“È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce… e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce…”
Gabriele D’Annunzio gli dedicò persino un sonetto.
S’innamorò subito del gusto di questo dolce natalizio, ormai parte della tradizione culinaria abruzzese, così a torto poco conosciuta. Oltre ai più famosi arrosticini di pecora che impazzano sulle tavole dei pub in Abruzzo e ai ravioloni di formaggio che vestono di dolce o salato a seconda del momento, re indiscusso delle pasticcerie abruzzesi è il parrozzo, una pagnotta dalle umili origini. Un tempo era infatti alimento contadino, fatto con il granoturco e conservato a lungo, soprattutto nei giorni della transumanza. Poi, agli inizi del Novecento, ha inizio la sua ascesa sociale da pagnotta povera a dolce reale. Il pasticciere di Pescara Luigi D’Amico, ispirato dalla sua consistenza e dai suoi colori, ricrea il giallo del granoturco con quello delle uova, alle quali aggiunge la farina di mandorle, così come riesce a ridarci lo scuro della bruciatura del forno a legna con del puro cioccolato. E per non farci mancare niente, per i più golosi, il parrozzo può essere accompagnato anche da una crema di mandorle e zafferano.
All’evento Identità Golose che si terrà questo febbraio 2015 a Milano, è Federica Scolta, giovanissima trentenne d’origine abruzzese, assistente di Simone Salvini, capo chef del Ristorante Joia di Milano, a proporre questo gioiello alimentare, con l’obiettivo di renderlo più contemporaneo e leggero, ma soprattutto adatto anche ai palati vegani, celiaci, intolleranti al lattosio, sempre più frequenti.
Ma il parrozzo non dimentica mai le sue umili origini contadine.
Foto presa dal sito http://www.ladyerbapepe.com/blog/ricette/parrozzo