Il Carnevale nella cultura popolare è sempre stata una festa legata ai riti, ai suoi cibi e alla smodatezza, un momentaneo trionfo dell’abbondanza e dei cibi grassi sul magro della dieta forzata del resto dell’anno. Febbraio è il periodo in cui si uccideva il maiale, a suo malgrado base alimentare di generazioni e generazioni, con un ruolo fondamentale nella storia del saziamento della fame. Crudo quanto vero nel film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, l’uccisione e la macellazione dell’animale è un momento catartico e racconta bene la pratica o forse meglio il macabro rito. I tagli migliori del maiale erano delle famiglie benestanti, il resto andava agli altri, ad ogni fascia sociale la sua parte, perché del maiale si sa, non si butta via niente. In un rituale quasi pagano anche il sangue era alimento, prima che coagulasse veniva fritto oppure insieme al cioccolato andava a dare corpo- meglio forse dire sangue- a quello che noi oggi conosciamo sanguinaccio, la Nutella primordiale.
Se un tempo molti cibi diventavano buoni da mangiare perché riuscivano a dare soluzione alla fame, oggi mangiare cioccolata ad alto contenuto di ferro, è una maggiorazione energetica non necessaria alla contemporanea alimentazione, fatta più di sottrazione, attenta a minimizzare l’apporto calorico, piuttosto che ad aggiungere. Nelle pasticcerie nel periodo di carnevale si può ancora trovare il sanguinaccio affianco alle chiacchiere ma il sangue dentro non si mette più, esiste un divieto che per ragioni etico sanitario lo vieta alla vendita. Le tradizioni resistono, ma per farlo si adattano ai tempi, ai gusti, all’etica, allo stile di vite e al modo di mangiare. Si mangia anche con la mente, e ciò che rimane è quello che è buono anche da pensare, la crema al cioccolato senza sangue, ma con il nome della tradizione.
Francesca Naccarato