Nella seconda metà del I sec. d.C Plinio scrive di vino bianco, fulvo (vini orange?), sanguigno (rosso) e nero. Scopriamo le origini, l’evoluzione e l’espansione in Italia.
Ribattezzati con il nome di orange wines per il loro colore arancione, è oggi definito ‘il quarto colore del vino’. Ma oltre ad essere una moda è una riconquista di antiche tecniche che puntano alla sostenibilità.
Prima di iniziare a delineare le caratteristiche del vino orange, è opportuno analizzare le differenze tra la vinificazione in vino bianco e quella in rosso.
- La vinificazione in rosso è quella in cui il mosto resta a contatto con le bucce per un periodo che varia da pochi giorni fino a un mese.
- La vinificazione in bianco avviene senza macerazione, infatti le bucce vengono separate immediatamente dal liquido.
Vini orange cosa sono
- La vinificazione in orange parte da uve bianche o grigie e segue il metodo di vinificazione in rosso. Il mosto viene lasciato a macerare con le bucce e spesso anche con i raspi per un certo periodo di tempo. La durata solitamente è a discrezione del produttore.
Il risultato finale è quello di un vino aranciato che presenta sfumature ambrate e riflessi ramati. Di un’elevata complessità e struttura, data soprattutto dalla presenza dei tannini, dei polifenoli e di sostanze aromatiche e proteiche complesse. Freschezza e sapidità si integrano col tannino facendo sì che gli orange wines tendano ad avere un profilo gustativo più orientato verso le durezze.
L’uva in genere è coltivata secondo il metodo di agricoltura biologica e quello biodinamica utilizzando sistemi eco-sostenibili e ottenendo un’elevata capacità di conservazione anche senza l’aggiunta di solfiti.
Le uve utilizzate, sono ben predisposte a subire macerazione. La buccia deve essere molto spessa e con un elevato contenuto tannico e colorante. Con queste proprietà, in Italia, troviamo la ribolla gialla in Friuli Venezia Giulia, la garganega in Veneto, il trebbiano in Toscana, il verdicchio nelle Marche e lo zibibbo in Sicilia.
L’origine degli oranges
Il nome “orange wine” è stato usato per la prima volta nel 2004 dal commerciante di vini britannico David Harvey, diventato negli anni il termine più comune. Tuttavia, il nome originale è “vino ambra” e proviene dalla culla del vino: la Georgia. Il metodo risale a circa 8.000 anni fa, grazie ad alcuni ritrovamenti archeologici, la Georgia è definito il luogo dove il vino ha origine.
Il metodo ancestrale è tradizionalmente eseguito nei qvevris o kweris: grandi anfore di terracotta che vengono sepolte e poi sigillate per ottenere la fermentazione mantenendo una temperatura stabile. Rispetto al legno, ci sono diversi vantaggi come l’assenza di sapori di tostatura e di tannini di drenaggio esogeni poco integrati.
Il vino ambra è stato aggiunto alla lista dei vini speciali dall’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV) e nel 2013, riconosciuto dall’Unesco fra i beni Patrimonio dell’Umanità.
I vini orange in Italia
La tradizione della macerazione, comune fino al Dopoguerra anche in Italia, era andata quasi perduta a favore delle moderne tecniche di vinificazione.
Finchè, verso la fine degli anni novanta, nacque una vera e propria scuola di Orange Wines, grazie alle sperimentazioni di alcuni produttori del Collio Goriziano al confine con la Slovenia, desiderosi di riscoprire le antiche origini del vino.
Nel 1997 Josko Gravner, fu il primo a sfidare ogni regola del mercato. Iniziò a recuperare la pratica della macerazione e nel 2000 portò dalla Georgia le prime anfore fatte di argilla senza piombo. La Ribolla Gialla è l’unica varietà che hanno a disposizione. L’uva maturata, è selezionata a mano e senza interventi chimici.
Oggi tanti giovani produttori stanno sperimentando questo metodo, più produttivo, artigianale e naturale.
Se i vini orange stanno diventando sempre più popolari, è perché si adatta a un’era moderna in cui i consumatori cercano nuovi sapori, gusti più sani e un ritorno alle fonti di vini più naturali.