Intervista a Mariella Caputo, regina dell’accoglienza campana

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Taverna del Capitano
Mariella Caputo alla Taverna del Capitano

In occasione di Identità Golose 2019 abbiamo avuto il piacere di intervistare Mariella Caputo, sommelier e titolare con il fratello chef Alfonso della Taverna del Capitano nonchè Ambasciatrice del gusto.

Stiamo vedendo negli ultimi anni un’attenzione sempre più costante nell’alta cucina alla sala. Lei è la “Regina” della sala della Campania e non solo. Sta vedendo questo riscontro anche nella clientela e nei giornalisti di attenzione?

Beh sì, tanto lavoro è stato fatto.
Il fatto stesso che se ne parli è importante, perché fino a pochi anni fa non se ne parlava neanche. Sicuramente c’è ancora tanto da fare. Siamo all’inizio di un percorso che poi ovviamente porterà dei risultati.
Il risultato sta nel trasmettere quella che è la nostra passione, il nostro amore per il lavoro alle generazioni future. E questa trasmissione non è così scontata. Un lavoro sicuramente difficile.
Difficile come approccio. Sono tante ore. Noi dobbiamo stare per forza nel luogo di lavoro. Si parla anche di 10 ore al giorno. Non sono tutte ore di lavoro fisico ma sono sicuramente tutte impegnative.
Quindi questo comporta uno sforzo che i giovani non sempre sono disposti ad accettare. ma io non ne faccio neanche un problema dei giovani.
Io sono figlia di ristoratori, sono la terza generazione di una famiglia che fa questo da sempre, quando avevo 15 anni era un lavoro da cui scappavo, è un lavoro che ti porta via i tuoi genitori che sono sempre impegnati, ė un lavoro che si fa il sabato, soprattutto il sabato sera, è un lavoro che si fa nei giorni di festa, quando la scuola è chiusa.
Quindi non hai la visione di un lavoro bello, hai la visione di un lavoro non brutto ma che ti porta a non vivere una vita “normale’.
Noi ristoratori non viviamo obiettivamente una vita normale ma anche i calciatori non vivono una vita normale, anche gli artisti, spesso lavorano il sabato e la domenica, perché a teatro ci puoi andare il sabato, durante la settimana è più difficile per tutti.
Quindi è un lavoro che devi “amare”.

 

sommelier
La taverna del capitano

Sempre per quanto riguarda lo sviluppo della ristorazione. Insieme alla ristorazione lei è ambasciatrice del gusto. Se penso a 10-15 anni fa, dire vado alla scuola alberghiera o dire voglio fare il cuoco, equivaleva a dire non voler studiare.
Ora no. Ora ė “figo” voler fare il cuoco. Può succedere anche nel suo campo?

Sì. Stamattina (durante il panel ndr) ho cercato di mettere l’attenzione sul creare un modello, perché noi viviamo in un mondo dell’immagine.
Quindi, quando è diventato “figo” fare il cuoco?
Quando abbiamo visto Carlo Cracco, diciamocela tutta. È un bell’uomo, fa il suo lavoro con amore, trasmette passione. E questo ha fatto gioco facile. Ha riscattato un po’ la figura del cuoco classico: unto, brutto, grasso.
E questo è quello che oggi anche noi della sala dobbiamo fare, trasmettere positività.
Spesso semplicemente con la fisicitá, che può essere un aiuto, come lo è la televisione, i programmi televisivi, i social media. Perché il nostro lavoro è molto complesso.
Oggi ho fatto una battuta, quando tu sei davanti al cliente, quelli sono momenti importanti. Io spiego sempre ai ragazzi che lavorano con noi in sala che la realtà supera la fantasia.

 

sommelier
Ambasciatrice del Gusto

Ci sono altri episodi come quello?

(ride) Ci possiamo scrivere un libro.
Questa è l’esperienza, la scuola può dare la tecnica.
Un mio professore di management diceva che per fare il cameriere basta un video di 20 minuti, poi tutti sappiamo che si serve a sinistra, si toglie a destra, il bicchiera si metta qua, la posata là. Da lì a diventare professionista passa l’esperienza.
Tutto il bagaglio culturale di vissuto che devi incamerare, lo studio che devi incamerare per poterti rapportare, in un ristorante che faccia fine dining o che faccia pizza, è un mondo. La base è uguale per tutti, le nostre tecniche di servizio sono sempre uguali. Quello che cambia sono gli atteggiamenti, i movimenti, i tempi.
È questo che la scuola non fa, perché non ha l’opportunità di farlo.
Tramite Ambasciatori del gusto stiamo cercando di fare un modello, che consiste nel venire a toccare quella che è la criticità del nostro mestiere. La scuola ti può dare la tecnica ma questo non basta. Tu hai bisogno di acquisire professionalità. E lo puoi fare a contatto con chi questo lo fa di mestiere, e che possibilmente lo faccia bene. Quindi deve essere l’operatore, il ristoratore, il cuoco, il cameriere, il bartender ad entrare nella scuola con la sua professionalità ed avvicinarsi ai giovani.
A scuola facendo il contrario cosa succede? che spesso i ragazzi vengono lanciati in stage lavorativi nelle strutture, per noi sono un peso, io avverto il peso e anche la difficoltà, perché pensi: io lo metto, la ma che gli faccio fare? cosa è in grado di fare questo ragazzo?
Quello è il punto in cui dobbiamo entrare perché non si può lasciare la formazione all’imprenditore, all’impresa.
La formazione la devi fare a scuola. Devi trovare tutti i mezzi per farlo. Anche attraverso i professionisti del settore, come fa Ambasciatori del gusto.
Ambasciatori del gusto fornisce i suoi professionisti alle scuole alberghiere. Noi questo lo abbiamo già fatto ad Amatrice, in più adesso c’è Venaria che ha fatto un accordo per fare “aggiornamento” agli stessi professori.

Lei fa parte di un ristorante storico, 50 anni compiuti 2 anni fa.
Portare avanti tradizione, un menù abbastanza tradizionale, e anche innovazione. Se andiamo a vedere la guida, bravissimo lo chef ma è segnalata grande carta dei vini e grande accoglienza. È anche tanto sua (Mariella Caputo) quella stella.

No! No! Assolutamente no. La stella è la cucina.
Cioè la stella è di tutti, perché penso che da soli non si fa nulla.
In un ristorante si lavora in team.
Prima ho detto (panel di questa mattina ndr) che è importante anche il lavapiatti. Se hai un grande cuoco ma hai piatti sporchi, sempre i piatti sporchi hai. Quindi in un ristorante sono importanti tutti.
L’ accoglienza deve aiutare la cucina perchè se ho un grande piatto ma ho un cameriere che non è empatico, che non spiega, che non si avvicina al tavolo in maniera umile e consiglia al cliente o ti consiglia il pesce ma tu mangi carne. Ho fatto un buon lavoro? No
Quindi è importante che ci sia l’altro 50% della vita lavorativa di un ristorante, la sala, che faccia da tramite verso il cliente.
Del resto i clienti vedono per primi noi e per ultimi noi.
Non sempre vedono il cuoco o chi ha cucinato.