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La vite ad alberello di Pantelleria

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Anche una pratica agricola può diventare Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il primo caso al mondo è quello della vite ad alberello di Pantelleria, iscritta dal 26 Novembre 2014 nell’albo dei beni immateriali e culturali UNESCO.

Da sempre soffia forte il vento su Pantelleria. Talmente forte che l’isola siciliana si è meritata, fin dall’antichità, l’appellativo arabo di Bent-el-Rhia, ovvero di “figlia del vento”. L’arte della viticoltura non si è tuttavia piegata alle condizioni ambientali sfavorevoli, alle correnti marine dello Scirocco e del Maestrale, e nemmeno alla scarsità delle piogge. Affinando tecniche di coltivazione ‘creative e sostenibili’ il genio contadino è riuscito a fronteggiare le avversità e a ottenere uno dei vini passiti più conosciuti al mondo: lo Zibibbo, per l’appunto, di Pantelleria.

E’ su quei due elementi – creatività e sostenibilità- che si è focalizzata la relazione di candidatura presentata nel 2014 dal prof. Petrillo all’UNESCO. L’aspetto creativo si ritrova nelle ‘anomale’ scelte agrarie dei viticoltori: a differenza delle normali coltivazioni, l’alberello pantesco viene posto a soggiornare in una conca scavata nel terreno, in cui la pianta è protetta e al tempo stesso rinvigorita dall’umidità notturna; inoltre, grazie ad una potatura inusuale, le viti assumono delle posture orizzontali, ‘piegandosi’ verso il suolo e trovando riparo dal vento. Riguardo al tratto ‘sostenibile’ invece, questo si ritrova sia nel fatto che la disposizione in terrazzamenti con muretto a secco riduce notevolmente il rischio di erosione, sia perché le operazioni di coltivazione vengono tutte realizzate manualmente.

La vite ad alberello di Pantelleria è, in sostanza, oltre che un importante risorsa economica per l’isola di Pantelleria, l’espressione identitaria di un popolo rurale. Di una comunità che ha saputo prima ascoltare, e poi dialogare individuando il giusto linguaggio, con la natura.

 

Giulia Zampieri

Muu Muuzzarella Lounge parte terza. Il buono non ci stanca mai

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Il Vico Alabardieri si illumina di bianco. Nel corso del tempo il progetto imprenditoriale di Salvatore Maresca si sta definendo sempre più come una solida realtà gastronomica, dove il morbido latticino è oramai una star. Il ristorante sorge tre anni orsono nel quartiere Chiaia dalla mente di Salvatore Maresca che, invece di perseguire l’ennesima scia delle aperture di pizzerie, ha preferito legarsi al territorio con uno dei suoi alimenti principi: la mozzarella.
Il noto latticino bianco e tutti i suoi derivati sono i protagonisti assoluti dei piatti che vengono costruiti in loro funzione, dosando oculatamente ogni aggiunta o variazione che avviene quasi con periodicità semestrale. Il futuro? Una nuova apertura (ma la location è ancora top secret) e la volontà di creare un vero e proprio format con tanto di franchising al seguito. Un candido avvenire insomma.

Massimiliano Guadagno

“L’oro rosso” in barattolo: patrimonio culturale intangibile

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L’utopia dell’eterno è un tema strettamente legato all’uomo onnivoro, in particolare si fa riferimento alla possibilità di fruire di un cibo non stagionale e del paradiso che è storicamente definito come luogo senza stagioni. A tal proposito, le tecniche di conservazione – con la forzatura dei tempi naturali– ci vengono incontro : «le conserve alimentari sono un segno dell’ansia verso il cambiamento stagionale ma anche di speranza» .

Particolare attenzione al tema della conservazione dei cibi è stata dedicata dall’antropologa Lia Giancristofaro nel suo libro “Tomato day. Il rituale della conserva di pomodoro”. È una ricerca etnografica dedicata al cosiddetto “giorno delle bottiglie”, pratica tradizionale del Centro-Sud, ma che si è diffusa anche altrove. Una produzione casalinga che coinvolge l’intera famiglia durante i mesi di Agosto e Settembre, e che «esercita il suo potere per tutto il tempo in cui i preziosi recipienti vengono custoditi nella dispensa», in modo tale da raggiungere l’utopia dell’eterno oppure dare l’illusione di poter fermare il tempo.

Possiamo dire che la salsa di pomodoro rappresenta un cibo etnico, espressione identitaria e del territorio; in quanto cibo etnico , secondo l’approccio strutturalista, ripete lo schema culturale della società, è arte applicata al cibo.
Secondo l’antropologa: «L’usanza della salsa è una testimonianza del patrimonio intangile italiano più radicato, inteso come fiducia familiare e religiosità popolare, come spirito providenziale ed esercizio d’investimento nel futuro. Essa rappresenta una risposta popolare a molti problemi della contemporaneità, come il consumismo, la disoccupazione, l’incapacità di pensare al futuro, la deculturazione dell’istituto familiare, la cattiva alimentazione».

Inoltre, il rituale rimanda all’antico apologo della cicala e della formica: la formica incarna la tradizione popolare, caratterizzata dal sacrificio del tempo presente per un miglioramento del futuro; la cicala, contrariamente, incarna il capitalismo industriale, caratterizzato dal godimento del presente senza pensare al futuro.
Tutto ciò, non fa altro che sottolineare l’importanza di questo patrimonio culturale intangibile, che è necessario proteggere dai colpi della cultura di massa per evitarne l’estinzione e salvaguardarne la storia.

Alessandro Ditommaso

 

Tra ruote di focaccia e Street Food. Un viaggio nei vicoli di Bari Vecchia

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Sapete cos’è una ruota di focaccia? Probabilmente se non siete pugliesi questa espressione vi suonerà strana; quindi è arrivato il momento di scoprirlo e di recarvi a Bari.
Arrivati tra le stradine della Città Vecchia verrete letteralmente catturati dal profumo della focaccia barese, tonda per natura e simile appunto ad una ruota, è diventata senza dubbio l’icona incontrastata dello street food regionale.
Ogni panificio conserva gelosamente la propria ricetta, permettendo ai gastronomadi più curiosi di scovarne e di assaggiarne di ogni tipo.
La focaccia è un impasto di acqua, farina e lievito condito con pomodorini, olive, sale e un giro di olio extra vergine di oliva. Tra le varianti ci sono quella alta e soffice e quella più bassa e croccante.
Ma non di sola focaccia vive il Barese. Infatti appena uscirete dal panificio con la vostra mezza ruota, sarete colti di sorpresa nel vedere le signore che abitano il borgo antico preparare per strada su banchetti appositi e con tanto di friggitrice popizze e sgagliozze fumanti, che abilmente vengono fritte e imbustate con l’aggiunta di un pizzico – a volte anche due –  di sale che si attacca alla superficie degli impasti.

Le popizze sono frittelline di farina bianca, mentre le sgagliozze sono quadretti di polenta fritti in abbondante olio. Provocano immediate ustioni al palato ma addentarle per la prima volta è un rito d’iniziazione e senza dubbio sono il cibo da strada più diffuso per la facilità del consumo e la forma definibile oggi come finger food.
Il vostro tour per la città vecchia potrebbe ancora stupirvi, infatti se non siete ancora sazi e amate il pesce fresco non potete rinunciare ad una mangiata di ricci accompagnati da dell’ottimo pane al Molo di San Nicola, meglio conosciuto come “N’derr la lanz”; l’odore del mare e il suono del polpo sbattuto sugli scogli saranno in grado di condurvi in spazi sensoriali mai conosciuti.
E per il viaggio? Non potete di certo tornare a casa a mani vuote. Passando nel centro storico sicuramente noterete un paio di stradine dove le signore di Bari Vecchia preparano a mano (e a vista) orecchiette di tutte le forme. Il suggerimento è di non fermarvi subito ad acquistarle ma di addentrarvi nel cuore e nel vivo della preparazione; rubando con gli occhi qualche segreto per scoprire la tecnica per realizzare un orecchietta perfetta.

Di certo il linguaggio colorito barese sarà sconosciuto ai molti, ma la loro abilità sta proprio nel farsi capire anche a gesti con il solo movimento delle mani.
Ora siete pronti per venire a Bari e se non sapete cosa berci su non ci sono dubbi: una birra Peroni gelata è quello che ci vuole! Non si sa il perché del suo successo ma a noi baresi piace così.

AUTOCTONI DI PUGLIA

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PERCHE’ RECUPERARE LE ANTICHE VARIETA’?

– Per avere un germoplasma autentico per le prossime generazioni;

– Usi, costumi e tradizioni locali conservate ai posteri;

– L’intero settore agricolo è valorizzato attraverso marchi e prodotti;

– Aumento di conoscenza e domanda per più prodotti biodiversi;

– Utilizzare il germoplasma locale per ottenere nuove varietà;

– Sinergie con il comparto del turismo enogastronomico e tematico;

– Disponibilità di materiale di propagazione sanitariamente migliorato;

– Apertura di nuove opportunità di mercato e reddito.

La strategia per vincere la sfida della globalizzazione è senz’altro l’affermazione della “tipicità” come idea   regolativa un territorio che vuole rimanere “unico” nella sua identità.

Si tratta di un obiettivo prestigioso e di un percorso non facile, che passa attraverso la riscoperta del patrimonio autoctono che ha fatto la storia di un luogo e conduce alla valorizzazione “dell’esclusivo”.

Il concetto di “unico” è fatto di esperienze e tecniche consolidate nel tempo che non deve, però, sfociare in una concezione strettamente locale; il confronto ed il dialogo con le altre realtà vitivinicole va ricercato senza riserva. Questo perché sollecita i processi di miglioramento, arricchendo il corredo culturale e tecnico.

In generale possiamo dire che l’Italia ha, più degli altri Paesi, una grande ricchezza varietale di vigneti; la Puglia è certamente tra i territori che sono la culla di patrimoni ampelografici autoctoni tra i più complessi e variegati anche a livello internazionale.

Con l’apertura degli scambi commerciali, l’abolizione degli ingenti dazi doganali e l’apertura ad una nuova visione del settore agricolo, per un certo periodo si era persa di vista la difesa di molte varietà autoctone e minori. Questo ha fatto spazio ad un’ampia gamma di “nuove uve” provenienti dai mercati di tutto il mondo; si è registrato un incremento di vitigni quali: Cabernet Franc e Sauvignon, Merlot, Pinot Nero e Chardonnay.

La scelta di allevare vitigni internazionali veniva effettuata soprattutto per ragioni di marketing.

Oggi l’importanza maggiore è stata restituita alle viti che da sempre hanno radicato nel nostro territorio.   La lista dei vitigni tipici pugliesi spazia a dismisura e, tra le varietà di maggior prestigio ci sono: Aglianico, Bombino Nero e Bianco, Ottavianello, Moscatello Selvatico, Pedirosso, Susumaniello, Malvasia Nera di Brindisi, Malvasia Nera di Lecce, Notardomenico, Verdeca, Malvasia Bianca, ecc…

A questi si affiancano i veri e propri “simboli vinicoli” che sono diventati sinonimo di Puglia per eccellenza, portando il marchio di una regione “da bere” in tutto il mondo: Primitivo, Negroamaro ed Uva di Troia.

Il recupero delle antiche varietà, avviene anche ad opera degli innumerevoli progressi nel campo della biochimica e della genetica, che ci permettono di analizzare il DNA e tutto il patrimonio ereditario dei vitigni.

©canva

Fortunatamente per trainare le autentiche eccellenze vitivinicole, oggi si è ben deciso di allontanarsi dal concetto di standardizzazione, concorrendo anche con l’attenzione particolare verso un’agricoltura sempre migliore.aaaa

“Mozzarella da bere, Latte da mordere”: la Campania nel piatto e nel bicchiere

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Pizza, sole, pasta e mandolino. Nella sagra degli stereotipi campani forse ne manca uno. A volte lo mettiamo in secondo piano perché non propriamente napoletano. Stiamo parlando della mozzarella.
Salvatore Maresca e il suo socio avevano visto lungo quando nel 2013 hanno deciso di dedicare  un tempio alla regina Bianca, Muu Muuzzarella Lounge, in vico Alabardieri 7. Hanno sfidato  il rischio di inaugurare un locale a Napoli solo di tendenza e soprattutto la paura nei confronti di un prodotto che poteva provenire dalla terra dei fuochi. I focolari del pregiudizio non hanno fermato questi giovani imprenditori e la loro intraprendente idea di non omologarsi alle centinaia di pizzerie presenti nel ventre della cultura campana e forse, quella idea,  non era poi così tanto banale e scontata se ha permesso loro di essere menzionati nella guida Foodies Gambero Rosso 2014, dopo solo 6 mesi di vita. Uno dei cibi che più ci invidiano all’estero, ma anche a pochi chilometri dalla stessa regione Campania, viene proposto  in un menù  fuori dagli schemi in cui la signora mozzarella, rigorosamente casertana,  viene abbinata ad elementi non propriamente collegati ad essa, quali il pesto, le mele, il limone o il tonno; un menù che profuma di latte e suoi derivati, un profumo che sentiamo già mettendo il primo piede in quel piccolo ma accogliente ritrovo che parla di campi, di bufale, di natura e di latte in ogni  dettaglio. Intelligente la scelta di mantenere l’attività aperta dalle 9:30 alle 24:00 che consente di vendere  la mozzarella e di proporre  golose pause  con dolci a base di ricotta, quella stessa  che la fa da padrona in una proposta di cheese o meglio ricotta-cake apprezzata da molti. Può piacere o meno , può essere casertana o salernitana… La vera protagonista é lei, che si mangi o si beva,  l’importante è che sia certificata e che parli di Campania.

http://muumuuzzarellalounge.it/

https://www.facebook.com/muumuuzzarellalounge/?fref=ts


 

La tradizione chiama, Norcineria Tre Valli risponde: conoscenza, trasparenza e km 0 al servizio della qualità

Salumi tre valliNella suggestiva location del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, si erge la monumentale passione della Norcineria Tre Valli Bianculli, figlia di una tradizione tramandata oralmente che prevede un rapporto con i salumi assolutamente genuino e rispettoso dei metodi di preparazione più consoni e naturali. A tal proposito la serata di “Bollicine d’Italia” a Palazzo Caracciolo di Napoli è stata l’occasione perfetta per respirare quell’aria campestre tipica dell’entroterra campano e scambiare due chiacchiere con uno dei titolari dell’azienda, Antonio.

Benvenuti in un mondo fatto di coraggio, determinazione e naturalmente buon gusto.

 

Ciao Antonio, dacci un aggettivo per i tuoi prodotti.

“Indubbiamente li definirei genuini. Da trent’anni con mio fratello Pasquale alleviamo maiali nutrendoli con i nostri grani, coltivati senza l’impiego di concimi e pesticidi, cercando di offrire loro un’alimentazione naturale e controllata. Da poco più di un anno abbiamo deciso di completare la filiera dedicandoci alla produzione di salumi, riprendendo le autentiche ricette lucane, sempre rispettando quei valori di naturalità e genuinità che da sempre contraddistinguono il nostro modo di lavorare”.

 

La carne è sempre stata presente sulle nostre tavole. Oggi, alla luce del comunicato dell’OMS, è aumentata la preoccupazione legata al suo consumo…

“Ti dirò, da un punto di vista tecnico-scientifico forse non tutti sanno che lo studio dell’ OMS ha preso in considerazione un campione di consumatori tra Regno Unito e Stati Uniti, luoghi in cui ci sono regolamentazioni differenti rispetto a noi riguardo le tecniche di allevamento e di conservazione. Infatti vengono utilizzati ormoni della crescita per quanto riguarda il processo di allevamento mentre per il processo di conservazione invece vengono utilizzati nitriti e nitrati, additivi chimici che, quando assunti, possono sviluppare le nitrosammine -composti organici spesso cancerogeni”.

 

Mentre da un punto di vista commerciale, quanto pensi che influirà sulla tua attività?

“In merito mi permetto di fare una considerazione del tutto personale: chi mangia carne, di certo continuerà a mangiarne; sarà solo più attento alla qualità del prodotto. Motivo per il quale questo può incidere positivamente dato che noi garantiamo, come detto prima, processi naturali e un prodotto di assoluta genuinità”.

 

Tu vieni da una terra ricca di tradizione. Consigliaci qualche ricetta, qualche uso dei vostri prodotti in cucina così da esaltarne le peculiarità.

“Partirei subito col dire che non tutte le tipologie di salumi si adattano all’uso in cucina. I nostri prodotti non fanno eccezione; esistono alcuni prodotti che si prestano bene e altri che è preferibile restino semplici affettati.

Per rispondere alla tua domanda i salumi più grassi, a mio avviso, sono quelli che meglio si prestano alla cottura (in cucina). Per tale scopo, noi consigliamo un certo tipo di insaccato che nella tradizione lucana è usato per insaporire il ragù: la salsiccia montanara. Quest’ultima è un condimento perfetto per il ragù grazie alla sua carne grassa che al momento della cottura rilascia un sapore e un profumo intenso e deciso che richiama alla tradizione e ci àncora alla terra da cui proveniamo e verso la quale nutriamo profondo rispetto.

Un altro prodotto tipico della Norcineria Tre Valli è la costata stagionata, carne secca che viene comunemente usata per insaporire ragù e minestre.

O ancora, degno di nota, è la cosiddetta salsiccia pezzente o come la chiamiamo noi, Noglia. E’ una salsiccia composta dalle parti del maiale meno pregiate (testa, orecchie, frattaglie, collo…) e può essere utilizzata sia come affettato semplice che come condimento per zuppe o minestre”.

 

Un consiglio gastronomico come saluto?

“Mettete la costata stagionata insieme alla carne fresca nel ragù: è la morte sua!”.

 

Contatti

Via Caradonna, snc – loc. Magorno

84033 Montesano sulla Marcellana / Salerno (Italia)

e-mail: norcineriabianculli@gmail.com

pagina Facebook: Norcineria tre valli

cell: 328 1722935 / 3460038623

  Articolo curato dai ragazzi del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia.

Se a Sud c’è Marianna Vitale

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A Sud c’è una donna. E’ napoletana. E’ cuoca. E’ tanto pacata quanto è la sua giovane determinazione. Si chiama Marianna Vitale: una a cui piace che si dicano le cose per quello che sono, non per quello che non sono.

“Parliamo di quello che è, non di quello che non è.” M. Vitale

Figlia dei colori e dei suoni forti di Porta Capuana, storico quartiere partenopeo di passaggi e scambi, fin dalla tenera età si è impregnata dei buoni odori della cucina di nonna, e di quella del padre, anche lui cuoco. Ha studiato letteratura spagnola, quindi accompagnato gente per le pittoresche vie della sua città, e deciso di cogliere la prima (prestigiosa) padella al balzo: nel 2008 fiancheggia Lino Scarallo a Palazzo Petrucci, interiorizzando, giorno dopo giorno, input culinari semplici ma dall’alto profilo. E da lì inizia a coltivare, non troppo timidamente e con estrema cura, la volontà di raccontare una storia tutta sua. Sfidando le barriere periferiche, le previsioni pessimistiche dei più, e una concorrenza che non c’è, perché l’approdo avviene in uno di quei luoghi in cui, si potrebbe dire, anime culinarie ‘non tradizionali’ come la sua non sono nemmeno contemplate.

Le porte di Sud Ristorante si aprono dunque e comunque, tra quei palazzoni trascurati e i cigli di strada dismessi di Quarto di Marano, nella Napoli dei Campi Flegrei. Richiamando a sé indistintamente appassionati e avventori del vicolo più vicino come della città più remota. Da allora, da quel 2009 così vicino e al tempo stesso così lontano, la affianca fedelmente nel progetto Pino Esposito, muro portante in sala, nonché ottimo sommelier. Negli spazi a vista che ospitano i suoi fornelli Marianna fa crescere una cucina napoletana che è (e non che non è). Che bandisce ristrutturazioni e rielaborazioni puntando piuttosto, e per fortuna, sull’integrità dei sapori. Tutti netti e riconoscibili nella loro meridionalità, e altrettanto freschi e colorati nel loro abito contemporaneo. C’è tanto di mare e tanto di vegetale a Sud. C’è tanta precisione, nelle misure, nelle scelte degli equilibri. Ne è l’esempio uno dei suoi calibratissimi ‘spaghetto’, in cui si fondono assetti pensati e intonati: una pasta dal corpo nervino, come solo le ottime prassi di cottura comandano, avvolta e conquistata dal riccio di mare, e saggiamente rinfrescata da una doppia acidità di mozzarella e limone. Da provare sia per piacere che per dovere gastronomico.

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La sensazione, confermata da una breve e piacevole chiaccherata, è che questo spaghetto, come tutto il resto, a Sud, sia volutamente familiare, accessibile. Ma in primis che non vi sia il desiderio, e tanto meno la necessità, di ‘marchiarsi’ con una differenza di genere, bensì di portare a tavola il meglio della napoletanità.

Quei classicissimi confronti tra chef donna e chef uomo, in cui ci si imbatte il più delle volte oggigiorno, per gridare all’eccezionalità del caso, sono errori di superficialità e di ‘comodità narrativa’ che calcano su una disuguaglianza che di per sé non esiste. Ecco perché abbiamo preferito non parlarvi di questo, ma di ciò che sono Sud e Marianna Vitale: due belle storie da raccontare.

Giulia Zampieri

Sud Ristorante

Via S. Pietro e S. Paolo, 8 Quarto (NA) Tel. 081 020 2708

www.sudristorante.it

Il Perù d’autore alla conquista del mondo

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Dopo il primo anno che ha fatto impazzire Milano, le prime indiscrezioni sull’apertura di PACIFICO a Roma arrivano, confermando lo sveglio etnico della capitale e la crescente egemonia della cucina peruviana nel mondo.

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After the first year that made Milan go crazy, signs of a next opening of PACIFICO in Rome begin to arrive as a confirmation of an ethnic wakening of the capital and the ever growing hegemony of the Peruvian cuisine in the world.

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                                           “Let the ocean inspire you”, dice il sottotitolo della foto che è nella pagina instagram del ristorante

                                             “Let the ocean inspire you”, says the subtitle on the picture in the restaurant’s instagram account

 

Seguendo i passi del suo più famoso conterraneo, Gaston Acurio, lo chef peruviano Jaime Pesaque, riconosciuto tra i migliori del mondo, e sempre intenzionato a proporsi come ambasciatore della cultura gastronomica peruviana d’autore nel panorama internazionale, poco a poco costruisce il suo impero. Ormai sono più di nove ristoranti nel mondo – Lima, New York, Hong Kong, Oslo, Dubai, tra alcuni. Nell’ultimo anno è stato Milano ad impazzire con l’interpretazioni innovative dei suoi ceviche (prezzo medio 23,5 Euro) e pisco drinks (un’acquavite ottenuta dalla distillazione di mosto d’uva fermentato), protagonista tra i cocktails. E, ancora se non in stadio avanzato, “l’apertura del ristorante a Roma è in programma”, conferma Jacopo Signani, uno dei soci fondatori.

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Following the steps of his most famous compatriot, Gaston Acurio, peruvian chef Jaime Pesaque, known as one of the best in the world, and always intended to purpose himself as an ambassador of the authorial Peruvian gastronomic culture in the international panorama, gradually builds up his empire. Already they are more than nine restaurants spread worldwide – Lima, New York, Hong Kong, Oslo, Dubai, to name a few. In the last year it was Milan that went crazy with the innovative interpratation of his ceviches (average price 23,5 Euros) and pisco drinks (a brandy that comes from the distillation of fermented grape must), central among the cocktails. And even if it’s not at an advanced stage, “the opening of the restaurant in Rome is in the program”, confirms Jacopo Signani, one of cofounders.

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Dopo un periodo di formazione passato nei migliori ristoranti del mondo, El Celler de Can Roca incluso, Pesaque non ha tardato a conquistare successo del pubblico e della critica, che molto spesso lo associa alla “food revolution” peruviana. Siamo “un’idea di cucina peruviana asiatica”, sintetizza lo chef. “Il Perù ha avuto influenze dell’Asia per oltre 500 anni. Queste influenze lo rendono un paese con grande varietà gastronomica. E Pacifico è un’espressione di tutto questo”, conclude. Lo scenario etnico gastronomico italiano ringrazia.

Lo chef Jaime Pesaque

After a training period spent in some of the best restaurants of the world, El Celler de Can Roca included, it hasn’t taken long till Pesaque started getting the attention from public and critic, that very often links him to the “the Peruvian food revolution” stream. We are “an idea of Asian Peruvian cuisine”, sums up the chef. “Peru has had influence from Asia for over 500 years. It makes of us a country with great gastronomic variety. And Pacifico is an expression of all that”, concludes. The Italian ethnic gastronomic scenery thanks for that. 

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Servizio / Information

Lunedì – Domenica / Monday – Sunday 

12:30 – 14:30 / 18:30 – 23:30

Via della Moscova 29, Milano

Tel: 02 87244737

wearepacifico.it

 

*Fonte: Gambero Rosso

*Foto dalla pagina Instagram di Pacifico, di Jaime Pesaque e di gamberorosso.it

Napoli, nel cuore di Chiaia la casa della mozzarella Muu Muuzzarella lounge

Nel marzo del 2013 nasce da un gruppo di giovani imprenditori napoletani un nuovo format, MUU: il progetto di ristorazione è strettamente legato al territorio e ha come prodotto di riferimento la Mozzarella di bufala DOP e i suoi derivati.

Il seducente gusto della mozzarella è presentato in un menù che va dalla classica Caprese ad accostamenti arditi con pesto e mela, mantenendo un equilibrio di gusto nel rispetto della materia prima, ovvero la mozzarella di bufala.

I piatti presenti nel menù seguono la stagionalità, sono caratterizzati da prodotti semplici che rielaborati danno un effetto di nouvelle cousine.

Inoltre, all’interno del locale, i clienti possono acquistare i latticini che sono alla base della preparazione dei piatti.

Alessandro Ditommaso

 

Contatti:

Muu Muuzzarella
VICO 2 ALABARDIERI 7 NAPOLI
+39 081405370
info@muumuuzzarellalounge.it

Web Contact:
www.muumuuzzarellalounge.it
info@muumuuzzarellalounge.it

Salvatore Maresca
+39 3930417380
Dario Moxedano
+39 393215991