Il 25 e il 26 gennaio a Napoli presso Palazzo Caracciolo si è svolto il convegno scientifico sulla pizza napoletana organizzato da Formamentis in collaborazione con Luciano Pignataro Wine Blog, LSDM e Corteseway.
Il tema è stato quello di indagare sull’evoluzione della pizza napoletana, il piatto italiano più amato e conosciuto al mondo, proprio in un momento in cui conosce la massima espansione qualitativa e quantitativa. Sono intervenuti storici, antropologi, professori universitari, giornalisti, comunicatori, esperti, rappresentanti delle associazioni e alcuni dei migliori maestri pizzaioli riflettendo in particolare sullo strumento di cottura. L’obiettivo è stato quello di comprendere quanto il forno a legna, a gas o elettrico, influisca sulla corretta esecuzione di una pizza napoletana ponendo l’attenzione alla tecnologia pur mantenendo la tradizione.
Dal lungo dibattito scatenatosi durante il convegno sono emersi alcuni punti salienti:
- la pizza napoletana, nata come prodotto locale, ora è il prodotto più globalizzato e per questo va promosso e salvaguardato
- l’esposizione agli IPA, ossia agli idrocarburi policiclici aromatici, è nettamente superiore in altri alimenti come l’olio di palma, il caffè, il pesce affumicato, le cozze. Quindi la pizza non fa venire il tumore
- l’abbinamento dei vini alla pizza è assolutamente consigliato anzi serve a valorizzarla
- i pizzaioli napoletani sono dei grandi maestri perché abituati per tradizione ad utilizzare il forno a legna ma riescono a produrre delle pizze di alta qualità anche utilizzando altri forni: l’importante è realizzare un impasto adatto alla tipologia di cottura
La pizza napoletana non va difesa, deve piuttosto essere rinforzata la sua identità.
Stanno spopolando in tutt’ Italia ormai da anni. Sono i Food trucks, i furgoncini che propongono l’alternativa agli street food classici offrendo ai clienti un plus non indifferente: la mobilità. Li puoi trovare ovunque, soprattutto nelle piazze (questioni di affluenza). Ma la cosa che più stupisce è la qualità che queste semplici- non sempre- camionette garantiscono.



In questa valle dei templi dove le stanze hanno piastrelle ancestrali dai colori più gloriosi e dove la luce entra quasi prepotente, Pasquale ci lascia raccogliendo del finocchio di mare, medium tra la salsedine marina e il piatto, erba selvatica un po’ amarognola, brulicante di iodio e vitamina C.
dibile a cui Sir Piennolo ci ha irrimediabilmente abituati. Ormai viziati da quel suo sapore acidulo che così ben si sposa ad un po’ di zucchero, sappiamo che tra moglie e marito meglio non mettere il dito. E a rendere unico questo matrimonio di sapori non è il nostro sguardo, ma quella che gli esperti chiamano agrobiodiversità, ovvero l’insieme dei fattori determinanti, determinanti perchè è l’uomo a determinarli. Sono il genotipo, il clima e l’ambiente di coltivazione, ormai tutti ingredienti di un terroir assodato. Les jeux son faits e a noi non ci resta che…sperare che Sir Piennolo venuto dalle Americhe non ci abbandoni mai.