L’etimologia della parola dieta è da ricondursi al greco δίαιτα (diaita) ovvero abitudine, modo di vivere, dimora ma anche cabina della nave. Questo significato potrebbe stranire i molti ma i marinai, attraverso il timone presente nella cabina, conducevano la nave e ne decidevano la condotta. E’ un po’ quello che si fa seguendo una dieta, si decide di abbracciare una condotta alimentare. Ma forse oggi il vero significato di questa parola è andato perso.
Siamo nell’era “dell’ homo dieteticus”, come ha sottolineato il Professor Marino Niola, docente di antropologia culturale, che nell’omonimo testo spiega la deriva odierna delle diete. Il senso di precarietà morale e materiale che caratterizza la nostra società ha fatto sprofondare i soggetti nell’insicurezza. Riversiamo le nostre paure e la nostra voglia di controllo su ciò che mangiamo. Se ciò che ci accade intorno non è controllabile, allora cerco di esaminare ciò che entra in me.
Assistiamo alla demonizzazione di alcuni cibi, come il sale, il burro o lo zucchero. Basta andare al supermercato e vedere la quantità di prodotti senza zuccheri, senza olio di palma o senza glutine che viene venduta e quanta gente prima di acquistare un prodotto legge bene le etichette per capire cosa contiene ciò che sta portando a casa. Meno c’è in ciò che mangiamo e meglio è: oggi comprimo per sottrazione alimentare.Questa è la deriva della dieta: seguire un regime di privazione, attento e metodico che ci porterà a stare meglio, mangiando meno. Il cibo assume così una funzione curativa. Non è che il cibo non possa essere considerato un farmaco, anzi la Dieta Mediterranea ci insegna che è proprio il mangiare sano e bene porta a migliorare il nostro stato di salute, ma spesso ciò che oggi mangiamo non è così sano. Ma d’altronde senza punti di riferimento la dieta è diventata l’interfaccia di un bisogno di regole.