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Vino, Degustazione Mode: One

Inizia oggi la “settimana del vino”, quattro giorni di lezioni dedicate interamente alla scoperta del mondo enologico. A guidarci in questo viaggio è il sommelier Tommaso Luongo, delegato AIS Napoli. Subito si inizia con le tecniche di degustazione, pratica utilizzata per descrivere le caratteristiche organolettiche di un vino e poter quindi creare abbinamenti con i più svariati piatti. Inoltre, ci permette di poter giudicare la “vita” di un vino e quindi capire in che tempo smaltirlo.

La degustazione si compone di tre esami: visivo, olfattivo e gustativo. L’esame visivo comprende l’analisi della limpidezza, del colore e delle fluidità/effervescenza. L’esame olfattivo comprende l’analisi dell’intensità, della complessità e della qualità. Infine, l’esame gustativo consiste nell’identificazione delle sensazioni saporifere (dolcezza, acidità, sapidità, amarezza), tattili (effetto termico, pseudocalore, astringenza, pungenza, consistenza) e retronasali (aromi di bocca).

Vini degustati:

  • Gattinata DOCG
  • Collio DOC
  • Civitella d’Agliano IGT

Servizio di sala: l’altra metà del cielo

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Non solo attività culinarie per noi ragazzi del Master! Questa volta abbiamo avuto a che fare con “l’altra metà del cielo”: il servizio di sala!
Si perchè in ambito ristorativo, di certo conta quello che mangiamo, ma altrettanto fondamentale è il modo in cui ci viene servito. Insieme al professor Gennaro Di Costanzo, abbiamo imparato quanto sia importante e fondamentale conoscere quella che si chiama la “brigata di sala“. Senza di quest’ultima, infatti, cuochi e chef non avrebbero modo di far arrivare i loro manicaretti ai clienti.
Dopo una prima distinzione tra ristorazione commerciale e ristorazione collettiva, abbiamo esplorato teoricamente e praticamente tutti i diversi aspetti di una buona “comunicazione enogastronomica”. Si! In fondo è proprio questo quello di cui si occupa il personale di sala: di comunicare nel migliore dei modi una pietanza, di farla assaggiare ai clienti anche solo con l’immaginazione. Tutto parte proprio da questo: si mangia prima con il cervello e poi con la bocca. L’appagamento sensoriale è pari a quello dello stomaco, in fin dei conti.

In sala, come anche in cucina, troviamo una struttura gerarchica, per così dire, militare: dal Food and Beverage Manager al Commis de Rang, passando per Direttore di Sala, Maitre, Chef de Rang e Sommelier, abbiamo appreso quanto il lavoro di ognuno sia fondamentale per una buona riuscita di un pasto in un ristorante. Ognuno, con la sua divisa, caratteristica per ogni ruolo, ha compiti ben specifici e sincronizzati gli uni agli altri.
Abbiamo poi imparato i diversi tipi di attrezzature utilizzate, sia quelle di arredo che quelle di servizio. Tavoli, sedie, garidon, mobili di servizio, e poi ancora tovaglie, posate e piatti; tutto perfettamente studiato nei particolari senza mai lasciare nulla al caso per far si che tutto sia coeso a rendere più semplice il lavoro ed eccellente l’esperienza del cliente.
Infine abbiamo fatto la distinzione tra i vari tipi di servizio utilizzati al mondo: quello all’italiana,  quello alla francese, quello all’inglese e quello alla russa ognuno distinto dall’altro.

Per la parte pratica, invece, abbiamo letteralemente apparecchiato un tavolo. abbiamo imparato a servire, a portare più piatti insieme, a versare il vino. Insomma tutto quanto possa servirci a riconoscere un servizio di sala di qualità, in cui la comunicazione avviene non solo verbalmente ma anche con gesti e cortesia.

Una dolce lezione

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Non poteva mancare, qui ai laboratori sensoriali di città del Gusto, una lezione sui dolci.
Direttamente dal Cilento per noi lo chef Pietro Macellaro, famoso per i particolari panettoni prodotti nella sua Pasticceria Agricola Cilentana.

I dessert proposti dallo chef sono stati due semplici dolci al cucchiaio ma con una grande capacità espressiva:
-La perla nera, un semifreddo a base di ricotta, arance candite e gocce di cioccolato.
-Un semifreddo a tre strati farcito con gelatina di pomodori, mousse al cioccolato e bavarese di peperoni .

Per poterli realizzare è stato necessario distinguere e conoscere quattro tipologie di creme, fondamentali nel mondo della pasticceria: ganache, glassa a specchio, mousse e bavarese. Queste si differenziano per preparazione, utilizzo e consistenza. Ganache e glassa vengono utilizzate prevalentemente per la copertura di dolci, mentre mousse e bavarese per la farcitura.

Durante la spiegazione è stato divertente scoprire la storia della ganache al cioccolato. Il termine in francese significa letteralmente “stupido”, si racconta infatti che la nascita di questa crema sia stata un puro caso, un errore commesso da un apprendista pasticciere che, in un giorno del lontano 800, fece cadere della panna bollente in una boule contenente del cioccolato fondente. Lo chef con tono di rimprovero lo definì appunto”ganache” e per riparare al danno fatto ne creò una crema per farcire alcuni dolci. Da quel giorno la ganache è considerata una delle creme base più famose e utilizzate in pasticceria.

Una volta realizzati i semifreddi abbiamo ricoperto la perla nera con la glassa a specchio, per donarle un colore più scuro e una maggiore lucentezza, mentre per il secondo abbiamo utilizzato la ganache che si presenta meno lucente ma più compatta.

Dopo la glassatura è arrivata la parte più divertente, ovvero si è proceduto con l’impiattamento e la decorazione. Per fare ciò lo chef ci ha mostrato alcune tecniche di decorazione sfruttando lo shock termico del cioccolato caldo,sciolto a bagnomaria o nel micronde, a contatto con una superficie di marmo molto fredda. Pochi secondi e come per magia il cioccolato è diventato modellabile per poter realizzare qualsiasi tipo di forma o fantasia si desideri.

Mangiatevi le unghia

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Lezioni a classe riunite alla Città del gusto per il Master in Comunicazione multimediale dell’enogastronomia e per i ragazzi di Professione cuoco. L’occasione è ghiotta. Il professore dietro ai fornelli è di tutto rispetto. Il maestro della gastronomia partenopea Antonio Tubelli ha, infatti, intrattenuto con la sua sapienza aspiranti comunicatori, critici e cuochi. L’argomento trattato è stato i salumi e i formaggi, elementi primari della nostra alimentazione e della cucina italiana.

Il maestro Tubelli ha inizialmente relazionato sull’elemento cardine per la produzione del formaggio e sulla sua lavorazione. Elemento distintivo e principale dei formaggi è il trattamento del latte. Oggi le leggi ne impongono la pastorizzazione per motivi igienici. Tale processo, ahinoi per gli amanti dei gusti forti, ne uccide batteri, enzimi e altri microrganismi e cancella insieme la maggior parte delle caratteristiche organolettiche del prodotto. Se al processo di pastorizzazione si unisce il fatto che gli animali spesso non possono cibarsi di ciò che preferiscono ma vengono nutriti con foraggio scadente o con farine animali si capirà subito che i formaggi ottenuti saranno scarsi in elementi nutrienti e in gusto. Il paradosso è che spesso gli enzimi e i batteri che vengono uccisi con i processi igienizzanti vengono successivamente aggiunti in maniera controllata ed industriale, rendendo comunque il prodotto finale molto diverso da come sarebbe venuto se ottenuto con i processi naturali. Sarà dunque più bello esteticamente ma non più buono e saporito.

Ecco dunque che oggi stanno riprendendo piede i formaggi per antonomasia ovvero sia quelli a latte crudo ottenuti da bestie allevate allo stato brado. Ogni formaggio a latte crudo regala il “ gusto del proibito”, sfuggendo spesso alle principali norme igieniche che regolano la produzione di prodotti caseari, più ferree per il latte proveniente da allevamenti intensivi. Ciò che spesso caratterizza i formaggi a latte crudo sono i tempi di stagionatura e la presenza di caratteristiche muffe, verdastre a causa di microscopiche infiorescenze, ad esempio, per gli erborinati. Nella parte più esterna della forma, la scorza, si andranno, infatti, a formare le muffe, da raschiare delicatamente per poter poi arrivare alla cosiddetta “ unghia” del formaggio, unghia che dovrà essere necessariamente mangiata insieme alla parte più interna del formaggio, la “ mollica”, per poter a pieno gustarne il sapore.

Dopo una pastosa degustazione a base di ricotta di latte vaccino e di bufala, di fiordilatte e di provola, il maestro Tubelli ha proseguito discutendo sui salumi e sul grado di sapidità e dolcezza che il prosciutto crudo deve avere. Dopo un assaggio di speck, salame, prosciutto e pecorino ha continuato parlando della Podolica e del fatto che quest’ultima, dopo un periodo di assenza, sia nuovamente ricomparsa nei pascoli campani. Il latte della vacca podolica permette la produzione del caciocavallo, formaggio che raggiunge l’apice dopo almeno 12 mesi di stagionatura e può arrivare sino a 36 mesi. Il maestro Tubelli ha inoltre fornito consigli enologici da abbinare. Per lui sui formaggi medio forti va bevuto un bianco e sugli erborinati la scelta deve cadere sempre sul passito dolce. In conclusione, prima dei saluti e dei consigli per il futuro, ultima degustazione a base di “Blu di bufala”e capocollo.

Passione Carne

Lo Chef Daniele Roviezzo del Rovy Ristorante di Montesarchio (BN) quest’oggi ha tenuto la terza lezione dei Laboratori Sensoriali alla Città del gusto di Nola presentandoci il vasto mondo della carne. Questo alimento ha conosciuto negli ultimi anni un incremento di consumi costante portando spesso a discussioni e dibattiti sui reali benefici per l’uomo. Effettivamente il mondo si divide su questo delicato tema ma oggi abbiamo avuto la fortuna di avere un professionista del settore che ci ha fatto comprendere l’importanza della carne e la salubrità di esso. Possiamo infatti avere la garanzia della freschezza della carne unicamente grazie alla tracciabilità alimentare ovvero da produzioni possibilmente italiane controllate e certificate. E’ necessaria però una profonda conoscenza del prodotto che andremo poi a cucinare e introdurre nel nostro organismo.

Sotto la guida del nostro Chef abbiamo quindi analizzato varie tipologie di carne ed i relativi tagli, ma soprattutto abbiamo posto l’accento sull’importanza delle cotture che fanno la vera differenza tra un piatto di qualità eccellente e uno mediocre. Il menù della giornata sui secondi di carne è stato quindi molto ricco a partire dal brasato del muscolo di vitello, continuando poi con un capocollo marinato e cotto a lungo sottovuoto, fino ad arrivare allo scamone di vitello profumato al rosmarino. Arrivati a questo punto arriva quindi il momento per noi studenti del Master in Enogastronomia di mettere mani alla carne. Ognuno ha conquistato il suo compito come una vera brigata di cucina, dal disosso del pollo alla pulizia e cottura delle verdure, fondamentali per creare dei contorni e delle salse di accompagnamento. Il primo piatto creato è stato un bis di secondi composti da un filetto di maialino lardellato nel guanciale e un cubo di capocollo in doppia cottura, accompagnato da una salsa alla mela annurca. La seconda mise en place ha visto come protagonista indiscusso il petto di pollo cotto sottovuoto con crema di asparagi, polpa di zucca, carpaccio di carciofi e puntine di asparago verde. Quest’ultima tipologia di cottura per tagli di piccole dimensioni è facilmente riproducibile anche a casa ed è la metodologia migliore per evitare eventuali modificazioni della carne in cottura. Infatti con una tradizionale preparazione in padella tutti i tipi di carne perdono acqua e quindi vitamine quali ferro e zinco, sali minerali e proteine. Fondamentale è la conservazione dei succhi all’interno della carne rendendola in questo modo morbida e succosa ed esaltandone tutte le proprietà nutrizionali, oltre che a trattenere tutti i profumi ed i sapori

Grazie quindi allo Chef Daniele Roviezzo che quest’oggi ci ha aiutato a conoscere un po’ di più il mondo della carne, invitandoci a diventare sempre più consumatori attenti al prodotto e alla sua genuinità.

Storia e Geografia della BIRRA

Come è nata la birra?
Una donna dimenticò in giardino una ciotola con dei cereali in acqua, piovve, i cereali germogliarono e morirono.
Nacque così un liquido, alcoolico, leggermente frizzante: la birra.

Si pensi che in Mesopotamia la traccia più antica di birra sia una tavoletta sumera di 6.000 anni fa che ritrae persone intente a bere una bevenda con cannucce di paglia da un recipiente comune.

La birra venne tramandata ai  Greci, i quali la utilizzavano, solo in occasioni particolari, come ad esempio durante i giochi olimpici. Inoltre veniva utilizzata nei rituali sacri di Demetra, divinità femminile dei campi, Gran Madre della terra. Va tuttavia segnalato che la birra bevuta dai Greci, non era di alta qualità, in quanto essendo poco esperti in materia, ricorrevano ad acquistarla dagli Egiziani i quali, in virtù della bassa conoscenza dei Greci in merito, fornivano agli stessi birra “annacquata”.

A Roma la birra era conosciuta ma poco consumata; utilizzata per pulizia del viso e nutrimento della pelle. Nonostante ciò da Giulio Agricola fu fatto il primo Pub di birra a Roma.

I Galli e i Celti migliorarono tre aspetti del fare la birra:

-utilizzarono pietre riscaldate per la cottura
-inventarono le botti per conservare la bevanda
-inventarono una pozione magica: un miscuglio di erbe aromatiche che chiamarono Druidi.

La birra arriva ufficialmente in Italia nel 614 d.c.portata da San Colombano (frate irlandese confratello di San Patrizio) partito per evangelizzare l’Italia, che fondò a Bobbio in monastero in cui si dice che sia stata brassata la prima birra italiana.

I Crociati, inoltre, contribuirono all’incremento dell’utilizzo delle spezie, che portate alle spedizioni in Oriente diedero senza dubbio una birra di qualità superiore. L’insieme dei vari aromi è detto “Gruyt”.In quel periodo il Gruyt veniva fatto dalla Chiesa, che vendeva  tali spezie a costi molto elevati.Nel XIII secolo la suora Botanica Suor Hildegard mise in evidenza le qualità del luppolo con ulteriore sviluppo del commercio internazionale. Il luppolo era molto costoso per cui ogni produttore si regolava a seconda del proprio gusto personale e ovviamente della convenienza economica.

Le materie prime della birra sono 4:
1. acqua

2. malto d’orzo
3. luppolo
4. lievito

1. Esistono vari tipi di acque:
-acque molto dolci
-acque dolci
-acque mediamente dure
-acque discretamente dure
-acque dure.

2. L’orzo, invece, sembra sia stato creato proprio per fare la birra,ha in sé tutte le caratteristiche:
– è di facile coltivazione
– è ricco di amido
– è ricco di enzimi
– possiede le glumelle
– ha qualità organolettiche (qualità positive si trovano nella birra)
– ha una bassa percentuale di grassi

Esistono due tipi di orzo:
– distici: solo due fili di chicchi che sono più grossi
– polistici:Hanno più fili di chicchi da quattro a sei

Le fasi di realizzazione del malto sono tre:

GERMINAZIONE DEL’ORZO O MALTO VERDE: i semi d’orzo vengono immersi in acqua per almeno tre giorni,in questo modo l’orzo si pulisce ed aumenta il suo grado di umidità che passa da 14/15%a 45%. I chicchi d’orzo sono bagnati sino al raggiungimento di circa il 45% di umidità (ossia un etto di orzo deve diventare circa 140 grammi). E’ necessario lasciarli a bagno per almeno 48 ore, avendo cura di cambiare l’acqua ogni 8/12 ore per evitare che ammuffiscano. Nella seconda fase inizia la germinazione: i grani vengono stesi su una superficie pulita ad una temperatura di circa 16C per 8/15 giorni, avendo cura di arearli (rivoltandoli) ogni 12 ore.

PROCEDIMENTO DI ESSICCAZIONE:
– Interrompere al punto  giusto la germinazione
– Ridurre la quantità di umidità  del malto verde
– Rendere il corpo friabile per facilitare la macinazione
– Fornire al malto aroma e colori desiderati
– Facilitare l’eliminazione delle radichette

PROCEDIMENTO DI TOSTATURA: la fase della tostatura deve essere realizzata ad una temperatura di 75-100 gradi per ulteriori 48 ore,l’umiditàò del malto calerà fino al 4/5%.A questo punto si dovrebbe ottenere il malto base dotato di potere enzimatico.Possono essere realizzate differenti tipologie di malto aggiungendo ulteriori fasi;

– malto nero: 200 gradi per 48 ore
– malto ambrato 70 gradi per 14 ore
– malto caramellato: per avere un malto caramello l’orzo germinato viene portato a 75 grdi per 2 ore,poi a 120 gradi per un’altra ora

3. Riguardo al luppolo è una pianta rampicante, perenne, con rizoma ramificato dal quale si estendono esili fusti rampicanti che possono raggiungere i 7 metri d’altezza.
Le foglie  sono cuoriformi, picciolate, opposte, munite di 3-5 lobi seghettati.

Le proprietà del luppolo sono:
– amaricante, aromatizzante perché essendo un olio essenziale bilancia così la dolcezza dei malti;
– è un potente conservante con caratteristiche antibatteriche ed antiossidanti;
– aiuta nella bollitura la partecipazione delle proteine, favorendo la limpidezza della birra;
– migliora la stabilità della schiuma (elemento fondamentale, serve a preservare la birra, senza la schiuma la bevanda si ossida.)

4. Nel mondo della birra esistono due grandi ambiti: lievito ad alta fermentazione  e lievito a bassa fermentazione.

Il primo durante la fermentazione si lavora in superficie formando un cappello di schiuma, raggiungendo temperature che vanno dai 16 ai 24 gradi.
La seconda  durante la fermentazione si lavora sul fondo del fermentatore,  raggiungendo temperature che vanno dai 4 ai 14 gradi.

PROCESSO DI PRODUZIONE

La prima fase del processo di produzione, molto delicata, è la macinazione. I cicchi vengono schiacciati ma non troppo, perchè necessari nella fase di filtrazione, dopo si immergono in acqua nel tino di ammostamento e vengono riscaldati ad elevate temperature.

La filtrazione avviene in due fasi: raccolta del primo  mosto (raccolta del liquido da quello che stava bollendo) e lavaggio delle trebbie, per aumentare i volumi e per recuperare gli zuccheri.

RAFFREDDAMENTO DEL MOSTO

Al mosto raffreddato viene inoculato del lievito, allo scopo di innescare il processo di formazione. Per questioni di praticità molti birrifici utilizzano lieviti secchi che hanno il vantaggio di un facile dosaggio e di una semplicità d’uso.

FASE DI MATURAZIONE

Fatta la fermentazione e raffreddato il mosto si aprono i tank, si raccoglie tutto il lievito, si  passa il tutto in un altro tank, si lascia maturare per 15 giorni, si passa all’imbottigliamento e si lascia per ancora un mese a maturare in bottiglia, dove si aggiunge un ceppo di lievito e zucchero. Infine  avviene il confezionamento.

Pesce e dintorni alla Città del Gusto

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La seconda giornata di lezioni pratiche alla Città del Gusto di Nola riserva ai partecipanti del master in comunicazione enogastronomica un incontro ravvicinato con il settore ittico, magistralmente condotto dallo chef partenopeo Giovanni Costagliola.

Teoria concentrata su alcuni contenuti-base per la filiera del pesce, attenzione particolare al mercato per puntare al massimo della freschezza (il mare non dice mai cosa si pescherà il giorno dopo); spigola, triglie, pesce spatola, vongole e tanti altri prodotti hanno affollato i banconi delle cucine in un susseguirsi mattutino di domande e chiarimenti in merito a surgelazione, tipologie di pesca (dallo strascico alla pesca con nasse, finendo con quelle all’amo), allevamenti ittici, focus su pesce e frutti di mare crudi, non dimenticando le classificazioni marittime tenendosi ben fermi sul “pesce azzurro“.

Come è facile immaginare, alla teoria si è sostituita molto presto la pratica e lo chef ha sfoderato ben 5 ricette di grande gusto e personalità: al mattino ecco mostrate le realizzazioni di polpo all’insalata con accompagnamento di radicchio, finocchi e rucola in un trionfo di leggerezza e callosità inaspettate. Si è poi passati ad una avvolgente zuppetta seppie, lupini e friarielli, piatto per il quale i masterizzandi si sono letteralmente “sporcati le mani” imparando (i risultati sono stati insolitamente discreti) a pulire le seppie, cuocere i frutti di mare e preparare il re delle verdure: il “friariello“. Come da tradizione è stato lo chef ad assemblare il tutto alla fine creando una magia di sapori tra il dolce della seppia, il salato dei lupini e l’amaro della verdura. Ora di pranzo e i fuochi producono l’ennesimo miracolo di chef Costagliola: spigola scottata su letto di broccoli calabresi, preparazione che si è alternata a nozioni tecniche come la preparazione del classico “fumetto di pesce” e a delucidazioni come le differenze sostanziali tra pesce di mare e di allevamento.

Al pomeriggio la scena è stata tutta per il pesce spatola, tramutato in croccanti bastoncini panati adagiati su un letto di carfiofi in tartarre e mozzarella di bufala. Come nei più classici dei copioni, alla fine arriva il bello: lezione pratica di pulitura, sfilettatura e cottura dei filetti di triglie, sfida vinta con successo dai 12 eroi della cucina del Gambero Rosso che, seguiti e istruiti alla perfezione dallo chef del giorno, hanno portato in tavola il filetto di triglia rivisitato alla livornese, trionfo di leggerezza e freschezza nel solco della tradizione mediterranea del buon cibo di mare, che associa in maniera unica prodotti della terra con il pesce.

Rispettare la stagionalità è indice di qualità

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I laboratori sensoriali presso la Città del Gusto – Gambero Rosso iniziano con un interessante giornata dedicata alla frutta e alla verdura. In entrambi i casi il concetto chiave è la stagionalità, questo è quanto ci restituisce lo chef Mario Loina.

Tanti i temi affrontati, le ricette preparate e degustate! Iniziamo dalla frutta. Arance, limoni, pompelmi, mandarini, cedro, clementine, chinotti, etc, sono gli agrumi che la natura ci offre in questi mesi. La buccia è certamente la parte più importante, dalla quale si ricavano gli oli essenziali, utilizzati in cucina e pasticceria. Ed ecco arrivare la prima ricetta:

Base di salsa agli agrumi:

Si prepara una zesta di agrumi, le bucce private di albedine si sbollentano per tre volte in acqua in ebollizione. Tra un passaggio ed un altro si posano per pochi secondi in acqua e ghiaccio. Al quarto passaggio in acqua in ebollizione, si aggiunge lo zucchero e si fa cuocere/caramellare. Si frulla il tutto ed infine si “passa” per separare la crema dai grumi. La salsa è servita!

Inseguito siamo stati introdotti al variegato mondo degli ortaggi. Tante le tipologie: a frutto, a fiore, da seme, a foglia, da fusto, da radice, da tubero e da bulbo.

Mario Loina ci ha iniziati alle tipologie di taglio: dalla concassè di pomodoro, ai quattro tagli base: filangè, mirepoix, julienne e brunoise.

Qualche accenno sulla temperatura di cottura della frutta e della verdura: sotto gli 85° non cuociono.

Tre le regole fondamentali per un ottima frittura: utilizzare olio di semi di arachidi o di oliva, friggere ad una temperatura tra i 170° e 180°, facendo attenzione al cosiddetto punto di fumo (tra i 180° e i 200°) e infine avere cura che la frittura avvenga per immersione. La teoria è stata avvalorata da un’esercitazione che ci ha visti protagonisti nella preparazione di crocchè. 

 Lo chef ci ha fatto cimentare nella riproduzione e degustazione del suo pan cotto.

La ricetta del pan cotto:

  1. Insaporire la ricotta con un acciuga e con del basilico, per farne delle quenelle.

  2. In una padella soffriggere in olio l’aglio in camicia e cuocervi i friarielli – precedentemente sbollentati – e insaporire il tutto con un pizzico di sale. Si taglia del pane a tocchetti e si lascia insaporire in padella.

  3. Frullare i gambi dei friarielli con un po’ di acqua di cottura e aggiungere sale e olio a filo.

  4. Sminuzzare la scarola e condirla con olio, sale, pepe, colatura di alici, olive nere e uva passa. Tagliare in modo grossolano tocchetti di pane tostati in padella con dell’olio e unirli all’insalata di scarole.

  5. Infine comporre il piatto con fantasia e degustare la propria creazione maglio se in compagnia!

In conclusione Mario Loina ci ha mostrato due diversi modi per creare una crema di zucchine buona al gusto e soprattutto bella alla vista. La variante sta nell’utilizzo della buccia delle zucchine: l’utilizzo di queste ultime, frullate insieme alle zucchine sapientemente insaporite, donano alla crema un colore vivo e intenso. Sappiamo bene che anche l’occhio vuole la sua parte!

Il Master “On Air” con la Web Radio d’Ateneo

Creare una web radio non è più un tabù con i mezzi che si hanno oggi a disposizione, così che il fenomeno è ormai dilagato, ma tra una web radio amatoriale ed una professionale, ne passa di acqua sotto i ponti e la differenza, soprattutto in termini di professionalità coinvolte e tecnologia disponibile, rischia di essere abissale. Fortunatamente, per gli studenti del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia, c’è la possibilità di vivere un’ esperienza radiofonica di tutto rispetto.

Infatti, ieri ed oggi è stata la volta del “modulo radio”, le cui lezioni sono state tenute dal Prof. Antonio D’Amore, direttore artistico di RunRadio, l’emittente d’ateneo dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Nella prima giornata è stata affrontata l’organizzazione editoriale del mezzo radiofonico, suddivisa in lato manageriale e lato tecnico-esecutivo, con l’approfondimento dei ruoli di speaker, autore e responsabile relazioni pubbliche. Ruoli che gli allievi del master, hanno provveduto a distribuirsi per ideare una striscia radiofonica sull’enogastronomia.

Il giorno successivo è stato all’insegna della teoria e delle esercitazioni nella difficile “arte” della dizione corretta, prerogativa irrinunciabile per chi vuole presentarsi al pubblico televisivo o radiofonico; successivamente la giornata è andata a concludersi con alcune ore di lavoro al PC e al telefono, per preparare programma, inviti ed interviste.

Restate sintonizzati dunque, l’enogastronomia su RunRadio sarà presto servita!

“La Notizia” della Ricetta Perfetta

La ricetta per un’ottima e gustosa visita guidata sono 12 studenti del Master in Comunicazione Multimediale dell’Enogastronomia, Enzo Coccia (pizzaiolo Napoletano), 2 Pizzarie (La Notizia 53 e La Notizia 94), acqua, farina, sale, lievito, pomodorini del piennolo, mozzarella di bufala campana, olio, pecorino e basilico.

Tutto inizia presso la Pizzaria “La Notizia 53,” sita in via Michelangelo da Caravaggio (Na), dove il famosissimo pizzaiolo Enzo Coccia ci accoglie con un ottimo caffè espresso, segno della grande ospitalità di cui i napoletani sono famosi. La moderna ma sempre tradizionale pizzaria è dotata di un proiettore, questo ci permette subito di poter vedere il nuovo spot del pizzaiolo napoletano intitolato “Enzo Coccia Spot”. Un video che racchiude la giornata di Enzo, da quando arriva nella sua pizzaria, all’attesa dei clienti, fino alla chiusura. Nello spot non compare neppure una volta la pizza in quanto sarebbe scontato per un pizzaiolo mostrarne una, parole dello stesso Enzo, ma lo scopo è quello di racchiudere in 2 minuti e 26, la passione per le materie prime, la dedizione per i clienti.

La giornata continua con un interessantissimo DocuFilm intitolato “Il Sole nel piatto”, durato circa un’ora, dove Enzo racconta la storia della sua antica pizzeria-trattoria di famiglia nata nel 1910 e chiamata Fortuna, dal nome di sua nonna. Il documentario ci mostra di come Enzo è molto attento nel reperire i vari ingredienti che compongono una vera pizza napoletana. Dalla Farina del mulino Caputo, alla Mozzarella di Bufala dell’azienda Barlotti; dall’Olio extravergine d’oliva dell’azienda “Le Tore”, al Pomodorino del Piennolo del Vesuvio prodotto da “Casa Barone”; fino ad arrivare al mastro costruttore di forni Stefano Ferrara di Quarto (Na) e al produttore di impastatrici Meripan. In questo viaggio di tradizione e sapori, Enzo è accompagnato da altri pizzaioli napoletani, ognuno caratterizzato da diverse qualità come Gino Sorbillo, Attilio Bachetti e Massimiliano Pepe.

Terminato il documentario, la nostra visita si sposta nella seconda pizzaria di Enzo, La Notizia 94. Un posto completamente diverso dal precedente ma altrettanto suggestivo e caratteristico. Qui Enzo sperimenta nuovi abbinamenti e nuove pizze, perché come dice lui, la sperimentazione e l’innovazione hanno sempre alla base le regole della tradizione. In questo “tempio” di tradizioni e innovazioni Enzo ci mostra l’arte della preparazione della pizza. Acqua, sale, lievito, e farina a pioggia è questo l’ordine per la realizzazione dell’impasto, sfatando così il mito della “montagnella” di farina in cui si mette tutto nel suo interno. Inizia così l’impasto che dura circa 20 minuti, “insufflando” aria in modo tale da consentire una buona resa in forno. Alla fine del procedimento l’impasto si presenta morbido ed elastico, pronto per la lievitazione.

Al termine dell’intensa mattinata, Enzo ci ha permesso di degustare le sue buonissime pizze con mozzarella di bufala, pomodorini del piennolo, olio, pecorino e basilico, accompagnate da ottime birre artigianali. Un sapore unico nel suo genere dato da prodotti di altissima qualità di cui la Campania è madre. Per concludere saltimbocca con cioccolato fondente, un ottimo connubio tra il salato dell’impasto e il dolce del cioccolato.

La Pizza è servita! Buon appetito!