Sono 3,3 milioni gli italiani che mangiano negli home restaurant ( anche se i primi possiamo trovarli a L’Avana) con la preparazione di cene nel salotto di casa da parte di cuochi amatoriali, organizzate e promosse attraverso piattaforme social.
È quanto emerge dal primo rapporto Coldiretti/Censis sulla ristorazione in Italia presentato al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato dalla Coldiretti, che analizza le nuove frontiere del settore, a partire della food sharing economy, ovvero le differenti forme di condivisione del cibo. Innovazioni che stanno cambiando velocemente le abitudini alimentari degli italiani, anche per gli aspetti relativi al mangiare fuori casa, mentre la potenza del digitale moltiplica le nuove modalità di offerta e fruizione del cibo.
Se l’home restaurant “cattura” regolarmente 3,3 milioni di persone e altre 8,8 occasionalmente, il social eating (privati che organizzano in casa propria pranzi o cene come fossero ristoranti) è praticato abitualmente da 3,1 milioni di italiani, mentre ulteriori 6 milioni lo fanno di tanto in tanto. Novità che hanno ampliato la gamma delle opportunità senza entrare in conflitto, almeno apparentemente, con le forme più tradizionali del mangiare fuori casa.
Il riconoscimento degli home restourant è arrivato all’inizio dell’anno grazie ad un decreto approvato dalla Camera dei Deputati con cui si regola l’attività di ristorazione privata, svolta cioè nelle abitazioni utilizzate dagli stessi “ristoratori”. Cardine della norma è l’uso obbligatorio di piattaforme digitali, attraverso le quali devono passare le prenotazioni dei clienti e i loro pagamenti. Non sarà, cioè, possibile telefonare direttamente o pagare in contanti. Le case-ristorante dovranno possedere l’agibilità e le caratteristiche igieniche previste per le abitazioni. Non si può ospitare un home restaurant e un B&B o una casa vacanze (affitti sotto i 30 giorni) nella stessa abitazione e il gestore dovrà preoccuparsi che gli «utenti operatori cuochi» siano assicurati per la copertura dei rischi derivanti dall’attività.
La volontà di stupire il palato di amici e convitati sta portando verso una sempre più attenta ricerca di prodotti tipici, di qualità e a km zero che ha trovato soprattutto nei mercati degli agricoltori un naturale sbocco. Un aspetto sicuramente positivo, che si unisce ad una sempre maggiore consapevolezza del consumatore nei confronti della provenienza e della qualità del cibo. Ma ogni medaglia ha una doppia faccia: in questo caso emerge la centralità o forse la “schizofrenia” che sta attanagliando il mondo del food&beverage, la quale spinge verso una rinnovata voglia di convivialità che si traduce anche in forme alternative e “social“ di ristorazione di cui non si può tenere conto.