricorda la fanciullezza e ti connette al tempo d’oggi.

Sembra solo una pallina retta da un bastoncino, in realtà è un dolciume, una caramella, supportata da una mezza cannuccia che non risente dei segni del tempo. Un lecca-lecca è Chupa Chups. Basta la parola, un sinonimo, un marchio presente in commercio da decenni che va sempre di moda. Richiesto dai piccoli non è disdegnato dagli adulti. I gusti sono differenti ed accontentano anche i più esigenti: mela, ciliegia, cola, cola-lime, creme caramel, limone, arancia, lampone, anguria ed anche in versione sugarfree. C’è l’imbarazzo della scelta. La varietà di gusti accontenta tutti i palati e si può scegliere anche in base ad un orario specifico del giorno. Come merenda, come snack, come aperitivo e perché no anche dopo cena per “farsi la bocca dolce”.

L’incarto è stretto e solido come a voler rendere difficile l’apertura alle mani meno esperte. Sembra quasi che si voglia deputare l’apertura a mani di un adulto per evitare che i bimbi possano gustarlo senza il permesso dei genitori. Sempre di zuccheri si tratta e vanno dunque assunti con oculatezza.

Un dolciume da passeggio Chupa Chups. Da gustare in solitudine, magari leggendo o scrivendo. Tiene compagnia, ti aiuta a passare un pizzico della tua giornata. Un genere di conforto. Puoi lasciarlo sciogliere in bocca o addentarlo e sentire i pezzi sotto la lingua. Puoi gustarlo in compagnia, condividendolo con amici.

Può essere scelto con attenzione o con superficialità, lasciando che sia il caso a decidere l’aroma, senza leggere l’etichetta. Starà poi al proprio gusto capire. Può trasformare la semplice apertura di una caramella in una esperienza sensoriale carica di attese. Una esperienza che non conosce sgradite sorprese Chupa Chups.

Il mondo tondo come una palla, tonda come un lollypop da tenere sempre a portata di mano nei momenti di voglia. Piccolo ma essenziale. Essenziale e rigenerante. Un regalo da concedersi all’improvviso. Un regalo economico che fa sempre piacere ricevere.Chupa Chups è un marchio pluridecennale che dà subito l’idea di ciò che si compra o gusta ed ha sempre lo stesso appeal

Ti riporta indietro nel tempo quando lo si riceveva come premio per aver fatto il buono e può anche servire per dichiarare le proprie voglie ed i propri appetiti senza il rischio di poter essere fraintesi.

Enzo Coccia: l’artigianato della pizza

Divulgatore della vera pizza napoletana in Italia e nel mondo Enzo Coccia ospite del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia ci spiega origini e segreti della pizza napoletana.

Le prime pizzerie a Napoli nascono nel 1810 quando nella città inizia ad arrivare gente dalle province e dalle zone limitrofe.Si diffonde così il fenomeno del cosiddetto cibo di strada, in chiave moderna denominato STREETFOOD. Coccia ci spiega come negli anni si sia resa necessaria la stesura di un disciplinare che regolamentasse quali caratteristiche debba avere la vera pizza napoletana.Sono quattro i punti fondamentali: memoria storica, localizzazione geografica, processo produttivo, prodotto finito.Quando parliamo della ricetta, tramandata dalla Scuola Dei Medici di Salerno, il nostro artigiano pizzaiolo ci tiene a chiarire che gli ingredienti hanno delle dosi precise a cui va aggiunta la sapienza e l’esperienza.

La pizza napoletana non è FASTFOOD sottolinea il nostro ospite ma legame con il territorio, prodotto specifico umanizzato e incantato.La sua passione per la pizza gli viene tramandata dai genitori e oggi lui continua la tradizione di famiglia nelle sue due PIZZARIE: (dice Coccia:” non è un errore di scrittura ma ho voluto specificare che da me si mangia solo pizza”) la Notizia e la Notizia Due.

La grande dedizione per il suo lavoro e la determinazione di fare sempre meglio portano alla nascita della società Pizza Consulting, società di consulenza che fornisce informazione agli operatori del settore sulla gestione dell’andamento generale della pizzeria, sulle tecniche di lavorazione commercializzazione del prodotto e sulla predisposizione delle attrezzature.
Inoltre si organizzano corsi professionali e amatoriali per pizzaioli.

Sicura di aver stimolato le vostre papille gustative e la voglia di un’ottima pizza non mi resta che augurare buon appetito a tutti!!!

Cinegustologia: giochiamo al “e se fosse..”

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Tutti noi da bambini abbiamo giocato almeno una volta al gioco ” e se fosse…” lo scopo del giocatore era scoprire il personaggio sconosciuto facendo delle domande e paragonandolo a vari elementi per esempio: “Se fosse un animale, che animale sarebbe?”. La cinegustologia può essere definita così: è un invito a “giocare” con i nostri sensi associando ad ogni film un sapore, un odore. Piuttosto che vedere o sentire un film, tutti noi spettatori finiamo per degustarlo.
Ad illustrare in modo più dettagliato il concetto di cinegustologia è stato lo scrittore, critico cinematografico/enogastronomico Marco Lombardi, oggi ospite d’eccezione al master in comunicazione multimediale dell’enogastronomia.
Lombardi, coniatore del concetto di cinegustologia, la definisce come un approccio nuovo e anticonvenzionale alla critica ciematografica, in quanto si allontana completamente dai classici criteri di analisi filmica. Infatti, come ha precisato il docente, essa non è classificabile come un linguaggio codificato, che segue regole ben definite, ma una libera e personale associazione di un film ad un piatto o a un vino. La cinegustologia è un’analisi di tipo emozionale e irrazionale: ogni film evoca dei profumi, dei sapori, dei ricordi differenti in ognuno di noi ed è per questo che non esistono oggettivi criteri di associazione film-cibo. Come il dramma evoca l’amaro, la commedia può essere dolce e amara o ancora un mix di entrambi.
Una domanda è sorta spontanea: perchè scegliere il binomio cinema-enogastronomia? La risposta è stata, perchè entrambe sono due forme d’arte sensuali, ovvero richiamano un’esperienza emotiva.
Il Professor Lombardi, inoltre, ci ha fatto notare che il tema dell’enogastronomia è da sempre stato presente nel cinema, sin dai tempi dei suoi albori, menzionandoci e illustrandoci gli esempi dei fratelli Lumiere (Le rapas du bebe) e di George Melies (Le rapas fantastique).
E’ quasi impossibile trovare un film nel quale non vi sia almeno una scena in cui si mangi, anche perchè il cibo non è solo oggetto di sussistenza, ma attorno ad esso ruotano diversi bisogni come la relazione, il lavoro, la seduzione, la decisione.
Abbiamo appreso che anche l’enogastronomia è una forma d’espressione, cosi come lo è il cinema. Infatti è da quest’ultimo impiegata per tre sostanziali obiettivi:
1)Enogastronomia come analisi della società. L’esempio riportato dal professore è stato il film “La grande abbuffata” di Ferreri, che descrive gli anni della società consumista.
2)Enogastronomia come discorso etico e politico. Film esemplari: “Terra madre” di Olmi, o “Super size me”. Quest’ultimo ha come tema una denucia al cibo spazzatura dei fast food.
3)Enogastronomia come processo di liberazione dei sensi.Film esemplari: “Chocolat”, “Il pranzo di Babette”, “Mangia, prega e ama”.
Al termine della lezione Marco Lombardi ci ha sottoposto ad un test di cinegustologia prendendo in esame un film che più o meno tutti noi conosciamo: “Arancia meccanica”di Kubrick . Un film obiettivamente drammatico e dunque le sensazioni che ognuno di noi ha esposto sono state abbastanza uniformi: oscurità, amarezza, crudezza, gusto di caffè amaro. Su quest’ultimo è nato un piccolo dibattito in quanto si è evinto che il gusto di caffè amaro non è percepito da tutti noi allo stesso modo e con lo stesso piacere. Un’ulteriore conferma del fatto che nella cinegustologia non vige la razionalità, bensì ci invita a giocare con i nostri sensi e ad elaborare associazioni differenti.

Come si crea un blog con WordPress

Come creare un blog con WordPress, il popolare CMS (Content Management System), dall’acquisto del dominio e dello spazio web, fino alla cura per la grafica ed i dettagli:  questa la lezione di Web Marketing tenuta oggi dal Prof. Quirino Picone del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia.

Si procede innanzitutto con la scelta del nome a dominio, tenendo cura che sia quanto più attinente possibile alla tematica che si vuole sviluppare nel blog e alle keywords principali. Questo richiede necessariamente l’individuazione di un buon provider che possa anche fornire lo spazio web (hosting) con le dimensioni e le caratteristiche necessarie per il proprio lavoro; meglio ancora se munito di pannello plesk con auto-installatore, così da non dover ricorrere ad un software per il trasferimento ftp dei files.

Una volta installato WordPress il blog è creato, ma non è pronto: bisognerà quindi operare pazientemente per settare tutti i parametri utili alla personalizzazione del sito, finchè non si è soddisfatti. Terminata la fase di settaggio, va individuato un template, gratis o a pagamento e una volta caricato, si prosegue con la personalizzazione, lavorando anche con photoshop per le parti prettamente grafiche.

Installati i plugin giusti e sistemati i widget nella sidebar, siamo finalmente pronti per presentarci al web con il nostro primo post.

La Strategia d’attacco: Marketing!

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Oggi sono volte al termine due giornate importanti per il nostro percorso formativo, e dense di nuove conoscenze preziose a noi del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia. Il dott. Luciano Iollo, imprenditore e marketer ci ha lanciato nel mondo del Marketing Strategico, materia di studio estremamente stimolante ma ricca di infinite variabili.

Durante la prima lezione ci sono state date dal docente una serie di informazioni e concetti che per alcuni di noi erano fino ad ora quasi del tutto sconosciuti, ponendo l’accento su cosa non è il marketing e di quanto venga abusato l’utilizzo di questo termine. Siamo partiti quindi analizzando varie azioni tattiche e strategiche, continuando poi attraverso lo studio del Marketing mix che comprende le famose 4P: Price, Product, Place e Promotion. Nonostante la difficoltà della materia abbiamo cercato di studiare i canali attraverso i quali si può creare una buona strategia di determinazione del prezzo, ma anche la politica distributiva che viene influenzata da diversi canali. Abbiamo compreso quindi l’enorme importanza del marketer che stà appunto nel colmare il distacco tra il produttore ed il Retailing Mix che ingloba l’offerta, la distribuzione e la comunicazione. Il Dott. Iollo ha poi voluto definire in modo chiaro e conciso l’importanza della qualità del prodotto che proviene da una semplice operazione che per quanto possa sembrare banale al lettore, arriva direttamente alla centralità del concetto ovvero qualità = q. percepita – q. attesa. La prima lezione si è conclusa con le tecniche di promozione che si definiscono tramite modelli di acquisto attraverso i quali si passa dalla percezione del bisogno al perfezionamento dell’acquisto. Ultimi ma non per importanza sono i segmenti di mercato, efficaci solo nel momento in cui si è in grado di effettuare approcci diversi per segmenti di mercato diversi.

Nella seconda lezione siamo stati catapultati nel Web Marketing che in realtà “è solo marketing applicato alla rete”. Da subito siamo entrati nel vero lavoro svolgendo varie esercitazioni per capire i veicoli per promuovere un’azienda più o meno conosciuta. Il docente ci ha proposto 3 aziende campane per le quali dovevamo decidere il miglior modo di sponsorizzazione. Le difficoltà non sono mancate ma sbagliando si impara e così abbiamo continuato imperturbabili in una Campagna Keywords Advertising. Ogni studente ha scelto un sito aziendale come per esempio ristoranti, quotidiani, fast food, gelaterie e pub per il quale abbiamo creato un grafico definendo obiettivi, campagne differenziate e gruppi di annunci tramite i quali abbiamo compreso come ricavare le parole chiave fondamentali. A seguito della pianificazione della propria campagna di marketing abbiamo appreso come sia necessario focalizzare il proprio targeting e la segmentazione di mercato alla quale ci rivolgiamo continuando però poi a monitorare il nostro lavoro con strumenti come Analytics.

Il Marketing Strategico non è solo pubblicità o tecnica ma un mondo di costanti e variabili che possiamo cogliere solamente attraverso lo studio ed il lavoro sul campo.

Liquirizia Amarelli “Oro nero” di Calabria

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Tuffo nella liquirizia per gli studenti del Master Unisob in comunicazione multimediale dell’enogastronomia. La seconda visita guidata ha avuto come location lo shop napoletano della liquirizia Amarelli. Accolti e coccolati dallo staff del punto vendita, i ragazzi del Master, accompagnati dal coordinatore dott. Quirino Picone, dopo aver gustato alcuni dolci ed un ottimo caffè, hanno avuto il piacere di incontrare una erede del barone Amarelli.

La chiacchierata ha riguardato la storia del marchio leader nel campo della liquirizia, dalle origini ai giorni nostri. Si è discusso sui  metodi di raccolta della preziosa radice, della lavorazione della stessa e delle differenti varietà e qualità della pianta di liquirizia, pianta che cresce rigogliosa in zone costiere del sud Italia, in Calabria ed in Sicilia in particolar modo.

L’azienda Amarelli, da sempre guidata da membri della famiglia stessa, ha sede a Rossano calabro, conta circa 50 dipendenti, esporta in tutto il mondo, mette in commercio decine di prodotti a base di pura liquirizia ed ha un fatturato di oltre 4 milioni di euro l’anno. A Rossano è allestito anche il museo della Amarelli, museo che conta migliaia di visitatori annui.

 

 

 

 

Carnevale 2014: scopri come preparare le graffe

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Le #graffe sono delle ciambelle dolci fritte che si preparavano a #Napoli, in particolare, durante il periodo di #Carnevale, ma che, per fortuna, al giorno d’oggi si possono trovare tutto l’anno. L’impasto, a base di patate lessate e farina deve lievitare più volte; devono essere fritte alla giusta temperatura e girate e rigirate più volte in modo da farle gonfiare. Una volta pronte vanno ricoperte di zucchero. Una vera bontà, insomma! Ma vediamo come prepararle.

Ingredienti:
100 gr di burro
8 gr di sale
buccia grattugiata di un limone
300 gr di patate lessate
500 gr di farina manitoba
60 gr di zucchero
120 ml di latte
3 uova
25 gr di lievito di birra
1 cucchiaino di miele

Preparazione:
Lavare e lessare le patate in acqua. Nel frattempo sciogliere metà dello zucchero nel latte tiepido e in seguito all’interno sbriciolarci il lievito. Unire 130 gr di farina e mescolare con una forchetta fino ad ottenere una pastella senza grumi, da coprire con una pellicola trasparente per farla crescere per un’ora, in modo da far raddoppiare il volume del composto. Sbucciare e schiacciare le patate e lasciar intiepidire la purea ottenuta, a cui si andrà ad aggiungere la farina e lo zucchero rimanenti, il sale, la buccia di limone grattugiata, il miele e le uova in precedenza sbattute e mescolare il tutto usando le mani. Unire il tutto al composto con il lievito e impastare bene fino a quando non risulterà un impasto omogeneo. Aggiungere il burro a temperatura ambiente spezzandolo con le mani.
Lavorare per amalgamare bene tutti gli ingredienti fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo che dovrà lievitare per almeno due ore in una ciotola ricoperto da pellicola trasparente.

Una volta che l’impasto sarà raddoppiato, lavorarlo fino ad ottenere una forma cilindrica. Dal cilindro ottenuto ricavare dei pezzetti di circa 60 gr per ottenere delle palline. Queste dovranno essere schiacciate e bucate al centro. Oppure si potranno ricavare dei “serpentelli” da unire alle due estremità. Poggiare le graffette sulla carta forno e coprirle con un panno di stoffa e farle crescere per un’altra ora.
Passato il tempo di crescita, friggere le graffette in olio di semi di arachide. Le ciambelline devono galleggiare nell’olio e devono essere rigirate per almeno 3-4 volte in modo da gonfiarsi e dorarsi bene in superficie. Una volta fritte, scolarle e metterle su della carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso.
A questo punto mettere dello zucchero in una ciotolina  e farci rotolare dentro una graffetta alla volta. Adesso sono pronte per essere mangiate.

Si possono abbinare ad uno spumante, ad un liquore tipo limoncello e, perchè no, ad un semplice caffè. Le graffette stanno bene con tutto!