OLIO SANNITA: tra produzione e rituali

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Olio d'oliva
©pixabay
Olio d'oliva
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Storia locale

L’olio di oliva è uno dei prodotti di eccellenza nel Sannio, fortunatamente, prodotto ancora oggi nella maggior parte delle case del territorio. In Campania la pratica della coltivazione dell’ulivo risale ai Greci e ai Fenici, in seguito anche i Romani ne favorirono lo sviluppo, specialmente nella provincia di Benevento, poiché, come sosteneva Virgilio nelle Georgiche, “Occorre rivestire di ulivi il Taburno”, e così e stato fatto, dalle colline del Tammaro e del Fortore, alla piana del Calore, al Taburno, alla valle Telesina e Caudina. Le principali cultivar presenti sul territorio sono: ortice, racioppella, leccino, ortolana, ariella, frantoio, pampagliosa e moraiolo, tutte con peculiarità differenti, utilizzate come monocultivar o come blend. Ma l’oliva per diventare olio deve attraversare un processo per niente semplice che richiede grande lavoro manuale, cura e attenzione ai tempi giusti, dalla raccolta all’estrazione.

I produttori

Parliamo di contadini, che dedicano le loro giornate alla pulizia dei campi, alla potatura dei rami, che fanno del loro meglio per portare sulle loro tavole un buon prodotto, sperando che parassiti e condizioni metereologiche non danneggino i frutti dei loro sacrifici.

 

La produzione

Nel periodo della raccolta tra Ottobre e Novembre si respira nell’aria un profumo erbaceo, che aiuta a creare un’atmosfera particolare, è un periodo impegnativo sì, ma anche  conviviale. Amici e parenti si ritrovano tra gli uliveti e ognuno ha il proprio compito; c’è chi raccoglie a mano e chi con l’abbacchiatore, chi stende i teli e chi mette le olive nei “panari”, e poi c’è il momento del ritrovo: tutti insieme a terra, nella posizione meno scomoda, a mangiare un po’ di pane e salsiccia e bere un bicchiere di vino, dopo quattro risate si ritorna a lavoro, fino a che la luce del sole lo permette. Dopo la raccolta le olive vanno “sfrunnat” cioè pulite con la defogliatrice, ed in un tempo che non superi le 48 ore, portate al “trappit” ovvero il frantoio, tradizionalmente composto da ruote in pietra dette “molazze”  che ruotano su un basamento rotondo in pietra (ciclo discontinuo) o in frantoi moderni che utilizzano martelli, frangitori e dischi rotanti (ciclo continuo).Una volta lavate, le olive, si procede con la frangitura(macinazione da cui si ottiene una pasta grossolana), per passare alla  gramolatura(rimescolamento della stessa pasta), e terminare con l’ estrazione(separazione delle tre componenti: sansa ,acqua e mosto oleoso).

CONCLUSIONE

Al termine di queste tre fasi si ottiene “l’oro verde”, chiamato così dai romani per il suo costo elevato. La resa dell’olio dipende da svariati fattori, quali: tipo di cultivar, condizioni meteorologiche, esposizione dell’uliveto, tipo di terreno e concimazione, e si calcola con una percentuale in litri su 100 kg di olive. Nelle attese in frantoio, il tema principale è proprio la quantità del ricavato, che si attende impazientemente dagli olivicoltori, sperando di poter ripagare il lavoro di un anno senza intaccare la qualità del prodotto. Questo momento diventa una divertente competizione tra i produttori e i discorsi nei luoghi di ritrovo iniziano sempre con la frase “a quant e iut auann?”  (qual è stata la tua produzione annuale?).Qui nasce il confronto. Solitamente l’olio viene assaggiato le prime volte su fette di pane spesse, abbrustolite sulla brace del camino a colazione , merenda o come spuntino. Nelle cucine regnano bottiglie di un colore verde brillante, dovuto alla clorofilla, che pian piano si degrada lasciando spazio al giallo dei caroteni.

La stagione dell’olio è uno stato d’animo, un’occasione per condividere tempo, lavoro, storie, tradizione ed emozioni. La speranza è quella di lasciare nelle mani delle nuove generazioni non solo questa cultura ma anche la dedizione al lavoro e lo spirito di sacrificio.

Curiosità:

Il Cristianesimo ha aiutato a diffondere l’utilizzo dell’olio di oliva, in quanto veniva utilizzato durante le unzioni e liturgie o come combustibile per le lampade per illuminare Chiese e monasteri. Benevento, luogo privilegiato dalle streghe dette “janare” conosciute per i loro malefici come il “malocchio”, gettato per invidia, provoca forti mal di testa. In questi casi si è soliti scacciarlo con un rito che consiste nel riempire un piatto con dell’acqua e far cadere delle goccioline d’olio, se le goccioline si dilatano fino a scomparire significa che effettivamente il mal di testa è dovuto ad un maleficio, nel caso contrario il malore è dovuto ad altre cause. t